"Babbo Natale" di Maria Teresa Valle



Le immagini tornavano alla sua memoria come se tutto fosse accaduto ieri e non tanti anni prima. E avevano la vivida chiarezza delle scene di un film.
Solo la pena che le dilaniava la pancia le faceva capire che la protagonista era lei.

Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l’età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea…

E venne l’inverno che uccide il colore
e un Babbo Natale che parlava d’amore
e d’oro e d’argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni…
…………………………………………………………..
Aveva scoperto quella vecchia canzone di De André in una compilation che le aveva regalato una collega. Era rimasta immediatamente folgorata dalle parole. Ogni anno nei giorni che precedevano il Natale toglieva il CD dalla sua custodia e la ascoltava. Non che ce ne fosse bisogno. La conosceva a memoria. Però risentirla faceva parte di un rituale irrinunciabile.
Aveva necessità di assaporare una per una le parole e assimilarne appieno il senso per poi scomporre i versi, mescolarli come le carte di un mazzo, e ripeterli, fino a ridurli a un mantra. Ne aveva bisogno per esorcizzare quello che era successo. Per non tornare a colpevolizzarsi come aveva fatto prima, quando non conosceva ancora la canzone.
Si rivedeva bimba. Nell’istituto che era la sua casa. Aveva un grembiulino grigio e un fiocco che le teneva in ordine la massa di capelli ricci. Non ricordava nulla, prima dell’istituto. Le avevano raccontato di una madre, che a volte veniva a trovarla.
Lei non aveva memoria di nessuna madre. Nel suo ricordo c’erano solamente le suore. Senza baci né carezze. Le dicevano che era una bambina intelligente. Che doveva obbedire e comportarsi bene. Era ospitata nel collegio per carità.
Giocava silenziosa nel cortile con quel poco che aveva a disposizione. Sassolini. Petali di fiori.
Frequentava la prima classe delle elementari e aveva già imparato a leggere. Scriveva con grande attenzione. Le “o” e le “a” belle tonde. Le “b” e le “l” alte fino a toccare la riga. Le “i” sempre col loro puntino.
Aveva scritto la letterina a Gesù Bambino. Come le avevano suggerito le suore, ma lei sapeva che esisteva anche Babbo Natale. E di nascosto aveva scritto una letterina anche a lui, e, non avendo modo di recapitargliela, l’aveva messa nella tasca del grembiulino.
Era la vigilia di Natale e le compagne che avevano una famiglia erano andate tutte a casa. Nell’istituto erano rimaste solo le interne. Quelle che la casa non l’avevano. E neppure la famiglia.
Come ogni anno le pie donne della parrocchia erano arrivate a portare qualche giocattolo, vestiti e dolci per rendere il loro Natale meno triste.
Quell’anno c’era con loro una sorpresa. Babbo Natale!
Era tutto vestito di rosso, con una gran barba bianca e aveva un sacco da cui aveva cominciato a trarre fuori pacchetti colorati.
Le bambine erano rimaste a bocca aperta. Allineate lungo la parete del salone avevano guardato per qualche istante la scena senza avere il coraggio di muoversi. Poi tutte insieme, come tante piccole rondini che spiccano il volo, avevano rotto le righe senza aspettare l’ordine della suora, tanto era l’entusiasmo per la novità e il desiderio di accaparrarsi qualche pacchetto colorato. Avevano quasi assalito Babbo Natale sciamandogli intorno e vociando incuranti dei richiami delle suore.
Solo lei, trattenuta da un riserbo che non era timidezza, ma fierezza, si era tenuta in disparte. Aveva pensato di dare la sua lettera a Babbo Natale e stava aspettando il momento opportuno.
Quando i pacchetti furono tutti distribuiti, le bambine si diressero verso il tavolo dove le donne avano preparato i dolci e le fette di panettone.
C’era confusione. Le piccole si erano avventate su quelle leccornie. Afferravano i dolci e li mordevano con golosità. Erano così poche le occasioni che avevano di mangiarne!
Anche le suore si erano affollate intorno al tavolo, dimenticando, per una volta, la severità imposta loro dall’abito. Le risate e il cicaleccio riempivano la stanza.
