"Il sole al centro del mondo" di Laura Bonelli


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Tratto dal libro Piccole storie del sette giorni (Graphofeel Edizioni).

Sogno un viaggio morbido

dentro al mio spirito.

Negrita “Rotolando verso sud”

 

Non doveva finire così. Era andato tutto storto: progetti, buone idee, soluzioni . E al posto di una meritata vacanza sotto una palma di fronte ad un mare cristallino, Virginia si trovava ora, legata e imbavagliata, dentro ad un sotterraneo privo di luce, con una botola nel soffitto, sprangata e nascosta.
Era legata così stretta che si sentiva una mortadella. “Mancano i pistacchi” pensò, caustica “ma si vede che quel macellaio aveva fretta di farmi stagionare”
Oramai erano ore che stava lì sotto e da sopra non si udiva nessun rumore. La disperazione cominciò ad assalirla. “Quando mi ritroveranno sarò un reperto archeologico, un ex-salame polverizzato” pensò piangendo.
Nei momenti difficili, Virginia aveva sempre pensieri ironici.
Era un’appassionata di telefilm polizieschi americani, di quelli che parlano di serial killer perversi e bellissimi, di astuti poliziotti che salvano la bella bionda di turno, dopo che il cattivo ha fatto fuori una quantità di donne dall’aspetto sciatto ed insipido, ma mai avrebbe pensato di diventare, nella realtà, la protagonista di una di quelle fantasiose sceneggiature. E invece era andata proprio così.
Virginia se ne stava tranquilla ad aspettare il bus con la valigia, pronta per partire per una località marina ed uno sconosciuto l’aveva incappucciata e rapita.
Certo, era una fermata d’autobus posizionata in un luogo isolato vicino ad una fitta boscaglia, ma era una bella domenica di sole e la ragazza aveva respirato l’aria mattutina, sentendosi già un po’ in vacanza.
Poi, all’improvviso, due mani l’avevano afferrata da dietro, e lei si era voltata di scatto impaurita, vedendo in volto, per un attimo, il suo aggressore.
Non era giovane, bellissimo e perverso, era un tizio con l’aria da galeotto e un paio di occhiali da contabile.
“Sono vittima di un cliché” pensò Virginia delusa, prima che il buio del cappuccio le oscurasse la vista.
Poi tutto si era confuso, tra il buio, lo stordimento e il terrore che la colse. L’uomo l’aveva caricata nel retro di un furgone e sballottata per una strada sterrata calandola, dopo averla legata, dentro ad un sotterraneo. Ebbe la compiacenza di toglierle il cappuccio, in modo tale che Virginia cacciasse un urlo disperato ed una serie di improperi, mentre si dimenava, nel tentativo di liberarsi.
“Ho intenzione di toglierti da questo mondo” le aveva detto lo sconosciuto. Aveva chiuso la botola, lasciandola al buio, ed era scomparso.
Virginia, spaventata, urlò e pianse.
Poi, d’un tratto, si stancò di essere disperata e recuperò la lucidità. Provò di nuovo a liberarsi, con tutte le sue forze, finché le corde cominciarono ad allentarsi.
“Non guarderò mai più un telefilm poliziesco” pensò tremando, e si decise che doveva trovare una via di fuga, prima che quel pazzo tornasse.
Si accorse di avere il telefono cellulare in tasca, anche se, nel sottosuolo, non c’era campo per poter chiamare i soccorsi. Lo utilizzò come torcia per esplorare il luogo in cui era stata sepolta. Era un sotterraneo ampio e la botola, da cui era stata calata, distava almeno quattro metri dal pavimento.
“Mai nessun uomo al mondo mi aveva portato a vivere tali profondità” pensò acida. C’erano alcuni cunicoli e Virginia fece la conta per decidere quale prendere. Riusciva a stare in piedi ma la sua testa rasentava il soffitto. Camminò e camminò per molto tempo, così almeno le parve, finché le forze non le vennero meno.
Si sdraiò per terra, sfinita e ansimante, respirando terra ed umidità. Ascoltò quel silenzio profondo, un silenzio mortale, inquietante e rasserenante allo stesso tempo. Il silenzio del grembo della madre terra. Pose l’orecchio sul suolo come se volesse ascoltare di più, oltre la percezione possibile all’essere umano.

