“Bar Villiam” di Paola Varalli


Alùura Viliam, te me feet un cafè?”
 
La voce, che ordinava un caffè in dialetto milanese, apparteneva ad un uomo sulla settantina, statura media, un poco sovrappeso.
Un gilet grigio, di maglia, nascondeva una camicia azzurra, un poco lisa.
Un nonno.
Un nonno come tanti altri, con pantofole di feltro con la cerniera e occhialini da presbite.
C’era, però, un particolare.
Il “nonno” era cinese.
Proprio cinese, occhi a mandorla e colorito giallognolo.
Un vecchio cinese che parlava milanese, e anche bene. Se non ci si voltava, se non lo si vedeva in faccia, si poteva pensare che quella fosse la voce di un pensionato del Giambellino oppure, chissà, di un idraulico della zona, trumbèè come si dice a Milano. Qualcuno nato lì da generazioni. Invece no.
Cinese.
Viliam, il barista, riempì il filtro con il caffè in polvere e lo infilò deciso nella vecchia “Cimbali”. Un odore caldo iniziò ad impregnare l’aria.
em>Viliam sorrise al cinese e mise un piattino sul piano di acciaio del bancone di Formica marmorizzata, in pieno stile anni cinquanta.
Due vetrine incastonate, come una pietra antica, in una viuzza laterale della via Paolo Sarpi, nel cuore e nelle viscere della China Town di Milano.
Entrando ci si trovava il bancone di fronte, a destra juke-box e flipper, a sinistra tre tavolini quadrati di laminato finto – legno, con le gambe sottili.
Il pavimento era ancora quello delle vecchie case di ringhiera: losanghe di graniglia nere rosse e grigie e le sedie, accostate ai tavolini, erano tutte spaiate. Un bar come molti, raffazzonato ma genuino.
Il padre di William, (anzi del Vìliam, dato che tutti lo chiamavano così) di nome faceva Socrate, e doveva aver avuto due genitori fantasiosi.
La sua attività di ristorazione era iniziata con un carretto di gelati in Abissinia.
Poi era rientrato in Italia e aveva aperto il Bar.
Quando entrava qualche venditore di tappeti, lui gli si rivolgeva “in lingua”, l’africano ne gioiva, appoggiava i tappeti in un angolo e sedeva a sorbirsi il suo caffè. Socrate faceva la sua porca figura nei confronti degli avventori tutti.
Socrate il poliglotta. Socrate l’africano.
L’aperitivo, dal Viliam, non era esattamente un Happy Hour.
Lontano dalla Milano “trendy” con tartine di cervo su pane integrale caldo bagnati da Falanghina o Muscadet.
Dal Viliam funzionava così: due persone, due olive.
Tre persone, tre olive.
Poteva però accadere che, poniamo caso, vedendo entrare due che conosceva  lui mettesse sul banco tre bicchieri.
Questo gesto aveva un significato preciso: l’aperitivo lo offriva lui, era in vena di scialacquare.
In occasione di questo raro evento le olive nel piattino erano tre. E compariva anche una piccola ciotola di vetro con dentro qualche patatina rafferma.
Viliam non era marketing-oriented.
Ogni giorno, verso le dieci del mattino, si presentava una signora magra e bassetta, con un basco blu alla francese, capelli grigi a caschetto e scialletto d’ordinanza delle portinaie della zona.
Beveva sempre la stessa cosa: un caffè e un Grigioverde.
A questo punto occorre fermarsi un attimo e chiarire due punti fondamentali:

  • Il Grigioverde è un liquore ad elevata gradazione alcolica.
  • La signora in questione, oltre ad avere probabilmente un fegato d’acciaio, era dotata di uno sguardo magnetico e penetrante.