Era stato allora che Babbo Natale le si era avvicinato. L’aveva presa per mano.
-Ho visto che sei timida e non sei venuta insieme alle altre per ricevere i regali. Così ho pensato di serbare delle cose per te. Vieni con me, non voglio che vedano che ti tratto in modo speciale.
La bimba non poteva credere alla sua fortuna.
Con trepidante emozione aveva messo la sua mano piccolina dentro la mano grande dell’uomo e si era lasciata guidare nella stanza accanto.
Babbo Natale aveva estratto dal sacco, un piccolo orsacchiotto e glielo aveva dato. Non era nuovo ed era pure un po’ spelacchiato, ma aveva un musino attonito, che suscitava tenerezza. Ed era morbido. Era il primo giocattolo veramente suo che poteva avere. La bimba lo strinse a sé e pensò che le avrebbe fatto compagnia in quelle notti buie, quando si svegliava nella grande camerata mentre le altre dormivano e lei aveva paura.
Lo avrebbe abbracciato e si sarebbero fatti coraggio a vicenda. Forse anche lui, come lei, era solo, senza nessuno che gli volesse bene.
-Guarda c’è anche un bel maglioncino rosso per te.
Babbo Natale le tolse il grembiulino, le fece indossare il maglione e si complimentò per come le stava. E non smetteva di accarezzarla, di dirle che era bella e che doveva essere anche brava.
Lei voleva ringraziarlo, ma improvvisamente lui l’afferrò e le premette una mano sopra la bocca. Poi le fece quelle cose terribili.

Il dolore e la paura la rendevano folle. Lei guardava l’orsacchiotto che le era caduto di mano. E avrebbe voluto raccoglierlo. Se avesse potuto abbracciarlo, forse avrebbe avuto meno paura.
L’uomo finalmente la lasciò e le raccomandò di non dire nulla alle suore se non voleva essere punita per le brutte cose che aveva fatto. Si allontanò calpestando il piccolo orso di pezza.
La bimba raccolse con grande delicatezza l’orsetto schiacciato e sporco. Pensò che aveva bisogno di essere pulito e curato.
-Non è niente- gli disse cullandolo tra le braccia -non è niente. Ora sei con me. Non ti può succedere niente.
Indossando in suo grembiulino si rammentò della lettera rimasta nella tasca e le venne da piangere. Asciugò le lacrime con la manica e tornò nel salone. Mentre le sue compagne giocavano allegre e facevano chiasso se ne stette buona, in disparte, perché le suore la ignorassero.
Se ne stette zitta ingoiando le lacrime perché le suore non la punissero.

Il Commissario aveva indetto la riunione per le sette di quella mattina. Era nervoso e si vedeva. Da quando nei luoghi pubblici e di lavoro era proibito fumare, non aveva pace. Non poteva certo uscire ogni volta che gli veniva voglia di una sigaretta! Non sapeva come sfogare lo scazzo.
La situazione era, a dir poco, ridicola. Da tre anni si verificava lo stesso assurdo delitto. E la polizia non era riuscita a scoprire niente. Ogni anno avveniva con modalità diverse e imprevedibili.
Avevano scomodato esperti. Avevano tentato di tracciare profili. Il serial-killer era di un tipo sconosciuto, speciale. Inclassificabile. Non rientrava in nessuno stereotipo. Aveva una modalità di condotta del tutto imprevedibile. L’unica costante era la scelta della vittima. Ogni anno a Natale, nel centro commerciale della città, un uomo, travestito da Babbo Natale, veniva fatto fuori. Non erano riusciti a evitarlo, né ad avere la ben che minima idea di chi fosse l’assassino.
Il commissario sapeva che, se avessero nuovamente fallito, l’opinione pubblica non glielo avrebbe perdonato.
I giornalisti sarebbero andati a nozze a sbeffeggiare la polizia titolando i loro articoli con frasi del tipo: “L’assassino di Babbo Natale colpisce ancora. La polizia brancola nel buio.”
Il questore gli avrebbe telefonato personalmente per dirgli che l’ennesimo fallimento gli sarebbe costato molto caro.