“Virginia, ma che fai?” una voce arrivò al suo orecchio dal centro della terra.
La ragazza si alzò, impaurita, non capendo da dove provenisse la voce.
“Ma ti sembra il momento?” proseguì la voce a parlarle.
Virginia cominciò ad agitarsi, pensando tra sé, di quale momento si trattasse: “Forse è lui, il pazzo e non riesco a vederlo.” Pensò, spaventata.
“Luci ok, gli operatori sono pronti, svegliate quella comparsa che pensa di essere nel suo letto e sistematele il trucco. Si gira!” urlò il regista.
“Si gira?” Virginia si svegliò di soprassalto, balzò in piedi e cominciò ad intravedere il set cinematografico in cui stava.
“Chiedo scusa” abbozzò la ragazza, mentre la truccatrice la sistemava.
“Che scemenza sognare quello che stai facendo” pensò.
Era davvero lei la bionda che veniva rapita dal pazzo omicida, una particina minimale in un telefilm di serie B. Neanche una battuta da recitare, a parte un urlo. Però la produzione le aveva promesso un primo piano. In effetti Virginia era giovane e carina anche se lei non riusciva a comprendere i canoni usuali della bellezza. Era nata con un raro difetto della vista, per cui la realtà che vedeva le appariva era come un quadro di Picasso. Questo non le impediva di voler tentare una carriera di attrice, arte per la quale si sentiva portata, anche se aveva davvero uno sguardo stranito e i capitomboli per lei erano all’ordine del giorno. La salvava un sorriso smagliante, che, al momento, era la fonte principale del suo guadagno; era spesso impiegata per campagne pubblicitarie di dentifrici e spazzolini da denti.
Recitò la scena, fece l’urlo ma fu ammazzata, come prevedeva il copione.
La sera, tornando a casa, ripensò al sogno che aveva fatto, che l’aveva impressionata, lasciandole uno strano senso di inquietudine.
Entrò nel suo monolocale e trovò l’invito per una festa vip, come spesso accadeva. Era molto richiesta la sua presenza alle feste, perché sapeva recitare bene la parte dell’invitata leggera e sprizzante gioia. Se la festa languiva, lei era invitata a far chiasso, a ballare, ad offrire cocktails come se si divertisse un mondo. Ragazza immagine ridens, un’altra piccola fonte di guadagno saltuario.
Si addormentò di botto e di ritrovò nel sogno che aveva fatto sul set.
Era di nuovo con l’orecchio appoggiato al terreno, con quella sensazione di morte e di pace addosso, e si stupì del fatto che la terra emanasse calore. Questo la incuriosì e volle proseguire, addentrandosi ancora di più nello stretto cunicolo che le si parava dinnanzi.
Più proseguiva e più faceva caldo e, sul fondo, cominciava ad intravedere un bagliore. “Forse ho attraversato tutta la terra” pensò “e sto sbucando dalla parte opposta, magari finisco su un’isola tropicale, così posso fare la mia vacanza”. Arrancò, nonostante fosse in discesa, per il poco spazio di movimento che aveva, quando alle sue spalle sentì dei rumori e scorse a pochi metri da lei un paio di occhiali da contabile.
“Ancora il pazzo” pensò, mentre cercava di sveltire il passo. Correva piegata, voltandosi indietro per sfuggire al suo aggressore, il caldo era sempre più forte, poi si fermò di colpo.

Si svegliò ricordandosi che aveva il controllo dall’oculista.
“Dottore, si sta presentando un nuovo problema” disse la ragazza, preoccupata “ci sono momenti in cui vedo come se fossi all’imbrunire, anche se è pieno giorno”.
Il vecchio medico la visitò. “Tutti abbiamo momenti di buio nella vita” le disse “tu, a differenza di altri, li puoi vedere”.
Virginia aveva un oculista filosofo.
“Potrei diventare cieca?” gli chiese
“Faccio questa professione da oltre trent’anni” le disse “e, questo incredibile senso che è la vista, non ha ancora smesso di stupirmi. Sì, è vero, potresti diventare cieca, ma è vero anche il contrario, il tuo occhio è talmente strano e raro che potrebbe prendere una strada tutta sua e, all’improvviso, farti vedere meglio di tante altre persone.”
Virginia non gli credeva e quelle parole suscitarono in lei solo una rabbia silente.

