"Il libraio" di Carlo Frilli


Sentiva il proprio battito accelerato nelle tempie. Si fece per qualche istante rapire da questo ritmo, trattenendo appena il respiro. Si ridestò dal momentaneo stato ipnotico con la mente più lucida e, guardandosi attorno, fece ritorno alla realtà.
L’uomo era disteso qualche metro più in là rispetto a lui. Un rivolo di sangue scuro vicino alla testa gli fece intuire che quel silenzio e l’innaturale posizione del corpo erano segno che il colpo ricevuto era stato letale. Nella collutazione aveva esagerato nello sferrare la bastonata alla nuca del libraio.
Con le mani sugli occhi chiusi e stretti nel tentativo di capire il da farsi, imprecò realizzando che l’unica soluzione sarebbe stata anche quella più faticosa. Il pensiero e la rabbia gli fecero percepire il caldo che quel primo pomeriggio di agosto stava imponendo.
Si alzò in piedi, colto da un capogiro e un po’ di nausea, si tastò il capo dove nella breve lotta aveva ricevuto un colpo, forse un calcio.
– Fanculo! – biascicò tra i denti.
Non sopportava che le cose non fossero andate come aveva più volte immaginato. Eppure, nella sua mente, la scena si era sempre svolta nella stessa maniera, senza contrattempi. Come poteva immaginare che il libraio, con chissà quale senso, avesse intuito le sue intenzioni? Le notizie di cronaca di quei giorni si erano in effetti principalmente concentrate sull’ormai noto a tutti come “l’Assassino dei librai”. Giornali e Tv locali stavano creando una certa apprensione nella categoria, soprattutto dopo il ritrovamento dei cadaveri carbonizzati a Noci, in Val d’Aveto.
Improvvisamente fu assalito dal primo dubbio da quando aveva iniziato la sua personale battaglia. Non aveva nessun rimorso, ma un senso di impotenza e di spossatezza si fecero largo tra le sue a poche certezze. Ogni tanto anche da ragazzo gli succedeva, per lui era una cosa oramai divenuta normale. Conviveva con questo suo “Lui” parallelo, che si opponeva totalmente all’altro. Ma questa volta, la cosa e le proporzioni erano ben diverse dal solito: aveva attuato un piano omicida ed ora non sapeva come uscirne.
Avrebbe desiderato più di ogni altra cosa al mondo di potersi addormentare e godersi in seguito la pace del risveglio, conscio di aver fatto solo un sogno, non un brutto incubo, perché in cuor suo era fermamente convinto di aver fatto una buona, seppur parziale, pulizia.
Non avrebbe mai immaginato che il cadavere di uomo di quella stazza fosse dieci volte il suo reale peso e decisamente molto meno maneggevole di quel che pensava. Era convinto di non potercela fare a a trascinarlo sino all’entrata del garage; perse l’equilibrio e si lasciò cadere stremato. Adesso era bagnato di sudore e la camicia gli si era appiccicata alla schiena. Prese fiato e con un ultimo sforzo arrivò dalla porticina metallica del garage privato della palazzina residenziale dove abitava la vittima. Fuori c’era l’auto del libraio, una station wagon scura con un ampio bagagliaio, dove lo avrebbe caricato. Il problema principale era riuscire a farlo senza essere visto dal vicinato, o da qualche condomino adiacente.
Aprì lentamente la porta e sporgendo la testa fu abbagliato dalla calda luce del sole. Strizzò gli occhi e portò una mano all’altezza della fronte per ripararsi dal bagliore. Intorno sembrava non esserci nessuno all’infuori di una folla di cicale, che frinivano all’impazzata, nel frenetico e quasi assordante tentativo di accoppiarsi.
Il suono gli  penetrava le  orecchie, creando in lui una confusione tale che fu tentato di salire in macchina e di andarsene. Trovò le chiavi nella tasca dei pantaloncini: le aveva raccolte dal pavimento dove erano cadute durante l’aggressione. Fece scattare la sicura delle porte e aprì il portellone posteriore.
Alcuni scatoloni ingombravano l’intero vano, qualche libro sparso, bolle di trasporto, locandine, sacchetti con il logo della libreria e qualche altro oggetto.
– Cazzo! E’ proprio vero che non smetterò mai di fare il magazziniere… – sorrise ripensando a quante volte aveva detto auto sfottendosi quella frase a suo fratello.