-Ragazzi, sapete perché siete qui. Stavolta non ci deve sfuggire. Abbiamo già fatto troppe brutte figure.
-Se almeno sapessimo se è un uomo o una donna, questo ci sarebbe d’aiuto.
-Esposito, se evitassi di dire stronzate sarebbe meglio. Sai benissimo che non sappiamo niente di niente.
-Non si poteva convincere quelli del centro commerciale a rinunciare a Babbo Natale per quest’anno?
-Ci ho provato, ma non c’è stato niente da fare. È un’attrazione per i bambini e chiama clienti. Insomma non vogliono saperne. Sono riuscito ad ottenere che la mascherata sia ridotta a un giorno solo. Abbiamo convenuto che la vigilia di Natale fosse la data migliore. Hanno provveduto a informare la clientela mettendo manifesti, distribuendo volantini. In questo modo limitiamo ad una unica giornata il tempo in cui dovremo sorvegliare il centro commerciale. E naturalmente sarà allora che tenderemo la nostra trappola. Li ho convinti ad accettare che a travestirsi da Babbo Natale sia ……uno di noi.
Aveva pronunciato quelle parole tenendo lo sguardo abbassato, ma fu costretto a guardarli mentre chiedeva: – Chi si offre volontario?
I poliziotti tutti insieme, come un sol uomo, lo guardarono attoniti pensando: “Ma figurarsi! Travestirsi da Babbo Natale! E che cazzo!”
-Coraggio, mi serve un volontario. Indosserà un giubbotto antiproiettile e avrà come scorta gli uomini migliori.
Dall’ultima fila una mano si alzò timidamente.
-Lo faccio io.
Il vecchio poliziotto era in piedi ed aveva accettato.
-Bravo! – aveva detto il commissario sollevato – Ti sei mai travestito da Babbo Natale?
-Beh, sì, una volta, tanti anni fa. È stata una bella esperienza.
-Bene, allora sai quello che devi fare con i bambini. Però, mi raccomando, devi mostrarti tranquillo. Devi guardarti intorno per cercare di capire dove si nasconde il serial-killer, ma senza farti accorgere. Devi stare in campana, ma non si deve capire che sei un poliziotto. E stai tranquillo ci penseremo noi a proteggerti. Ora preparatevi. Voglio sedici uomini in borghese, con quattro macchine, più Babbo Natale, naturalmente. Ho studiato la pianta del centro commerciale, vi farò vedere sul posto come disporci. Manderò anche qualche poliziotto in divisa, come ci si aspetta che succeda. Quelli di noi che saranno in borghese dovranno mescolarsi con la gente, fingere di essere acquirenti al centro per gli ultimi acquisti di Natale. Bisognerà sorvegliare anche lo spogliatoio dove avverrà il cambio d’abito del collega. Ho già fatto predisporre una telecamera che riprenda anche quella zona. Per il resto ci sono le telecamere a circuito chiuso della sicurezza.
L’idea di far travestire uno dei suoi uomini da Babbo Natale gli sembrava buona. Era sicuro che un poliziotto sarebbe stato in grado di capire se e quando qualcuno fosse sul punto di ucciderlo. E poi la scorta era numerosa e ben addestrata. Questa volta, ne era sicuro, l’avrebbero preso.

Era pronta. Anche quest’anno avrebbe portato a termine la sua missione. Aveva avuto un anno di tempo per prepararsi. Aveva indossato una parrucca scura sui bei capelli biondi. Un cuscino legato sotto il cappotto simulava una pancia da gravidanza quasi a termine.
Era così credibile che sull’autobus un signore le aveva ceduto il posto.
Era l’ora di maggiore affluenza al centro commerciale. Frotte di bambini accompagnati dalle mamme, facevano la fila per confidare a Babbo Natale quale regalo avrebbero voluto ricevere. I papà si tenevano più defilati, già stufi di andar per negozi, trascinati dalle mogli.