Tutti i presenti si fermavano e la guardavano affascinati.
Ma nessuno sapeva bene perché: la signora con lo scialletto non era poi così bella e nemmeno tanto giovane.
Però era magnetica e misteriosa.
Iniziava col sorbirsi  prima il caffè e poi l’amaro. Si accendeva una sigaretta, pagava e non usciva se non aveva messo su una canzone nel juke-box.
Sempre la stessa: Mani Bucate di Sergio Endrigo.
Se ne stava seria a guardare il braccio meccanico del juke-box che viaggiava alla ricerca del disco nero a 45 giri , il braccio che si fermava, estraeva il disco, lo metteva sul piatto e la puntina iniziava a far uscire la musica. Allora si appoggiava al bancone e fumava la sigaretta con aria assente.
Alla fine del rito se ne tornava in portineria.
Ecco, quello era proprio il momento in cui si scatenavano le ipotesi e le congetture.
Taglio e cucito, gossiping, petteguless… in poche parole: nessuno in quel Bar, a partire dal Viliam stesso, era veramente incline a farsi i cazzi suoi.
Ogni mattina un’idea diversa. Quella mattina lì stavano ricamandole addosso un passato da contrabbandiera.
“Secondo me portava le sigarette dalla Svizzera, mi è parso di sentirle un vago accento comasco”
A parlare era un uomo di mezza età, con la tuta da idraulico, e una cicca in bocca, con voce grave, da fumatore incallito, giocava a carte con un pelato di nome Marietto.
“Ma và, quando mai le hai sentito dire più di due parole?”
Disse Viliam, lavando con cura un bicchiere.
“Ieri, ieri ha ringraziato il Luigi che le ha raccolto il basco da terra.”
Continuò l’idraulico
“ Sì, perché adesso grazie a Como si dice diverso …”
“ Quanto sei pirla, a me mi è sembrato un accento del lago…”
L’uomo pelato, che giocava a carte con l’idraulico, tagliò corto:
“Piuttosto è la canzone che ci deve dare un aiuto, quella sciura sarà in zona da tre o quattro mesi e suona sempre quella roba lì, possibile che non glie ne piaccia nessun’altra?”
“Vero, c’ha ragione il Marietto, per me ci deve avere un ricordo con quella canzone, una roba importante, una fissazione.”
Detto ciò l’idraulico si alzò, mise una moneta nel juke-box, selezionò la canzone in questione e se ne tornò a sedere nell’angolo.
La voce di Sergio Endrigo, con quel suo timbro strano, un po’ tremulo e sofferto uscì dalle casse svolazzando.

MANI BUCATE

 Non hai saputo
tenerti niente,
neanche un sorriso sincero,
e avevi il mondo,
il mondo intero,
nelle tue mani.
Tutto hai perduto,
anche l’amore,
buttato via
dalle tue mani,
mani bucate.

Non hai saputo
tenerti niente,
neanche un amico sincero.
Avevi tanto
e hai sempre dato
tutto a nessuno.
Tutto hai perduto,
anche il mio cuore,
buttato via
dalle tue mani,
mani bucate.

Ora lo sai
nessuno torna indietro
e io non sono più io.
E’ inutile che pensi a me.

Adesso piangi,
adesso chiedi
un po’ di amore sincero.
Un po’ d’amore
per il tuo cuore
solo e malato.
Non c’e’ nessuno
che ti dia un fiore,
ne’ una mano
per le tue mani,
mani bucate.

Non c’e’ nessuno
che ti dia un fiore,
ne’ una mano
per le tue mani,
mani bucate.