Tutto era nato proprio dal suo passato in magazzino. Infinite giornate trascorse in quel deposito del grossista di tante librerie lo avevano fiaccato nello spirito, facendogli raccogliere e incasellare con cura e dovizia tanta rabbia e follia omicida. Sugli scaffali più alti e scomodi aveva messo il cupo rancore, su quelli al centro la lucida sinuosa pazzia, sui comodi piani a portata di mano c’era il forte desiderio di vendetta.
Di lui tutti dicevano che era meticoloso, quasi maniacale, non avevano tutti i torti.
Scaricò la macchina e portò nel garage le scatole, sistemandole con ordine e precisione.
Non gli ci volle molto, fece tutto con calma ed ebbe il tempo sufficiente di capire che in giro non c’era anima viva. Molti erano in vacanza, altri al mare, l’orario era quello della penichella pomeridiana, nessuno avrebbe notato i suoi movimenti e quindi si decise a fare l’ultima mossa. Lo prese da sotto le ascelle e lo trascinò trattenendo il fiato a più riprese verso il retro della macchina. La testa riprese a pulsare, le cicale parevano essergli entrate direttamente dentro il cranio e adesso vi svolazzavano gridando più forte che mai. Gli formicolavano i piedi e le mani, vide dei puntini, le forze vennero meno e poi il nero totale.
La sigla del TG regionale lo risvegliò. Era a casa sua, tutto era in perfetto ordine come sempre. Si mise a sedere sul divano dove fino a pochi istanti prima si trovava sdraiato. Si sentiva riposato come se nulla fosse accaduto.
Questo pensiero lo fece precipitare nel panico più totale. Cos’era accaduto? Cosa ci faceva a casa? Come era arrivato sino a lì? E il cadavere del libraio? Le cicale? Forse era stato tutto un sogno, ma sì certo era così, non poteva essere altrimenti. Ma allora tutti gli omicidi erano stati generati dalla sua fantasia durante il sonno…niente “Assassino dei librai” o sciocchezze del genere, eppure tutto gli era sembrato così reale.
Si guardava attorno spaesato, sorrideva incredulo, stupito di quanto l’onirico somigliasse ad un suo desiderio, nemmeno troppo recondito di realtà.
– Ma che storia! Posso stare tranquillo, era solo un sogno…
Prese un bicchiere dalla credenza laccata di bianco. Fece scorrere l’acqua e lo riempì fino all’orlo. Bevve tutto d’un fiato e si sentì ancora meglio di prima.
Chissà quanto aveva dormito…aveva fame e guardando l’orologio da muro si accorse che era quasi l’ora di pranzo. Si sedette di nuovo sul divano, non prima di aver lavato, asciugato e riposto il bicchiere al suo posto. Tirò un sospiro lungo e profondo. Il citofono suonò, alzandosi premette l’apertura del portone e aprì, sicuro si trattasse del postino e mentre si toccava la testa trovando un grosso bernoccolo dolorante, sentì la televisione scandire il nome di un altro libraio trovato morto.
Il commissario Di Pasquale, trovando la porta aperta, entrò seguito dall’agente Rizzo.
-E’ permesso? Signor Raimondi?
Una volta arrivati al pianerottolo del quinto piano avevano suonato all’interno n. 22. I cinque piani e l’afa estiva avevano messo in evidenza lo scarso livello di allenamento dei due poliziotti, che adesso si guardavano in silenzio mettendo istintivamente la mano sulla fondina della pistola.
-Signor Raimondi, sono il commissario di polizia Di Pasquale!- aveva alzato il tono di voce.
In giro era tutta un’esposizione di libri messi in doppia e talvolta tripla fila. Regnavano ordine e pulizia su tutti gli scaffali e ripiani delle librerie in legno sistemate sulle pareti. Non avevano mai visto così tanti libri in una volta sola. Sopra il tavolo della cucina c’era un diario aperto con al centro una penna appena usata. La finestra spalancata e la zanzariera tirata su attirarono la loro attenzione, ancor prima di sentire un urlo provenire da sotto. Si affacciarono e videro quello che restava del signor Raimondi. Una piccola folla si stava avvicinando al marciapiede dove si trovava il corpo.
-<<L’ho fatto solo per mettere ordine. Chiudete la zanzariera quando avete finito, grazie>> firmato Pietro Raimondi – disse Rizzo alzando gli occhi increduli verso il commissario.
– Chiama la squadra per i rilievi della scientifica e aspettali davanti alla porta – disse tirando giù la zanzariera con un fazzoletto per non inquinare la scena.
Di Pasquale mentre attraversava la sala d’ingresso si sentiva stranamente tranquillo: “l’Assassino dei librai” era morto.


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