Si mescolò con la folla e girovagò soffermandosi a guardare le vetrine. Davanti al negozio di giocattoli la sua attenzione fu attratta da un orsacchiotto. Era più bello e più grande, ma aveva la stessa espressione attonita e indifesa di quello che aveva ricevuto in quel lontano Natale. A lui si era aggrappata in quei giorni duri per tutto il tempo che era rimasta nel collegio. Abbracciata a lui aveva dormito la notte. Lo aveva tenuto nascosto. Alle suore non piaceva che le bambine portassero giocattoli a letto con loro. Per anni aveva giocato d’astuzia per non farsi scoprire. Era stata la sua ancora di salvezza, la ragione che la teneva incollata alla vita. Lo aveva portato con sé quando era uscita dal collegio. Non lo abbandonava mai.
Aveva giurato a sé stessa e a lui, che ce l’avrebbe fatta. Ma non era riuscita a perdonarsi fino a che non aveva sentito la canzone. Allora aveva capito. Non era lei che doveva vergognarsi, non era lei che doveva pagare. E aveva preso le sue decisioni.
Si intrufolò in mezzo alla gente che attendeva di parlare con Babbo Natale, fino a che individuò il soggetto adatto.
Era una piccola di circa sei anni, a giudicare dall’aspetto.
Era magra e minuta. Un viso delicato, dai colori chiari. Aveva un semplice vestitino grigio, con un colletto bianco che le dava una grazia particolare. Un nastro teneva discosti dal viso i capelli biondi, lunghi e ribelli. Come fanno spesso i bambini appoggiava un piede sopra l’altro, incurante della scarpa di vernice che si andava rovinando.
Era imbronciata e si teneva un po’ discosta dalla mamma intenta a parlare con un bimbo più piccolo.
-Ciao. Come mai così imbronciata? Qualche cosa non va?
-Ciao…. come fai a saperlo?
-Sono un po’ magica.
-Davvero? Più magica di Babbo Natale?
-Sono magica in un modo diverso. Ma dimmi di te. Perché quel faccino triste? Non vuoi parlare con Babbo Natale?
-Certo. È proprio per questo che sono triste. La mamma dice che non posso chiedergli il mio regalo.
-Perché?
-Dice che il regalo che desidero non è adatto per una bambina. Per questo lui non vorrà neppure starmi a sentire.
-Ma allora io ti posso aiutare!
-Puoi, davvero?
-Io conosco Babbo Natale, è un gran golosone! Farebbe qualsiasi cosa per un dolce. E io ho proprio quello che ci vuole. Tieni. Dagli questa caramella da mangiare! Assicurati che la metta in bocca e vedrai che ti accontenterà.
-Grazie. Ma sei sicura?
-Fidati. È una caramella magica.
Aveva messo nelle mani della bambina una caramella fasciata in una carta dorata.
Si allontanò di qualche passo, e continuò a osservare la scena. Voleva essere sicura che tutto andasse secondo le sue previsioni e la piccola eseguisse puntualmente la consegna, senza cedere alla tentazione di mangiare la caramella.
Al commissario venne un accidente quando se ne accorse. Non aveva pensato ad avvisarla di stare a casa quel giorno. Non gli era proprio venuto in mente. Ora era troppo tardi. Non poteva andare a parlarle né incaricare qualcuno di farla allontanare, senza mandare a puttane tutta l’operazione. E lei era proprio lì, davanti ai suoi occhi, a non più di cinquanta metri da lui. Era lì con il piccolo per mano. E la grande un po’ più in là. Imbronciata come sempre. Era logico, i suoi figli, come tutti i bambini della città, volevano vedere Babbo Natale. E sua moglie li aveva accompagnati. Era stato un imbecille a non pensarci! Ora erano lì davanti a lui. Tutta la sua famiglia. E lui non poteva fare niente. Guardò sua moglie e non poté fare a meno di notare come era bella. Sentì una morsa allo stomaco che era dovuta solo in parte all’apprensione.
La mano del piccolo era stretta in quella della donna, che era china su di lui e gli parlava all’orecchio per farsi sentire nel chiasso della gente che vociava allegra intorno a loro. Vedere la bimba con quella faccina imbronciata gli trafisse il cuore. Chissà quale piccolo grande dolore le faceva arricciare le labbra e rannuvolare gli occhi. Con il suo carattere caparbio entrava spesso in rotta di collisione con la madre. Sovente lui doveva fare da cuscinetto tra le due.