Sedute ad un tavolo accanto alla vetrina c’erano due commesse della drogheria, in pausa caffè. Una di loro sgranò gli occhioni bistrati:
“Voi dite che si tratta di una storia segreta e romantica?”
“ Mah, mi su no, certo che le parole sono ben tristi, una storia di solitudini da tagliarsi le vene”
L’idraulico, sputò il chewing gum in un posacenere e la ragazza lo guardò male:
“E’ perché voi uomini, quando si tratta di romanticismo, non volete ascoltare, a voi vi interessa solo di pucciare il biscottino.”
L’altra commessa, la Gina, con un libro di Liala sul tavolino, e le scarpe con le zeppe ai piedi, parlava con voce un po’ in falsetto e l’aria sognante, tirò un sospirone e continuò:
“Per me la signora del Grigioverde ha un passato avventuroso, forse stava con un uomo che la amava tanto e lei lo ha lasciato, è fuggita via ed ora è sola e triste e sa di aver sbagliato, lui le manca, ma non può più farci più niente.”
Il Viliam appoggiò tutti e due i gomiti sul bancone, tanto per sottolineare che ciò che stava per dire era strettamente confidenziale, e si sporse verso gli avventori:
“Secondo me, quella lì faceva davvero la contrabbandiera di sigarette, ma poi ha sperperato tutto quello che aveva guadagnato, anche i soldi del suo uomo che faceva i sentieri in montagna con lei. Da qui la storia delle mani bucate.”
“No, no – disse il Marietto – è che lei si sente vecchia e così si tritura le orecchie, e – per inciso- ce le tritura anche a noi, con quella lagna di Sergio Endrigo. Ma dico, non potrebbe mettere su qualcosa di più allegro? Sai quando la canzone dice:
Adesso piangi, adesso chiedi
un po’ di amore sincero. Un po’ d’amore
per il tuo cuore solo e malato.
Ecco, in questo modo, se è depressa si dà il colpo finale. Non vi pare anche a voialtri?”
Poi annusò l’aria come se gli mancasse qualcosa:
“Cià Viliam fam un cafè, và!”
“Subito, Marietto”
E il Viliam arretrò dalla posizione confidenziale per tornare al suo lavoro di barista.
“ E se, ipotizziamo, – disse Occhi Bistrati- che la signora del Grigioverde avesse dovuto andare via, lasciando il suo uomo che pure amava, per cause di forza maggiore?”
“Quali cause?” Le chiese il Marietto
“Mah, per esempio lei portava le sigarette dalla Svizzera, qualcuno l’aveva riconosciuta e la voleva denunciare ai Finanzieri, allora lei ha pensato: se me ne vado, cambio città e mi trovo un lavoro lontano, lui si salva, se invece mi prendono, finisco per tradirlo e così finisce dentro pure lui. Allora lo ha lasciato e gli ha fatto credere che non lo amava più e invece era tutta una cosa per salvarlo dalla galera.”
“Sì, beau geste! Ma te hai visto troppi film!”
Marietto, virile e gommista, era poco propenso alle smancerie.
“Beh, guardate che non è mica tanto una idea strana, potrebbe anche essere andata così, lei ora è trasandata, ma avete visto che sguardo? Non può essere una donna qualunque, non è stata sempre portinaia. Se fossimo in altri tempi la direi una donna pirata, oppure… chessò… una spia”
Incalzò la Gina.
“Si, la nonna del Corsaro Nero, ma fammi il piacere, Gina.”
Marietto, sempre più pragmatico.
Viliam aggrottò le sopracciglia e se ne uscì con una delle sue perle di saggezza: “potrebbe anche essere stata una fiorista o una giardiniera”
Occhi Bistrati lo guardò interrogativa: “…E perché mai?”
“ Beh, per la faccenda dei fiori”
“Quale faccenda dei fiori?”
“Quella della canzone… aspetta come fa… ah, si ecco:
 
Non c’e’ nessuno che ti dia un fiore,
 ne’ una mano per le tue mani, mani bucate.
Marietto scoppiò in una grassa risata da fumatore accanito.
“Ma Viliam! Te le stronzate te le sogni di notte o ti vengono così… naturali?”
“Sentite – intervenne deciso l’idraulico – domani si prende il toro per le corna!”
“Cioè?”
“Cioè, quando viene, alla solita ora, io ce lo chiedo e la facciamo finita con questa storia”
In quel mentre entrò Socrate con le borse della spesa.
“Cosa è che chiedi? A chi?”
“Vogliamo sapere perché la signora del Grigioverde mette sempre su la stessa canzone tutti i giorni.”
“Io lo so”
disse Socrate e se ne andò in cucina, ad appoggiare i sacchetti del mercato.
Marietto guardò Viliam
Viliam guardò Occhi – bistrati
Occhi – bistrati guardò la Gina
La Gina guardò l’idraulico
E tutti si girarono a guardare la cucina.
“Soocrateee!”
“Vieni un po’ qua!”
Socrate tornò nel locale asciugandosi le mani in un lungo grembiule a righine che si era messo nel frattempo.
 Se ghè? Cosa c’è? Dai ragazzi che ciò da fare.
“Come faai a saperlo?” Marietto calcò sulle vocali e sul punto interrogativo.
“A sapere cosa?”
“A sapere perché la signora del Grigioverde mette sempre su la stessa canzone!”
“Lo so perché glie l’ho chiesto”
 Viliam smise di lavare bicchieri, Marietto e l’idraulico si avvicinarono a Socrate e anche le due commesse del droghiere si sporsero in avanti per non perdersi una parola.
“E cosa ti ha risposto?” (Marietto)
“Perché la mette su tutti i giorni?” (Idraulico)
“Perché Sergio Endrigo?” (Viliam)
“Perché mani bucate?” (Occhi – bistrati)
Socrate sedette un attimo e guardò gli altri che lo circondavano incalzanti.
Lo osservavano come se fosse l’oracolo di Delfi.
L’anziano Barista si prese il suo tempo, gustandosi con consumata pazienza la temporanea posizione di potere.
Poi sorrise serafico, si lisciò il grembiule e rispose candidamente:
“Perché le piace.”


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