"I dieci comandamenti" Di Erica Arosio e Giorgio Maimone


10com-gr

I. Genti diverse, venute dall’Est (Non avrai altro Dio all’infuori di me)

La prima volta l’ho vista scritta su un muro. Un po’ mi inquietava. Così assertiva, così ultimativa. Un comandamento? Un ordine piuttosto. Come un sergente feroce alla più renitente delle sue reclute. E allora ho iniziato a cercare. Altri dei. Altre scritte. Le ho trovate, ma quasi tutte (quasi) erano altrettanto assertive. Tu potevi scegliere il tuo Dio, costruirtelo a tua immagine e somiglianza, ma, una volta che l’avevi scelto, era lui a possedere te. Non era tua una parte del Dio, eri lui che faceva parte di te. Anzi faceva al posto tuo: non devi prenderti la briga di pensare o di sognare, c’è chi lo fa per te. Non devi prenderti il tempo per pensare o scegliere come fare, c’è chi l’ha già fatto per te. Da quel momento in poi è come mettere il pilota automatico: non c’è argomento su cui il tuo Dio di turno (o chi per lui) non abbia stabilito come si fa. Dalla dita nel naso al sesso estremo. Allora come potevo credere all’immagine e somiglianza io che mi sono costruito, sono vissuto, sono invecchiato nel dubbio? Il dubbio mi rimaneva. E quando ti rimane un dubbio, è inevitabile, ti allontani da Dio. Il Dio è verbo, è essenza, ma non benzina o gasolina. Io sono al massimo un aggettivo. O un segno di interpunzione. Cosa può mai un misero segno di interpunzione contro i disegni dell’assoluto? Ma fu proprio in un assolato meriggio che l’assoluto prese forma sotto forma di una mosca, mascherata da puntino di interpunzione. La mosca si posò sulla scritta e finalmente, per la prima volta, dopo molti anni riuscii a leggerla bene e a comprenderla. “Non avrai altro, Dio. All’infuori di me”. Ero io il soggetto della frase. Fu a quel punto che presi il fucile e mi sparai un colpo in bocca. Non avrai altro, Dio. All’infuori che me.

Ernst Hemingway – scrittore americano. Il 2 luglio 1961  si uccide sparandosi con il suo fucile. C’è chi dice (pochi) che si sia trattato di un incidente. Avrebbe compiuto 62 anni il 21 dello stesso mese.

 

II. Ma forse era stanco, forse troppo occupato (Non nominare il nome di Dio invano)

Il silenzio è pneumatico e mi sembra di vederlo il mostro spaziale che inghiotte nelle sue fauci spalancate anche il più impercettibile rumore, per il gusto sadico di far ingigantire la mia solitudine. Fluttuo nell’immensità, imprigionata in questa bolla di metallo  frutto della superbia umana. I comandi come elastici rotti, come molle saltate non rispondono alle mie mani addestrate, la radio ha emesso simili a  rantoli gli ultimi segnali  gracchianti  e io galleggio nel buio. Maledico gli uomini, maledico tutti gli dei dell’universo, maledico chi ha permesso che io venissi abbandonata, dimenticata, buttata via come un rifiuto. Urlo con tutto il fiato che mi resta ma la mia voce è ovatta.  Conosco le regole: il  mio nome verrà cancellato da tutti i documenti. I miei familiari verranno minacciati, forse corrotti, comunque tacitati e io non sarò mai esistita. Ma adesso sono ancora viva, il mio cuore batte e scoppia dentro di me e mille ricordi si affacciano uno dopo l’altro, spintonandosi per farsi largo nella mia inutile mente. Tutto quello che ho studiato, le centinaia di ore di esercitazioni, tutto è inutile. Dio ingrato, dio crudele, dio feroce, Dio! Perché ti vendichi su di me? Per quale disegno imperscrutabile proprio io, con ancora tutta la vita davanti, devo morire al mondo? Io che non ho neppure provato la gioia di stringere un figlio al petto, che non ho amato come sognavo. Una pioggia di meteoriti luccica all’orizzonte del nulla, sassi dorati precipitano contro di me e sfiorano senza colpirlo il mio abitacolo. Dio maledetto, dio ingiusto, dio dei potenti e dei forti, dio feroce che ti diverti a infierire sui deboli, perché prolunghi la mia agonia? Ecco, finalmente, la traiettoria divina, la pallottola che agognavo. Ero polvere,  tornerò polvere.