Una donna si era avvicinata alla bambina e le stava parlando. In quel momento dall’auricolare gli giunse la voce di Gibelli che richiedeva la sua presenza negli spogliatoi del personale. Avevano fermato un ragazzo che si aggirava con fare sospetto vicino allo stipetto dove il poliziotto si era cambiato. Volevano sapere che farne.
Il commissario si incamminò sbuffando verso gli spogliatoi.
Quella bambina la preoccupava. Il padre non voleva dare peso ai suoi timori di mamma. Diceva che era esagerata, troppo apprensiva. Che la bambina attraversava un normale periodo di crescita. Tutti i bambini diventano oppositivi ad una certa età. Cominciano a voler misurare la loro volontà nei confronti dei genitori. Questo andava bene. Questo era normale. Quello che la sconcertava era la determinazione nel perseguire dei sogni così diversi da quelli di tutte le bambine della sua età. Le sue coetanee giocavano con le bambole, con le Barbie, adoravano i peluche, volevano frequentare corsi di danza, facevano i capricci per i vestitini alla moda. Sua figlia, con quel suo corpicino esile e aggraziato, quel visino delicato, contornato da morbidi capelli scompigliati, mostrava invece un carattere d’acciaio. Disdegnava bambole e pupazzi. Voleva fare un corso di karate e avrebbe voluto indossare sempre i jeans. Per farle mettere un vestito bisognava minacciarla di qualche castigo. Era timida, ma era tenace come un mastino. Bisognava cercare di intervenire fin che si era in tempo. Anche oggi l’aveva fatta ammattire per il regalo di Natale. Voleva niente di meno che una pistola. Certo non una pistola vera. Ci mancherebbe! In ogni caso quella che le aveva fatto vedere nella vetrina del negozio di giocattoli era un cannone che non stava neppure nella sua mano. E la colpa era del padre. Lei lo adorava. E voleva diventare un poliziotto, proprio come lui. Ecco quello che sognava la piccola. A casa non faceva altro che nascondersi dietro le porte per fare agguati a fantomatici criminali. Inseguiva il fratellino per arrestarlo. Metteva in scena nei suoi giochi delitti e indagini conseguenti.
Ora era lì imbronciata perché le aveva detto che non poteva chiedere a Babbo Natale un regalo di quel genere. Se ne stava in disparte a sbollire la rabbia e un po’ le faceva pena, ma non poteva certo assecondarla! Aveva solo sei anni! Se almeno il padre non l’avesse incoraggiata, come invece faceva. In famiglia bastava un poliziotto. Ci mancava solo che anche lei seguisse le sue orme. Vide una donna incinta che si avvicinava alla bambina. Sembrava che se la intendessero. Forse sarebbe riuscita a consolarla. E a convincerla a desistere dal suo ostinato proposito di volere una pistola per regalo.

La bimba si era un poco rasserenata. Quella strana donna con la pancia aveva una parrucca. Lei se ne era accorta subito, perché una piccola ciocca bionda spuntava vicino all’orecchio. Però era stata simpatica con lei. Le aveva fatto passare un pochino la preoccupazione. E poi le aveva regalato una caramella magica. Non era un regalo che si può ricevere tutti i giorni. Anzi, a ben pensare, la bimba non ne aveva mai ricevuto una prima di allora. Un regalo così prezioso andava usato con accortezza.
Aveva visto il padre non lontano da lei e sapeva che era al centro commerciale in servizio. Sapeva bene che non poteva assolutamente avvicinarlo quando stava facendo il suo lavoro di capo dei poliziotti. Non era una stupida.
Avrebbe chiesto il suo regalo a Babbo Natale. Voleva farlo!
Si voltò per controllare che la madre non la stesse guardando. Era occupata con suo fratello. Frignava, come al solito. Faceva i capricci. E mamma doveva sempre badare a lui. In questo caso era una fortuna per lei. Non si sarebbe accorta di quello che stava per fare. Doveva approfittare del momento.