Tornò a casa e si sedette sul divano, pensandosi ormai cieca. Una vita senza luce e senza luci della ribalta. Vide di fronte a sé solo rinunce.
Cominciò a piangere e pianse così tanto che, per sfinimento si addormentò.
Ritornò di nuovo dentro allo stesso sogno. Stava ancora fuggendo dal serial killer che la inseguiva nei meandri della terra. Giunse sull’orlo di un burrone e si fermò di colpo: sotto di lei c’era un cratere immenso, che conteneva un sole, luminosissimo.
Rimase attonita a fissarlo, sentendone l’intenso calore e vedendo come quella luce rischiarasse la sua vista malandata.
L’uomo le fu alle spalle. “Fermati e parliamo. Se proprio devi uccidermi, fallo pure, ma dopo avermi spiegato che razza di posto è questo” disse la ragazza all’ uomo, che l’aveva ormai raggiunta.
L’uomo, senza proferire parola, la afferrò per un braccio.

Si svegliò, cadendo dal divano.
Ripensò all’immagine di quel sogno. Quel sole era bellissimo e luminso, una visione reale, posta in un luogo così profondo da poter essere raggiunto soltanto in sogno.
“E’ tutto davvero strano” sentenziò. Era già pomeriggio quando si alzò e aveva un mucchio di cose importanti da fare. Ceretta, manicure e maschera di bellezza per prepararsi per la festa della sera. Uscì di casa ansiosa, con l’intento di sfuggire al pensiero del suo cieco futuro, volendo divertirsi come mai aveva fatto in vita sua.

La sera fece il suo ingresso nella villa dove si teneva la festa, con la sua solita minigonna ascellare e il tipico chiacchiericcio che le veniva richiesto.
Rideva e rideva, senza riuscire a smettere, e parlava a vanvera con chiunque le capitasse a tiro, mentre la sua vista cominciava a darle di nuovo dei problemi; questo la faceva infuriare, e più si arrabbiava, più si comportava in modo avventato. Prese il quarto cocktail ed, ancheggiando, cercò di scendere una scalinata che portava dritta al giardino, affollato da gente. Scendeva molleggiandosi su 25 cm di tacchi e pensò bene di dare anche un sorso al bicchiere. Il risultato fu una caduta stile slavina, in cui gli arti si avvoltolarono su se stessi, facendola sembrare una grossa palla da rugby, che rovinò in mezzo al giardino, dopo qualche balzello.
Tutti fecero un salto all’indietro, temendo il peggio.
“Ma guarda che strano” pensò Virginia, massaggiandosi la testa “mi sento più calma adesso, mi sembra di vederci anche meglio. Con questa caduta mi si è aggiustato il cervello”.
Dopo aver tranquillizzato tutti sulla sua condizione fisica, decise che era arrivata l’ora di andar via.

Tornò a casa convinta che avrebbe continuato il sogno e forse, nel finale, se il serial killer non la buttava ad arrostire dentro al sole nel burrone, forse avrebbe capito qualcosa. Ma non riuscì a prendere sonno, il pensiero di voler tornare a tutti i costi in quel mondo sotterraneo, la tenne sveglia, con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto.
Il pomeriggio seguente doveva girare uno spot pubblicitario per un nuovo collutorio. Uscì di casa e prese l’autobus. Il dondolio le conciliò il sonno e Virginia si ritrovò finalmente dentro al suo sogno.

“Ma chi ti vuole uccidere?” le domandò l’uomo.
“Insomma, mi hai rapita, imbavagliata, inseguita, se non sei un serial killer, chi sei?” obiettò Virginia
“Considerami una specie di stantuffo” disse l’uomo “se non ti avessi spinto in un modo così drastico, non ti saresti mai mossa dalla crosta terrestre, invece adesso sei qui che guardi il sole che c’è al centro del mondo”
“E a cosa mi serve?” disse la ragazza.
“Sai che esiste” replicò l’uomo, con semplicità.

Mentre attendeva che i tecnici sistemassero le luci sul set, Virginia fece una riflessione. Forse doveva davvero prendere la sua vita con filosofia, come cercava di insegnarle da anni il suo oculista. Nessuno sapeva se i suoi occhi erano destinati al buio o alla luce e certo lei non doveva direzionare il destino, volgendo lo sguardo al peggio. Lo stantuffo l’aveva trascinata al centro del suo mondo e le aveva fatto vedere che quello era un luogo illuminato.
Alla parola “azione” del regista, Virginia si girò verso la macchina da presa,con in mano un barattolo di collutorio violaceo ed un radioso sorriso in volto.


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