Ludmilla Serakovna, cosmonauta sovietica. Nel maggio del 1961 la navicella su cui volava, in orbita intorno alla Terra, si perde nello spazio. Non verrà mai ritrovata.

 

III. Facile per noi ladroni (Ricordati di santificare le feste)

“Ricordati di santificare le feste”. E’ come “non desiderare la roba d’altri”. Ci trovo dentro un errore. Io non desidero la roba d’altri. Io desidero la roba. Punto. Non mi interessa che sia di altri. L’importante è che possa diventare mia. Cumuli di roba, grandi magazzini di roba che si impila, si impigna, cresce, si accumula fino a non lasciare spazio libero. Un buco nero di roba che riempia anche i buchi neri residui della mia esistenza, Non ho voglia di ascoltare chi invita alla moderazione, alla prudenza, al pensare agli altri. La domanda è: gli altri penserebbero a me? In un mondo di puro egoismo credo che il modo migliore per vivere sia sguazzare in questo egoismo, farsi lupo in mezzo ai lupi e, tra i lupi, cercare di accumulare più roba possibile per i tempi del digiuno. Solo il lavoro porta all’accumulo. Il lavoro, lavoro e lavoro. Oppure il furto. Ma preferisco il lavoro. Alcuni dicono che il padrone del lavoro effettua in parte un furto, ma sono questionidi lana caprina. Non ho tempo per queste sottigliezze. E ditelo a quegli stupidi di fantasmi! Insomma, il furto non lo demonizzo, ma non mi va, Di poco, ma preferisco il lavoro. Anche la domenica, anche il giorno di Natale. Che stupida pausa nel flusso della vita! Come posso accumulare tutto quello che voglio se sono costretto a fermarmi sempre?

Ebenezer Scrooge – E’ il protagonista di uno dei più famosi racconti di Charles Dickens, “Canto di Natale”, scritto nel 1843. Tirchio, misantropo e senza cuore.

 

IV. Bacia la mano che ti ruppe il naso (Onora il padre e la madre)

Lo osservo di spalle e mi fa rabbia vederlo camminare ritto, impettito come un generale prussiano: chi glieli darebbe 80 anni? Un passo dopo l’altro, fiero, con il bastone e senza stare al braccio di nessuno. Sono i più cattivi quelli che campano di più. Che cosa rincorri ancora alla tua età? Il massimo a cui puoi aspirare è di essere  il più ricco del cimitero. Perché succederà, lo sai anche tu che succederà: non sei diverso dagli altri. Eppure non cedi e non ti rassegni e io lo so che appena metterai piede nella tua bella casa, ti appoggerai alla sedia che c’è nell’ingresso, ansimando un poco e raggiungerai la poltrona in sala, finalmente curvo, a passi pietosamente lenti. Ma lì nessuno ti vede, protetto dalle tue ricche mura puoi anche mostrare la tua fragilità. Vecchio avaro, vecchiaccio egoista e crudele, perché mi hai sempre odiato? Perché mi hai sempre rimproverato quando  sbagliavo e mai neppure mezza parola quando qualcosa mi riusciva? Non ti importa di me, ti sei limitato ad affilare   le labbra  in un riso cattivo quando ti ho detto che andavo ala mensa dei poveri, che ero rovinato. Hai chiamato la governante e mi hai fatto accompagnare alla porta. Ti ritroverai sepolto sotto i tuoi dobloni, coperto con le ricevute di migliaia di obbligazioni, e dalla tomba usciranno le tue mani come artigli  a ghermire i possedimenti che hai sparsi per la tua amata città e anche quelli ti porterai sotto terra. Quando sarai il più ricco del cimitero, io  sputerò sulla tua tomba. Ti osservo, un passo dopo l’altro, a testa alta, fiero  e sprezzante, senza sorrisi per nessuno. Ti odio, papà.