Si era messo il costume da Babbo Natale sopra il giubbotto antiproiettile. In quel modo non aveva neppure dovuto indossare l’imbottitura. Un’ondata di ricordi lo invase. Tornò con la memoria a quel Natale di tanti anni prima. Dio come era bella quella bambina! Non aveva mai più trovato una come lei. Era così delicata. Così minuta. Così deliziosamente ignara e ingenua. L’aveva seguito così facilmente. Era bastato un orsacchiotto pulcioso e uno straccetto per convincerla a seguirlo….. Con le bambine di oggi, così smaliziate, era tutto più difficile. E molto più pericoloso. Nei giardini le nonne e i nonni erano all’erta. Neppure pensarci.
Era stato ben felice di poter sfruttare quell’opportunità.Travestirsi da Babbo Natale era un modo per tornare indietro nel tempo a quella volta. E poi quale occasione migliore? Avrebbe potuto accarezzare le bambine sotto gli occhi di tutti, senza nessun timore.
Si sedette nel centro dell’atrio al pianterreno, dove i bambini avevano già cominciato ad affluire. Si guardò intorno e controllò che i colleghi fossero tutti piazzati nei punti che il commissario aveva stabilito. Questa volta, ne era sicuro, il serial-killer avrebbe avuto una brutta sorpresa. Non si aspettava certo che a indossare quei panni sarebbe stato un poliziotto. E uno con la sua esperienza. Conosceva bene il suo mestiere.
I bambini cominciarono ad avvicinarsi. Prima timidi, dovette chiamarli uno a uno e invitarli a non avere vergogna, a confidargli senza timore quale regalo avrebbero voluto trovare sotto l’albero. Alcuni erano più intraprendenti, altri andavano incoraggiati.
Mano a mano che si presentavano davanti a lui, prendeva in braccio i più piccoli, abbracciava i più grandi e ascoltava tutti con grande pazienza. Sorridendo li rassicurava, dopo aver scambiato uno sguardo d’intesa con la madre, confermando che avrebbero ricevuto il regalo che desideravano.
La bimba che gli comparve davanti, aveva un vestitino grigio, un fiocco a tenere in ordine una capigliatura ribelle, e un atteggiamento timido che gli provocarono un tuffo al cuore. Somigliava a quella bambina…. di tanti anni prima.
-Piccola, dimmi, come ti chiami?
La piccola rispose con un filo di voce.
Lui le prese la mano e l’attirò a sé. La fece sedere sulle ginocchia e le disse che era molto bella.
-E dimmi, quale regalo vorresti?
La bimba cercava di trovare il coraggio di chiedere quello che le stava a cuore. Gli disse che glielo avrebbe detto nell’orecchio. Si allungò e mise la mano a conchiglia per fargli arrivare meglio la sua voce. Soffiò le sue parole insieme al suo fiato caldo nell’orecchio dell’uomo.
Quel gesto così ingenuamente intimo gli provocò un tale turbamento che non riuscì a parlare.
Passata l’emozione gli arrivò al cervello il senso delle parole che la piccola aveva pronunciato. Aveva sentito bene? Quella bambina, così delicata, così carina, che lo aveva così emozionato, gli stava chiedendo una….pistola? Voleva come regalo di Natale una pistola?
La bimba aspettava la sua risposta e interpretò il suo silenzio come dissenso. Si rattristò pensando che tutto sommato la mamma aveva avuto ragione, ma poi si ricordò della signora con cui aveva parlato prima e della caramella magica che le aveva dato.
La tirò fuori dalla tasca e la mise nella grande mano dell’uomo.
-Mangiala- gli disse -per favore!
Visto che lui non si muoveva gliela sfasciò e velocemente gliela mise in bocca. L’uomo a quel punto si riscosse, la guardò e fece di sì con la testa. Non sapeva cosa dirle.
La bimba, felice, scese dalle sue ginocchia e si voltò indietro per guardare la donna che le aveva dato la caramella. La cercò con gli occhi e infine la vide, discosta dal gruppo di bambini, in attesa. Anche lei la stava guardando. Le sorrise, e annuì, come a dirle “Grazie, ha funzionato”.

Aveva osservato la scena da lontano tenendosi accostata alla porta d’uscita.
