"La favola di una fontanella" di Christiano Cerasola


 

fontanella

 

Mi costruirono quasi cento anni fa, fui desiderata fortemente dal sindaco di quel tempo e ci fu un periodo dove, addirittura, mi costruirono un giardinetto attorno. Era bellissimo, in primavera sbocciavano fiori di ogni colore e in autunno si ricopriva di un tappeto di foglie gialle.

Poi cambiò l’urbanistica della zona e lo rimossero, ma io restai al mio posto, orgogliosa, zampillante.

Ero importante, dissetavo tutti.  Il mio compito era di pulire la sporcizia dei senzatetto, abbeverare i cani, e arrabbiarmi quando mi pisciavano addosso.

Quelli che mi piacevano di più erano i bambini, anche se talvolta mi maltrattavano, soprattutto d’estate.

Bisticciavano tra di loro e mi sfruttavano per spruzzarsi l’acqua o farsi i gavettoni, ma io ero comunque felice.

Le notti d’inverno, invece, erano lunghe. Passavo quei mesi in solitudine, ogni tanto la mia acqua ghiacciava ed io mi sentivo inutile. La gente mi passava di fianco e non mi guardava neanche, sembrava gli dessi fastidio, non c’era alcuna riconoscenza da parte di quegli stupidi, per non parlare di quando nevicava.

Poi ritornava la primavera, e i piani inclinati degli eventi giocavano a mio favore. Le persone riprendevano a sorridere e i cani a scodinzolare per correre dietro ai loro amori. In estate le scuole terminavano e le mamme apprensive accorrevano a me e riempivano le bottigliette d’acqua per i loro figli, quando il sole rifrangeva sui miei zampilli trasformava le mie gocce in oro, ero bellissima.

Gli zingari mi stavano accanto per lunghe ore, parlavamo, ed io li ascoltavo con curiosità. Avevano storie da raccontarsi e disgrazie dalle quali fuggire. Erano sempre presi dietro qualcosa.

Anche i vecchietti m’interessavano un bel po’, alcuni parlavano del mare, di cose che non avevo mai visto…

Ogni tanto qualche incauta vespa finiva per annegare, avrei voluto salvarla, ma non potevo.

I colombi, invece, venivano a trovarmi con regolarità, sapevano di poter contare su di me. Anche se le mie preferite erano le formiche, sempre indaffarate, silenziose, disciplinate.

Nei giorni di agosto la città si svuotava e il silenzio prendeva il sopravvento, si sentiva solo il mio getto d’acqua che timidamente faceva da sottofondo a quegli attimi di pace, in quegli attimi m’immaginavo di essere un torrente, un fiume, una cascata…

Pochi giorni fa arrivarono tre uomini, uno aveva uno strano cappello in testa, li ascoltai: dicevano che la fermata della nuova metropolitana sarebbe stata costruita qua, proprio sotto di me. Parlavano con toni alti, fastidiosi, arroganti.

Sfogliavano carte, gettavano sigarette per terra, scalciavano con sdegno i ciottoli che mi circondavano, e che tanto piacevano alle formiche.

Il progetto era stato approvato e da lì a breve sarei stata smantellata. Come avrebbero fatto a bere tutti? E i cani e i piccioni? E le mie formiche?

Passai notti inquiete, tristi, osservai alcuni pensionati che attaccavano volantini attorno alla zona, per impedire che mi rimuovessero, ma nulla. Le mie speranze furono vane.

Oramai rassegnata, continuai a dare da bere ai miei animali abitudinari e a qualche passante della strada.

La notte scorsa, verso le tre di mattina, si avvicinò un uomo, non camminava dritto e stava piegato sul lato sinistro, era alto e aveva lo sguardo azzurro, mesto, e la barba lunga. La sottile scia che solcava le guance era il risultato di alcune lacrime versate, chissà per quale motivo…

Congiunse le mani, sotto il mio getto, e le riempì d’acqua fino a farla strabordare, poi con forza se la buttò sulla faccia. Ripeté il gesto per due volte, poi si accese una sigaretta.

La traccia delle lacrime sparì, e anche gli occhi abbandonarono il rossore e ripresero il loro colore. Accarezzò il sifone e s’inumidì, ancora, le mani. Fissò la pozzanghera che si era formata al mio fianco, e mentre si specchiò le labbra presero una piega diversa e si allargarono in un espressione più rilassata, un sorriso.

Io ero felice di essere riuscita a sciacquare via i suoi pensieri.

Alzò lo sguardo verso di me e disse: “ Io scriverò di te, non ti lascerò sparire così, parlerò di quello che hai fatto e il mio racconto sopravvivrà al tuo destino”.

Aggiunse: “ Sono uno che scrive, sai?  La gente penserà che sia matto, ma non m’importa nulla, ti darò la parola, e un’anima, e ricorderò a tutti la tua storia. Ciao fontanella, magari in un’altra vita ci rincontreremo, e mi farai sorridere ancora”.


Una risposta a “"La favola di una fontanella" di Christiano Cerasola”

  1. È’ un racconto scritto molto bene, che spesso invita al pianto, alla fine della lettura la Fontanella è più viva che mai e il lettore si ritrova arricchito di buoni sentimenti

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