" In memoria di Brittany Mynard" di Elisabetta Miari


Brittany 2

 

Oggi è il giorno della mia morte. Non è un sospetto, una premonizione o quant’altro. E’ una certezza. Lo so perché l’ho deciso io. Lo chiamano suicidio assistito se sei ancora lucido, eutanasia se non puoi più decidere, credo.
Condivido questo onore solo con i condannati a morte.
La Chiesa, tramite i suoi tronfi portavoce dal Vaticano, lo condanna perché lo giudica un atto contro Dio.
Cosa ne sanno loro delle sofferenze strazianti che ti provoca un tumore al cervello?
Dicono così, perché se t’ammazzi prima che ti venga a prendere il loro Dio, perdono un’anima. Sì, per loro le anime sono come le figurine che ci si scambia da bambini. Che schifo. Spero che Dio non sappia niente di tutto questo, o se lo sa che li perdoni, quei becchini impuniti che vorrebbero dire alle persone come e quando morire.
Gesù, io non sono forte come te che hai scelto di morire in croce tra mille sofferenze.
Ancor più del buio della morte, temo il dolore, quello insopportabile, che nessuna medicina ti toglie e che verrà di sicuro. Voglio morire prima che le urla e la sofferenza riempiano il mio cervello e la mia vita. Voglio morire prima di scivolare in quell’inferno di fuoco e follia. Risparmiare ai miei cari quest’orribile spettacolo e al mio corpo straziato un’altra tortura.
Ma è possibile che non sia chiaro a queste persone perché un malato terminale, senza speranza, decide di porre fine alla sua vita, appena prima di essere fagocitato dalla bestia che lo divora?
Devo rimanere concentrata su questo, sulla rabbia che mi ispira il fatto che vorrebbero tenermi legata a questo corpo, a questo cervello che sta per scoppiare.
Ho fatto la cosa giusta, e in questi ultimi mesi non ho mai avuto un attimo di esitazione.
Solo ora, che manca poco, ho paura.
Ho 29 anni, ho fatto appena in tempo a vivere un po’ di vita da ragazza e a sposarmi con il mio grande amore.
Poi, qualcuno a deciso che bastava così, che la fermata n.29 era l’ultima.
Volevo tanto avere un bambino, provare quella gioia incredibile di quando scopri che nel tuo ventre c’è un piccolo essere. Volevo sentirlo crescere e muovere dentro di me, e partorirlo urlando a squarciagola, per poi prenderlo in grembo e ringraziare Dio. C’è sempre un prezzo da pagare per la felicità.
Volevo vederlo crescere e amarlo più della mia vita.
Ora, tutto quello a cui riesco a pensare, è che almeno non proverò mai la sofferenza di vedere mio figlio morire, come i miei genitori.
Li ho visti distrutti, farsi coraggio a vicenda con mio marito. Vittime inermi di un destino atroce, peggio del mio.
Ho visto nei mesi la loro speranza condensarsi in rassegnazione. Non ho potuto farci niente, ho pregato e basta. Perché anche sei i preti e la Chiesa mi vogliono tenere incatenata la mio letto di spine, io credo ancora in Dio. Devo crederci, perché sennò non avrebbe senso, non avrei il coraggio di morire ora. L’anima sopravvive, e con lei tutte le cose belle che ci hanno arricchito in questa vita, dalla quale ora devo staccarmi, ed è durissimo.
Da quando siamo venuti in Oregon, ho cercato di trarre gioia da ogni giorno che mi rimaneva da vivere, sperando di morire in pace.
E’ solo grazie ai miei genitori e a mio marito, che hanno accettato di mettere da parte il naturale egoismo di chi vorrebbe tenerti con sé il più a lungo possibile e hanno pensato alla mia sofferenza, che ho potuto pianificare questo.
Sono stata sveglia tutta la notte, di tempo per dormire ne avrò tanto tra poco. Ho rivisto due film, ho guardato tutte le fotografie e parlato con Dan, cercando di fargli coraggio.
Manca meno di un’ora ormai, stanno per arrivare.
Mi rendo conto solo adesso che avrei voluto qualche giorno in più, per rivedere quel posto, ascoltare quella canzone che mi ero dimenticata e mangiare un altro hamburger.
Non è facile chiudere tutto e stabilire una data, ma è sempre meglio che farsi divorare dalla bestia che hai dentro, finché lei non decide che ne ha abbastanza.
Ho vissuto 29 anni. Voglio pensare di averli vissuti meglio di tanti che campano fino a 90, anche se, ogni volta che vedo una testa bianca, la invidio per essere arrivata fin lì.
Questi sono i paradossi della vita.
Sono pronta adesso, andiamo.


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