“Aracnofobia” di Nicoletta Retteghieri


 

Questo rumore mi fa impazzire. È continuo, implacabile, monocorde. È il rumore delle sue fauci che, incessanti, masticano avidamente la sua ultima preda.
Sono imprigionata in questa caverna, e resto rintanata e incollata al fondo umido e buio.
Non vado verso l’unica, debole luce che proviene dalla stretta entrata.
Una stretta entrata che è anche l’unica uscita.
Che mi è difficile raggiungere, perché il mostro è là.
Ha steso un’enorme ragnatela che blocca tutta l’apertura.
Una ragnatela cosparsa di minuscole gocce di rugiada, che non sono abbastanza pesanti da spezzarla.
Il mio corpo è a contatto con la muffa della caverna, una muffa putrida e scura nella quale si ingarbugliano migliaia di piccoli esseri invertebrati e ciechi, che sicuramente aderiscono al mio corpo, anche se sono troppo terrorizzata per badarci.
Non ho occhi che per il mostro, grande, nero e peloso, con zampe infinite, che continua a masticare e probabilmente emette allo stesso tempo altra bava biancastra che ingrosserà e ispessirà la tela.
Tremo fino allo spasmo quando una folata più forte di vento scuote la ragnatela e allora il mostro la percorre freneticamente su e giù, a destra e sinistra, o in movimenti circolari, come per sincerarsi che tutto sia ancora a posto.
Le zampe instancabili hanno un modo disordinato e insieme aggraziato di muoversi.
Ogni tanto ne vedo una o due ripiegarsi per portare cibo nella cavità orrenda che è la sua bocca.
Anche se da questa distanza non distinguo le sue prede, so che ne rimangono di continuo invischiate nella trappola letale.
E quando il mostro si muove, temo che decida di scendere dalla tela ed esplorare la caverna, fino a giungere a me e ghermirmi.
Probabilmente mi inietterà la sua sostanza venefica e rimarrò paralizzata, poi comincerà a succhiare le mie viscere, fino alla fine, fino a prosciugarmi anche l’anima.
Non credo che si sia ancora accorto di me, e quindi rimango in silenzio, immobile finché posso, mentre qua e là nella caverna si sente l’eco di gocce calcaree che cadono, cominciando ignare a generare stalattiti e stalagmiti che prospereranno tra milioni di anni, sempre che la terra esista ancora.
Non resisto, dovrei procurarmi del cibo e ho bisogno di aria. Aria fresca, non quella ammorbante che sto respirando adesso.
Ma non posso muovermi, o morirò.
Non posso uccidere il mostro, non posso liberarmene, a meno che qualcuno non lo uccida al posto mio.
È una lotta impari, un ciclo che si ripete in natura, e che mi rende vittima, così come lui carnefice.
Perché io sono solo una mosca.


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