Edoardo Agnelli – figlio di Giovanni Agnelli e Marella Caracciolo. Il 15 novembre 2000, a 46 anni, si suicida gettandosi da un cavalcavia lungo l’autostrada. Alcuni ritengono che la sua morte sia avvenuta in circostanze misteriose.

 

V. Tre volte inchiodata nel legno (Non uccidere)

Respiro un’aria che sa di marcio  e puzza di pesce. Mi chiudo il pastrano per tenere  fuori il gelo, guardo il Tamigi che scorre minaccioso e nasconde segreti: quanti suicidi giacciono sul suo fondo melmoso? Il nero del cielo si confonde col nero della città, questa è una notte che apre le sue braccia ai predatori.  Un barbone mi si aggrappa alla caviglia, biascicando frasi incomprensibili, lo scalcio via e mi rasserena  il rumore secco della sua testa contro il selciato. Un vicolo buio promette  l’incontro giusto, mi ci infilo e mi lascio alle spalle il fiume. La puzza è ancora più insopportabile, al marcio si mescola l’odore acuto dell’orina e quello peggiore, la puzza dei derelitti che mi si spalma sulla pelle. Il freddo mi chiude lo stomaco in una morsa e quel poco che ho mangiato mi schizza in gola. Vomito in un angolo e mi pulisco la bocca con il pastrano. Qualche fantasma si aggira rasente ai muri sussurrandomi frasi oscene. Non le ascolto, ma guardo ogni ombra dritto negli occhi. Cerco la luce dello sguardo, la luce più vitale e più bella da spegnere. Non ce l’hanno tutte, ma io so trovarla. Finalmente la abbraccio e il suo corpo fragile come quello di un passerotto cede alla mia forza, gli occhi rilasciano l’ultimo bagliore e il sangue sgorga dal suo ventre, caldo, con quell’odore di vita che se ne va, un odore che mi è compagno nella solitudine della mia esistenza. Affondo nel liquido scuro che mi cede il suo tepore e per un istante dimentico il freddo, l’odore della città marcia e la mia disperazione. Ma è solo un attimo. Non mi basta.

Jack The Ripper – Ovvero Jack lo Squartatore, il primo omicida seriale della storia, la cui identità è ancora oggi ignota. Agì a Londra, nel quartiere di Whitechapel e nei suoi dintorni, nell’autunno del 1888. Incerto il  numero delle vittime, tutte prostitute. Almeno  cinque, forse secondo altre fonti, ben 16.

 

VI. Cioè non disperdere il seme (Non commettere atti impuri)

Un comandamento semplice. Non commette atti impuri. Lasciamo perdere non fornicare e tutti gli incubi sulle formiche e quello che si poteva fare con loro che hanno tormentato la mia infanzia! Non disperdere il seme. Semplice no? La pianta cresce rigogliosa se il seme è innestato nel terreno giusto: il terreno sbagliato non fa germogliare il seme. Così come la mancanza d’acqua o nutrimento. Dove sta l’errore allora? Dove sta l’orrore? Non c’è. Ho seguito il comandamento, fino in fondo. Non ho mai commesso un atto impuro, non ho mai disperso il seme. Come ho fatto? Semplice: non l’ho usato. Il seme. L’aratro sì. Spesso e volentieri. Con l’aratro ho coltivato e dissodato. Sono andato avanti e indietro a ritmo o anche a ritmi alterni, fin quasi a consumarlo, ma senza mai disperdere il seme. Ora voi direte: “facile a dirlo, ma come si fa?” Facile è farlo. Difficile è il contrario. Controllo della respirazione: deve essere morbida e rilassata, controllo dell’impulso: non deve essere solo frizionale. Controllo del movimento: armonico e consonante. Tantra, insomma. Lentezza, attenzione, naturalezza e complicità. Non avrei mai pensato che la religione cattolica mi avrebbe portato a scoprire l’induismo! Potrei raccontare delle mie undici ore di sesso initerrotto. Potrei raccontare di giornate più orizzontali che verticali. Potrei narrare di piaceri sovrumani inflitti e subiti: una vera e propria vita alle soglie del Nirvana. Mi limito a ricordare il precetto: non disperdere il seme. Onan, il personaggio biblico, non era un segaiolo! È stato l’inventore del coitus interruptus. Non voleva fecondare la sua sposa, che poi era la vedova di suo fratello, perché il figlio che ne sarebbe derivato sarebbe stato considerato figlio del fratello defunto. Così fecondava la terra anziché la sposa, commettendo, secondo la dottrina, peccato. Povero Onan! Non conosceva il tantra!

