"Il matto del Valentino" di Massimo Basano


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Nessuno lo vedeva mai arrivare o andare via, apparentemente viveva lì, sulla sua panchina, quasi ne facesse parte, come il muschio che cresceva sulle gambe di legno e le gomme da masticare attaccate sotto la seduta. Anche il suo nome era sconosciuto, forse era uno dei tanti incisi sopra le vecchie assi. Il matto non parlava, al massimo rantolava. Guardava con due occhi accesi tra la boscaglia della sua barba, ispida come un cane spinone. La sua principale forma di comunicazione verso il mondo era di natura olfattiva. Emanava un tanfo putrido, indefinito, la puzza miscelata di anni di noncuranza e di abbandono.

Guardava il grande fiume senza parlare e il fiume andava in silenzio verso il mare. Entrambi sembravano godersi l’ombra del parco, senza affanno, senza dovere una spiegazione. Ogni tanto sembravano scambiarsi un verso. Più che altro era un gorgogliare alternato, uno per la corrente, l’altro per cattiva digestione.

Gli occhi del matto non erano fissi nel vuoto, conservavano quel tremolio di chi segue una scena in movimento, come se sul pelo dell’acqua scorresse il film dei suoi ricordi o di chissà che cosa. Vecchio lo era senz’altro, il passato da rivivere non gli mancava, ma se quello che gli passava nella mente fosse rimpianto, amore o un ridondante rimorso, non era dato sapere. Dal suo sguardo infuocato non trapelava più nulla, né gioia, né dolore: la vita lo aveva reso coriaceo o lo aveva spento del tutto.

I vecchi si sa, hanno tanto da donare, i giovani tanta brama di ricevere, persino i giovani sfaccendati che tagliano la scuola e passano ore a fumare hashish e giocare sul prato. Erano loro che lo chiamavano “il Matto”, anche se di essere matto per davvero, non aveva mai dato prova, a meno che non si possa considerare follia il silenzio, in un mondo pieno di rumore.

– Il tempo, ha detto il tempo!

– Perché non vai più vicino e te lo fai ripetere in un orecchio?

– E respira a pieni polmoni mi raccomando!

– Lui guarda il fiume perché è il tempo che va… la sua vita passata. Chissà cosa ha vissuto…

– Quegli occhi. Deve essere stato qualcuno di importante, un carattere forte, una grande personalità.

– Un pittore.

– E perché non dipinge?

– Come fa che gli tremano le mani?

– Forse era qui che veniva a dipingere.

– Forse è solo un vecchio matto e basta.

– Ma qualcosa di strano e incredibilmente forte ce l’ha.

I ragazzi lo canzonavano per via della puzza, dei rutti a bocca chiusa, che gli gonfiavano le guance come il gozzo di una rana-toro, il gorgogliare continuo dei visceri e quello sguardo fisso sul suo universo privato. Tutti quanti, però, finirono per sviluppare per lui una forma di affetto, anche se solo le ragazze riuscivano ad ammetterlo. Lo consideravano uno di loro, sebbene non avesse mai espresso la volontà di far parte di quel gruppo o avesse mai preso parte ad una conversazione, neanche con una mezza parola. Forse era solo l’abitudine di vederlo lì, come gli alberi, i fiori, le panchine e le pattumiere. Faceva parte del paesaggio.

Ognuno di quei perdigiorno finiva per andare a trovarlo per conto proprio, si sedeva di fronte a lui e gli parlava, naturalmente senza ricevere mai una risposta, ma il placebo di un conforto, questo si. I ragazzi vuotavano i sacchi dai pesi sbilanciati delle proprie adolescenze e quasi pareva che le loro parole non cadessero nel vuoto o che non rimbalzassero contro le pareti di un mondo, per loro, impermeabile.

Enigmatico come una sfinge e muto più di un confessionale, questa era la forza del matto. “Gli anziani, come le cose antiche, portano con sé tesori.”, se ne uscì un giorno Giulia, citando uno dei tanti libri che non smetteva mai di maneggiare. Forse quel vecchio portava davvero con sé un grande potere o forse nutrirsi di illusioni è una tentazione troppo grande, quando si è giovani o non si vuole smettere di esserlo. Comunque sia, fu grazie ai colloqui con il matto che Gigi decise di smettere con la roba pesante, che Roberta non andò da quel macellaio, quando scoprì di essere incinta e Gabriele non si buttò nel fiume, perché non dava esami da un anno e i genitori lo avrebbero scoperto.

Il Matto del Valentino vennero a prenderlo quelli del comune, che emanava una puzza nuova, identificabile, di putrefazione. Era un periodo di vacanza, di quelli che svuotano le città, tanto che potresti giocare a calcio per strada, così nessuno lo vide arrivare e andare via, neanche l’ultima volta.

Il giornale riportava: “Morto Mancuso Lituzzo, piccolo boss mafioso rifugiato in Piemonte. Rinnegato da tutti, viveva in solitudine.  Era libero dopo trent’anni di carcere.”

Le cose vecchie, le persone antiche, come i fiumi, portano con sé tante cose, ma cosa rimane di buono in una verità, se non la volontà di crederci?


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