“La ferita” di Roberta Braghelli


 

 

Era stato un boato, come un urlo straziante, poi in un tempo infinito la scossa violenta e la casa tremava come impazzita, in preda ad uno spasmo furioso.
Margherita aveva capito in un secondo cos’era.
Dormivano tutti tranquilli dopo una lunga giornata passata a passeggiare spensieratamente per le vie del paese d’infanzia in quel caldo agosto 2016.
Durante quei giorni i fili del passato si erano riannodati con estrema facilità, Margherita sapeva che tornare al paese dei nonni, ormai scomparsi, le avrebbe fatto solo che bene.
Suoni, colori, odori, struggenti nostalgie. Ogni angolo di quella frazioncina, a due chilometri da Leonessa, sussurrava al cuore tenere emozioni. I ricordi riaffioravano e con essi anche la malinconia di un’età che si era chiusa per sempre con i suoi sogni e le sue illusioni. Il marito Luca e i suoi due bambini Filippo di nove anni e Alessandro di cinque, all’inizio non l’avevano presa bene che non si fosse andati al mare a Viserba, come gli anni trascorsi. Le spese erano state tante ultimamente e poi, a dirla tutta, il mare l’aveva stancata. La sua anima aveva bisogno di pace, di quiete, di natura, di verde, di ritrovare una parte di sé sopita da tempo. Margherita tenne per se quel pensiero. I bambini non avrebbero capito tanti ragionamenti che partivano dal cuore prima che dalla testa, il marito così solido e concreto, poco avvezzo alle filosofie dell’anima, si sarebbe perso al primo giro di valzer…
La scusa ufficiale era che i soldi non c’erano. Punto.
Margherita balzò in piedi urlando. Il marito la seguì senza fiatare. I bambini vennero tirati via con violenza dai loro candidi sogni e trascinati giù dalle scale della grande casa. L’aria era fresca, immobile. Tutto sembrava essersi fermato. Il cielo era luminoso, trapunto di stelle, freddo. Era stato solo un attimo. In un tempo dilatato e senza forma il respiro di Margherita si era paralizzato alla vista dell’incanto della bellezza e della crudeltà della Natura. La solidità di Luca ebbe come sempre il sopravvento. Aveva aperto l’automobile, aveva acceso il riscaldamento e stava calmando i bambini che piangevano disperati; come avesse fatto restava un mistero. Aveva acciuffato nella fuga disperata il vecchio plaid che copriva la poltrona di suo nonno Armando e ora stava abbracciando Filippo e Alessandro. Margherita era altrove. Si sentiva trasportata fuori di sé da forti sensazioni. Margherita in quel momento non c’era.
Le scosse si ripetevano incessantemente. Tutti erano fuggiti dalle loro case, trasformate in potenziali trappole mortali. Chi piangeva, chi urlava, chi imprecava contro Dio e gli uomini, chi pregava come rapito da un’estasi improvvisa. Un’umanità disperata e ansimante vagava in preda ad un delirio senza senso. Non c’era conforto ma solo smarrimento e la disperazione sarebbe sopraggiunta appena la razionalità lo avrebbe permesso.
Margherita era infreddolita e dolorante dalla paura.
Al centro del paese era comparso un falò. Nessuno poteva e voleva rientrare nelle case. È straordinario osservare come la natura umana di fronte a catastrofi incombenti recuperi il senso profondo e autentico della solidarietà e della condivisione.
La scossa avrebbe aperto una ferita o più ferite nel terreno, sui muri delle case, nelle strade. Questa scossa aveva riaperto quella che non si era mai chiusa nell’animo di Margherita. Domani ci sarebbe stata una corsa da parte dei giornali e telegiornali, da parte degli “esperti del web” a definire l’entità della magnitudine e i danni provocati. La sua personalissima scossa a quale magnitudine apparteneva?
La più alta. La sua era stata della categoria “distruttiva”. Aveva raso al suolo speranze, certezze, sogni e poesie. Della “sua” città immaginata e costruita dall’infanzia non ne era rimasto che brandelli di muro sotto un cielo grigio come la cenere. La sua scossa era piombata, ma non senza altre scosse di preavviso, sei anni fa. Avevano scatenato la sua furia dirompente le parole gelide del neuropsichiatra dopo le lunghe osservazioni effettuate su Filippo.
Non sarebbe mai stato come gli altri.
Non avrebbe mai parlato. Non avrebbe mai capito il senso del mondo che lo circondava. Non avrebbe mai assaporato i piaceri della vita…una serie di “non”, avevano descritto clinicamente il piccolo paziente.
In un attimo la scossa, la “sua” scossa le aveva polverizzato il cuore, in una tarda mattinata di metà aprile. Non si era salvato nulla. Tutto era stato raso al suolo.
Margherita ricordava bene che tornata a casa con Filippo dopo la visita in ospedale aveva aperto la finestra della cucina e aveva guardato il cielo. Era una giornata bellissima ma lei era in preda alla disperazione e allo smarrimento.
Margherita tornò per un attimo al presente ma subito dopo venne risucchiata dal passato.
Ricordava i giorni successivi. Erano stati febbrili. Voleva trovare subito una soluzione, affidarsi ai terapisti più bravi, voleva sentirsi dire che non era quella la sentenza definitiva. C’era stata una ricerca spasmodica in internet di informazioni che l’avevano esacerbata. Margherita aveva capito solo con il tempo che di fronte ad una tragedia bisognava fermarsi, dare spazio al dolore nella sua totalità, bisognava piangere, urlare al cielo la rabbia della ferita. Bisognava perdersi per ritrovarsi.
Aveva scoperto che in realtà la sua anima non era morta, la ferita provocata dalla “sua” scossa forse non avrebbe mai smesso di sanguinare.
Nulla è perduto però , se lo si vuole veramente. Margherita aveva ricominciato pazientemente a ricostruire, partendo dall’amore per il marito. Non si era arresa nemmeno di fronte alle altre scosse che quotidianamente la sua vita le presentava. Era arrivato Alessandro.
Filippo migliorava.
La vita andava avanti.
Margherita avrebbe voluto dirlo ad uno ad uno dei suoi compaesani e domani lo avrebbe fatto sicuramente.
Riempite le vostre ferite di Amore e di orgoglio.
Siate tenaci.
Praticate la perseveranza.
Mettete all’angolo la disperazione che fiacca le forze e lo spirito.
Abbiate il coraggio di tenergli testa e nei momenti di sconforto insieme alle lacrime tirate fuori il fuoco costruttivo della rabbia.
Ripetete a voi stessi che fino all’ultimo respiro ricostruirete meglio di prima le vostre case.
Non cedete alla rassegnazione. Prendetevi cura di voi stessi. Sempre. Coltivate i sogni e la speranza di un futuro che è nelle vostre mani.


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