Aspettò per un tempo che le parve lunghissimo. Poi Babbo Natale smise all’improvviso di parlare con i bambini.
Restò un attimo immobile. Si portò le mani allo stomaco, mentre la barba bianca si andava inondando di bava schiumosa. Atteggiò il viso a una smorfia di dolore. Si piegò in avanti e lentamente, come un albero spezzato, crollò a terra in mezzo ai bambini attoniti.
A quel punto successe il finimondo. Tutti i poliziotti si precipitarono verso il collega. Si sentivano ordini concitati che venivano urlati. I bambini vennero fatti allontanare. La confusione era totale. La folla creò involontariamente ostacolo alle operazioni di polizia, intralciando in tutti i modi possibili i poliziotti.
Un’ambulanza si dirigeva a sirene spiegate verso il centro commerciale incrociando l’autobus che procedeva nella direzione opposta.
Sopra l’autobus la donna incinta guardò fuori dal finestrino. Pensò che anche quell’anno Babbo Natale non avrebbe fatto male a nessun bambino. Tirò fuori dalla borsa un orsacchiotto così logoro e sdrucito da essere quasi irriconoscibile e si mise a cullarlo dolcemente, cantando sottovoce una vecchia canzone, incurante degli sguardi incuriositi degli altri passeggeri.

Parlavi alla luna, giocavi coi fiori….
……………………………………..

Il commissario era imbestialito. Dopo che la moglie ebbe messo a letto bambini, prese a passeggiare nervosamente sul tappeto del salotto. Non avrebbe voluto né dovuto sfogarsi con lei, ma non era riuscito a trattenersi.
-Capisci, tutto quello che poteva andare storto è andato, non storto, addirittura a puttane!
-Non dire parolacce, i bambini ti possono sentire.
-Altro che parolacce direi. Siamo lo zimbello della città. Abbiamo perso un agente e non sappiamo niente. Ti rendi conto? Mi hanno chiamato negli spogliatoi per un ragazzetto che era andato lì a farsi una canna. E così non ero dove dovevo essere, quando è successo tutto. Quando il collega vestito da Babbo Natale è crollato a terra è cominciato il finimondo e prima che siamo riusciti a bloccare le porte del centro commerciale hanno avuto tempo di uscire tutti gli assassini del mondo! Abbiamo interrogato decine di testimoni. Nessuno ha visto niente. Anche tu che eri lì a pochi metri di distanza, non hai saputo dirmi nulla.
-È così. Mi dispiace. Ero distratta dal piccolino che aveva piantato un capriccio dei suoi e cercavo di farlo smettere di piangere. Ma le telecamere non hanno mostrato nulla che potesse essere utile?
-Niente. Non ci si può credere. Abbiamo visionato tutti i nastri. C’è una marea di gente che va avanti e indietro, che copre il campo. E, per quel poco che si vede, Babbo Natale è sempre stato circondato da bambini. Non posso pensare che l’assassino sia un moccioso di cinque o sei anni. È impossibile.
-Ma come è morto il vostro poliziotto?
-È stato avvelenato. E il veleno era nello stomaco. Quindi deve averlo ingerito. Qualcuno deve avergli dato qualche cosa da mangiare. Naturalmente non sappiamo quando, né chi, né che cosa.
-Io lo so!
La vocina della figlia del commissario era arrivata forte e chiara.
-Non dovresti essere a letto tu?
Dalla zona in ombra dove era stata nascosta ascoltando la conversazione dei suoi genitori, la piccola fece alcuni passi avanti, entrando nel cono di luce della lampada a stelo. II chiarore faceva splendere il pigiamino giallo e i capelli biondi spettinati.
I due restarono per qualche secondo immobili e muti, guardando quel piccolo folletto giallo, mentre tornava loro nelle orecchie l’eco delle sue parole.
Il commissario era rimasto nel dubbio. Che cosa aveva detto la figlia? Aveva capito bene?
-Che cosa hai detto?
-Sì, papà. Hai capito bene. Io so chi è e so anche come ha fatto! Questa volta lo prendiamo l’assassino di Babbo Natale.


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