“Amore e morte” di Roberta Braghelli



Sono Dora Maar e sono morta molto tempo fa. La mia vita è finita il giorno che ho incontrato Lui, ho perso me stessa e sono naufragata nel dolore.
Non mi sono uccisa perché non volevo che ridesse ancora di me, che sbeffeggiasse la mia anima come aveva sempre fatto.
Ho portato a termine questa vita come un peso, una colpa da espiare per non essere riuscita a difendere me stessa, i miei sogni e a riprendere in tempo la mia parte migliore dall’abisso in cui ero volutamente caduta.
Raccontano che c’è stata una Dora prima e una Non-Dora dopo di Lui.
Lui, “Il Minotauro”.
Sono vissuta dal 1907 al 1997, il mio vero nome è Théodora Markovitch, sono figlia di un architetto Croato e di una madre cattolica.
Trascorro l’infanzia e l’adolescenza a Buenos Aires.
Arrivo a Parigi nel 1926 e conosco Emmanuel Sougez, eminenza grigia della Nouvelle Photographie, comincio a frequentare Eluard, Breton, Man Ray.
Apro uno studio fotografico e divento presto un fotografa surrealista molto apprezzata.
Sono brillante, intelligente, determinata, anticonformista; so cosa voglio dalla vita e me lo prendo, non male per una donna degli anni trenta…
Ho avuto anch’io le mie storie d’amore.
Chi mi ha conosciuto e amato dice che i miei occhi emanano una luce particolare, sono limpidi come il cielo terso a primavera e che ho una bellissima voce, simile al gorgheggio del canto degli uccelli.
Lo incontro per caso (ma nulla avviene per caso, ne sono certa) nel 1936 al caffè Deux Magots, ho 25 anni, lui 54.
Non è bello, ma travolge come un onda anomala, è riduttivo dire che ha fascino e carisma. E’ ipnotico. Ingenuamente cado nella sua trappola.
Non comprendo che sarà per me il vortice oscuro che mi trascinerà all’inferno, un inferno fatto di passione e atroci sofferenze.
Sarà la mia ossessione per sette lunghi anni.
Sarò la sua Musa e Lui il mio tormento.
Sarà l’ Amore vero per me, ma io sarò solo il suo divertimento.
Ogni parte di me, anche la più nascosta lo ha desiderato, rendendo eterno ogni istante con lui.
Ho perso ogni mia lucida facoltà perdendomi nel tempo e nello spazio.
Quando decide di creare Guernica , ormai prigioniera, non vedo altra via di fronte a me se non quella di esserci,come un ombra silenziosa.
Sono lì, immancabilmente lì, con la mia macchina fotografica, ormai anche lei strumento nelle sue mani.
Catturo senza tregua, ossessionata, ogni suo respiro, ogni sua tensione, ogni sua fatica.
La tela è Lui, è dentro di lei e non potrebbe essere altrimenti.
Lui non lo sa ma in ogni scatto io non documento solo le fasi di lavorazione del quadro.
Io solo in quell’istante, in quel preciso istante in cui la macchina fotografica ferma il tempo, riesco a provare ancora il brivido di una vita che non mi appartiene più e
l’Amore che sento bruciare celebra al mondo la gloria eterna del Genio.
E’ pieno di se stesso, incapace di provare alcun sentimento autentico, mi ritrae in diversi dipinti per compiacere il suo ego: la donna che piange, la donna con il gatto, il volto deformato da spigoli e diagonali, occhi sbarrati e spiritati: ”…sono la donna che piange, sono la donna verde dei quadri del genio , sono l’idea stessa del dolore: il mio, il suo, il dolore del mondo.”
Quale donna su questa Terra non sarebbe lusingata da tanto compiacimento artistico. Ma in quei ritratti non c’è nulla di me, nessuno è Dora Maar. Sono tutti Picasso.
Abbandono la fotografia perché Lui me lo chiede e provo a dipingere, sempre per suo volere.
Non sono alla sua altezza e in fondo chi lo è.
Lui si diverte a demolire il mio essere sempre più fiaccato con le sue feroci critiche distruttive, mi ripete sprezzante e divertito: “tanti segni per non dire niente”.
Non esisto più, se non nella sua mente ed alle sue condizioni. Non c’è più traccia della donna fiera e altera che voleva imporre al mondo la sua presenza.
“…Solo io so quello che lui è …è uno strumento di morte …non è un uomo, è una malattia”.
Lui possiede il corpo delle donne che “cattura”, le priva della loro dignità e amor proprio, le annienta, e tutte occultamente ci pieghiamo alle sue voglie e al suo potere.
All’orizzonte la sua nuova e giovane amante esibisce in pubblico la sua gravidanza.
Io sono sterile, “…l’aridità, il deserto, io sono il luogo dove si getta il seme e non fiorisce “.
Ora ho solo un unico desiderio: sparire inghiottita dalla depressione.
Con le ultime forze rimaste mi faccio ricoverare in una clinica psichiatrica, affronto gli elettroshock, poi la psicoanalisi con Lacan.
Dopo due anni di analisi ritrovo il mio equilibrio e con esso la forza di riprendere in mano la mia vita.
Sarò sola per tutta la vita. Non ci sarà nessun’altro dopo di lui.
Ha preso tutto di me.Andrò avanti come un involucro vuoto. La mia anima è stata svilita, torturata, annientata, ma passerò alla storia come la sua musa.
Avrò l’immortalità grazie ai suoi quadri.
Ho barattato, per un Amore che non è mai stato Amore, l’essenza della vita, della mia vita.
La mia storia insegni alle donne presenti e future che l’amore vero preserva, nutre, colora, moltiplica. Costruisce strade nuove, fortifica le pareti del cuore, allarga gli spazi, non ha confini.
Amate amate sempre ma prima di tutto voi stesse, i vostri sogni, la vostra identità di esseri unici e meravigliosi.
Dora Maar


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