Sting – Cantante, attore, filantropo inglese. 64 anni. Tempo fa fecero scalpore certe sue dichiarazioni riguardanti la pratica del sesso tantrico che regala la capacità di amoreggiare per sette e più ore.

 

VII. Ditelo a quelli che hanno una donna e qualcosa (Non rubare)

Codice utente. Clicco. Password. Clicco. Codice d’accesso. Pin. Ne ho memorizzati a migliaia e sono il padrone del vapore. I numeri non hanno segreti, i codici sono messaggi trasparenti per la mia mente allenata. Si srotolano lampeggiando sullo schermo serie infinite  di cifre, scorrono sequenze misteriose per tutti, ma non per me. Io possiedo i  grimaldelli che  aprono  le miniere di Re Salomone e la grotta di Aladino. Conosco la strada che scassina  i forzieri. Manipolo  l’immateriale virtuale e lo trasformo in materia feconda. Con la bacchetta magica del mio sapere  fagocito  tesori e sventro  caveau. Il denaro prende al tocco delle mie dita sapienti altre strade di cui solo io conosco il percorso e la fine.  Clicco ed è la magia, digito ed è il potere del fondatore di imperi. Codici, password, cifre, sequenze. Clicco ed è tutta roba mia.. È facile, è segreto, non spargo sangue e le mie mani  sono pulite. Io, il  signore del mondo e dei numeri. Codice d’accesso. Password. Pin telefonico. Ultimo accesso. Conferma? Confermo e clicco.

Belfort Jordan, The wolf of Wall Street. 53 anni, broker, nato a Brooklyn, negli anni Novanta scalò in modo molto spregiudicato la finanza newyorkese e divenne miliardario. Scorsese diresse nel 2013  un film su di lui, interpretato da Leonardo DiCaprio

 

VIII. Ho spergiurato su Dio e sul mio onore  (Non dire falsa testimonianza)

Vostro onore, lo giuro! Io non ho mai mentito. Al massimo mi concedo qualche mentina, così mento sapendo di mentuccia, ma mai sapendo di mentire. Io ci credevo che quella ragazza aveva più di 18 anni, non poteva certo essere il suo Teddy Bear a farmi intuire qualcosa, né le mutandine con gli ippopotami rosa. No, pensavo che fosse di sangue reale e che per quel motivo e solo per quello portasse gli occhiali da sole, per non farsi incenerire l’iride troppo chiara. Come dice? Le vere principesse sono le uniche che possono guardare nel sole? Forse, questo non lo so. Sapesse quante sono le cose che non so. Guardi, per dirgliela tutta, io non so bene nemmeno i motivi del mio successo. Quello con le donne e quello personale. Son piccolo, calvo e un po’ pingue, parlo in modo ridicolo e sono volgare. Eppure eppure qualcosa dentro me piace. Come dice? Il portafoglio? Beh, certo, è un bel portafoglio, di Marinella, come le mie cravatte … Il contenuto? È vuoto! Guardi, guardi se non ci crede. Vuoto. Vede? Come la mia buona fede. Vuota anche quella? No, trasparente, evidente, sufficiente. Io non mentirei mai, perché dovrei mentire? C’è già chi lo fa per me. E lo pago, uh sapesse quanto lo pago. Ma io oggi sono seduto su questo banco degli imputati e in realtà dovrei stare alla destra di Dio Padre Onnipotente. Anzi, lui alla mia destra. Come dice? Alla mia destra non c’è più nessuno? Ah, ma neanche a sinistra, cosa crede? Quando avevo il potere ed azzannavo stavano tutti attorno al mio centro. Beh, le ragazze al centro basso … Ma glielo giuro … spergiuro? Cosa vuol dire questa parola? No, no, no glielo giuro proprio: io non so mentire. Vuole una mentina?

