“La grande vecchia- 2521 D.C. ” di Maria Teresa Valle


 

 

La Grande Vecchia era distesa sul letto, il corpo legnoso e rinsecchito coperto solo da un lenzuolo, la schiena appoggiata su due cuscini che ne tenevano sollevato il capo. Una gran chioma di capelli candidi raccolti in una crocchia sulla sommità del capo inquadrava il viso, su cui la pelle tirata degli zigomi e raggrinzita delle palpebre, disegnava con precisione la struttura ossea sottostante, come se la carne si fosse consumata, i muscoli dissolti. Le labbra pallide si muovevano ininterrottamente  come in una muta preghiera e gli occhi fissavano un punto lontano, al di là della grande vetrata.

Fuori si vedeva solamente una distesa di acque tranquille. Una sottile nebbia si levava dalla superficie e saliva a formare un velo attraverso cui i raggi del sole venivani filtrati. Non un albero, non un uccello o un qualunque altro animale popolava lo spazio. Un silenzio irreale circondava la piattaforma che ospitava il laboratorio e l’abitazione della Grande Vecchia. All’interno il ronzio del climatizzatore faceva da sottofondo alle parole che  mormorava senza sosta.

– Tra poco sarà tutto finito – diceva senza guardare nella direzione della sua interlocutrice, – sarà tutto finito e io potrò andarmene in pace, ma prima devo sapere.

– Grande Madre, non dire così. Tu vivrai ancora a lungo.

– Non mi importa di morire. Ho fatto quanto potevo e ora non mi resta che sapere se tutto ha funzionato come doveva. Ci sono notizie dalle altre piattaforme?

– Le stiamo aspettando, ma non tarderanno. – La giovane si avvicinò al giaciglio e vi si inginocchiò accanto.  Appoggiò la testa e la Grande Vecchia prese ad accarezzarla, passando le dita nodose tra i capelli. – Vedrai Grande Madre – disse la ragazza con voce amorevole, – sarà andato tutto bene. Perché non mi racconti ancora una volta come sono nata?

La Vecchia sorrise continuando ad accarezzarle il capo, mentre il suo sguardo vagava fuori dalla finestra.

– Quante volte l’hai già sentito?

– Tante, ma non mi stanco mai di ascoltarlo.  – Disse la giovane – Ti prego.

– Gli scienziati di tutto il mondo erano in allarme. Da anni andavano dicendo che la catastrofe era imminente, ma i politici non avevano mai voluto credere alle previsioni. Durante l’ultimo convegno a Pechino i governatori dell’Eurasia, dell’Oceania, del Nuovo Mondo del Nord e del Sud avevano discusso a lungo. La colonizzazione di Marte era fallita, ma nessuno sapeva o voleva prendere le decisioni necessarie a salvare la Terra. Sottoposi all’imperatore delle Terre Equatoriali il mio progetto: se non si poteva salvare la Terra almeno si sarebbe salvato il genere umano. Finanziò la costruzione di mille piattaforme che avrebbero ospitato la futura nuova umanità. Nella più grande, questa, fu costruito il laboratorio e i miei collaboratori e io cominciammo a  lavorare alla salvezza dell’umanità.

Quando la grande catastrofe cominciò eravamo pronti. In pochi anni i ghiacci si sciolsero e il livello dell’acqua salì e salì e salì. Fino a sommergere tutte le terre emerse. Milioni di persone morirono e con esse gli animali e qualunque forma di vita. Solo noi che avevamo trovato rifugio sulle piattaforme sopravvivemmo, ma non saremmo vissuti a lungo con le sole scorte che avevamo e soprattutto non avremmo assicurato la sopravvivenza della specie se il mio progetto non fosse stato completato. Lavorammo senza sosta notte e giorno, mentre fuori le condizioni climatiche erano terribili. La temperatura esterna era altissima e l’umidità intollerabile. Nuvole dense oscuravano a tratti  il sole per sciogliersi in piogge torrenziali. Protetti dentro la nostra bolla  abbiamo condotto i nostri esperimenti e abbiamo ottenuto i primi risultati.

– Come hai capito quello che dovevi fare per salvare l’umanità?

– Ho passato tante notti senza dormire per pensare alla soluzione. Poi una notte sono crollata. Ero così stanca che mi sono addormentata con la testa appoggiata al braccio, sulla scrivania dove mi ero messa per leggere i miei appunti. Ho sognato un’orchidea. Era una pianta che avevo avuto, tanto tempo prima, sul davanzale della mia finestra. Per vivere non aveva avuto bisogno che di un po’ di umidità e un po’ di luce. Mi sono svegliata di soprassalto e ho capito quello che dovevo fare. Se avessi potuto unire il corredo genetico umano con quello vegetale avrei potuto risolvere il problema della sopravvivenza dell’uomo. Quando esposi la teoria ai miei collaboratori vidi dalle loro espressioni che mi avevano presa per matta. Ma io ero convinta della strada da percorrere. Dopo prove e riprove sono riuscita a inserire in una cellula uovo umana fecondata alcuni geni dell’orchidea “Phalaenopsis”, proprio quel genere e quella specie che stava così bene sul mio davanzale. Non è stato facile selezionare i geni giusti, farli accettare dal genoma umano e far crescere “in vitro” l’embrione fino a dar vita a un neonato. Tanti tentativi sono falliti, ma alla fine abbiamo ottenuto il “prototipo” giusto. Ormai sapevamo come fare.

– E io? Quando sono nata, io?

– Dopo alcuni anni eravamo in grado, scongelando gli ovuli che avevamo messo da parte e ibridato con i geni vegetali, di far nascere bambini perfettamente sani. Tu sei uno quelli. Ti sei sviluppata in un incubatore che ti assicurava il nutrimento e io personalmente ogni giorno venivo a trovarti e ti parlavo.

– E come sono fatta?

– Lo sai.

– Lo so, ma tu dimmelo, ti prego.

– Sei bellissima. La tua pelle ha una leggera sfumatura verde, per via della clorofilla, ma dentro le tue vene scorre il sangue. Non hai bisogno di mangiare. È sufficiente che tu beva l’acqua del mare, che ha la giusta concentrazione di sali, grazie alle piogge che sono cadute e ai ghiacci che si sono sciolti. Come per le piante. La luce catturata dai tuoi capelli, i tuoi bellissimi capelli verdi, permette alla clorofilla di sintetizzare tutto il nutrimento che ti serve e che viaggia attraverso il sistema linfatico distribuendosi a tutto il tuo corpo. Hai tutti gli organi di un essere umano e presto sapremo se i bambini che state per generare manterranno le stesse caratteristiche.

La giovane si accarezzò il ventre gonfio e, presa la mano della Grande Vecchia, ve l’appoggiò sopra.

– Ancora nessuna notizia dalle altre piattaforme? – Chiese la Vecchia con l’ansia nella voce.

– Grande Madre – un giovane con una folta capigliatura e una barba verdi irruppe nella stanza – Grande Madre sono giunte le notizie dalle altre piattaforme. Sono nati molti bambini. Sia maschi che femmine. Stanno tutti bene. Succhiano il latte dalle madri con avidità e ai più grandicelli stanno già spuntando i primi capelli. Sono ancora sottili, ma crescono.

– Di che colore sono?

– Verdi! – rispose il giovane con il tono di chi si stupisce per la domanda.

La Grande Vecchia voltò il capo per nascondere le lacrime che le rigavano le guance.

– Ora posso morire in pace. – Farfugliò con un filo di voce.


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