"Il manufatto" di Roberta Marinucci


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Erano arrivati da lontano, si vedeva. Stranieri in abiti scuri, volti pallidi e levigati. Si erano fermati all’entrata del villaggio e avevano chiesto al fabbro dove si trovasse la bottega. Uno sciame di ragazzini curiosi si era affollato intorno ai tre sconosciuti, che incuranti di loro, delle comari vocianti e degli asini che arrancavano sull’acciottolato sconnesso, si erano diretti a passo deciso verso il vicolo dietro la chiesa. Finestre animate da occhi, muri attenti ai rumori seguivano i passi delle pesanti calzature. La bottega era incassata tra due portoni tarlati e istoriati di ragnatele, nascosta da una modesta tenda di canapa. Il pittore era troppo assorto nel suo lavoro, per badare ai rumori della via. Sussultò, trovandoseli davanti.

“È finito” Uno dei tre annuì in silenzio.

“Ho mantenuto il segreto, non ho parlato con anima viva. Ho persino mandato via il mio apprendista per qualche settimana.”

”“Bene” la voce dello straniero era quasi impercettibile.“Capisci che non dovrai mai parlare di questo. Del resto ti prenderebbero per pazzo o peggio per indemoniato. Mostraci il lavoro adesso:”

Il pittore avanzò verso il fondo della bottega, tra le tante tele appoggiate disordinatamente contro la parete. Ne prese una, grande, coperta da un panno incrostato di colori. Con un solo rapido gesto la scoprì. I tre non pronunciarono suoni, ma l’approvazione era evidente sui loro volti lisci e inumani. Si avvicinarono alla tela, per ammirare ogni dettaglio. Il placido paesaggio notturno, i profili leggeri delle montagne, la luna. I fasci di luce, resi con incredibile maestria. La superficie levigata, la sagoma maestosa dell’astronave sospesa sul fiume. Un manufatto autentico, un manufatto umano del diciassettesimo secolo della loro civiltà. Sarebbe stato esposto nella sede del Consiglio. Non poteva esservi un oggetto migliore, da erigere a simbolo delle nuove esplorazioni, da mostrare ai tanti abitanti ancora scettici sul nuovo programma di espansione planetaria. Si sarebbero convinti tutti adesso. Il Consiglio ne avrebbe tenuto conto, avrebbe degnamente premiato i tre esploratori, li avrebbe fatti passare alla storia. La tela fu ricoperta con il panno, i pezzi d’oro della ricompensa furono appoggiati sul rozzo bancone.

“Non una parola” Attesero che l’altro annuisse, prima di lasciare la bottega e mischiarsi al popolo rumoroso del villaggio.

Rimasto finalmente solo, il pittore afferrò dal ripiano del bancone la sua scatola di pennelli. Nel doppio fondo era nascosto il trasmettitore. Gli ci vollero pochi secondi per comunicare che la missione era compiuta. Le tossine della pittura stavano già uccidendo i tre esploratori, le cariche inglobate nel telaio erano più che sufficienti per disintegrare la nave. Nessun ritorno degli esploratori, nessuna missione di espansione. La Terra sarebbe stata al sicuro ancora per qualche tempo.


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