Sardanapalo – mitico re Assiro, ricchissimo e potente, di cui raccontò anche Erodoto.Effeminato, lussurioso, dedito a ogni sorta di piaceri, esortava i sudditi a imitarlo.

 

IX. Nei letti degli altri già caldi d’amore

(Non desiderare la donna d’altri)

Giuro, io ci ho provato! Non ho mai desiderato una donna che fosse di altri. E nemmeno di altre se è per quello. O meglio l’ho desiderata sì, ma come si può desiderare un bel mattino o che oggi non piova o magari che nevichi o che si mangi il lesso. Un desiderio semplice, naturale, come quello dei bambini. E poi cosa è successo? Che il comandamento è incompleto. Io non desideravo le donne degli altri, ma loro … erano loro che desideravano me! A quel punto cosa dovevo fare? Potevo disinteressarmene? Certo. Ma così facendo non sarei caduto nell’altro peccato, quello di superbia? Potevo lasciare quelle povere donne spasimare per qualcuno che non le avrebbe mai considerate? E il loro amor proprio dove sarebbe andato a finire? Lo sapete, no, le donne come sono fragili … delicate. Voi vorreste forse far del male a un fiore? Vorreste strappare le foglie a una tenera betulla? Infierire su una morbida marmotta? No, sono certo che se vi faceste un esame di coscienza non vorreste mai. E allora perché avrei dovuto io? Io non ho peccato! Ho omesso il desiderio. Le ho ottenute le donne d’altri, ma non me le sono tenute. Non le ho sottratte agli altri e allora, se ho peccato secondo la lettera del comandamento non ho certo peccato contro lo spirito. Le vedevo col desiderio che strabordava dagli occhi, le nari che si allargavano, un velo di sudore a coprire il labbro superiore e in attesa di una mia parola. Quale poteva essere la mia risposta se non la più semplice, la più piccola, la più naturale? Sì. Padre perdonatemi, non volevo peccare. Eppure ho peccato: 121 volte

Giacomo Casanova – nobile veneziano vissuto nel 700. Libertino, avventuriero, scrittore, poeta, alchimista e diplomatico. Soprattutto indomito seduttore, come racconta con dovizia di particolari nelle sue Memorie.

X. Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi  (Non desiderare la roba d’altri)

Desidero la polvere colorata che si disperde nel vento dalle ali della farfalla. Voglio godere del silenzio che avvolge la planata del falco. Immagino l’adrenalina  del motociclista alla curva più pericolosa del circuito. Sogno la salita al palco e gli applausi della platea ed è il riconoscimento della  fatica, il premio agognato.  Voglio il talento che sa rendere viva la tela,  la malia che fa muovere  le dita sulla tastiera, che comanda i guizzi del  corpo dell’acrobata. Desidero la saggezza dell’eremita per poter conoscere il senso, per vedere la direzione. Voglio impossessarmi dell’orgoglio  della Madre di fronte al figlio che ce l’ha fatta, voglio per me i loro sorrisi complici. Desidero la bellezza, dovunque si trovi, ovunque aleggi, comunque si esprima. Guardo la corsa del ghepardo e con lui afferro la preda. Voglio, sogno, immagino, irrequieta, inquieta, mai paga. Aspiro a un tempo che non abbia mai fine, a una vita che si rinnovi.  Desiderare l’impalpabile altrui significa  desiderare la roba d’altri? Io, se non desidero, smetto di vivere.

Wislawa Szymborska, la più importante poetessa polacca del 900, premiata nel 1966 con il Nobel Muore nel 2012, a 89 anni. Ironicamente diceva che la poesia piace a non più di due persone su mille.

 

 

 

 

 


Lascia un commento