“La perdita” di Massimo Fagnoni


 

Agostino si è svegliato presto questa mattina, come tutte le mattine.

Accende la televisione, come un tabagista accenderebbe la prima sigaretta, vive da solo, è stato anche sposato, in un’altra vita. Lui la definisce un’altra vita, con se stesso prima che con gli altri, anche se con gli altri parla poco. Agostino era un chiacchierone, sua moglie lo prendeva in giro per la sua innata propensione alla comunicazione verbale, lei non era come lui, era più schiva, introversa, quasi scontrosa.

Oggi sono cinque anni pensa, e sospira lungo, sente un’ansia da perdita e gli viene in mente il commissario Schiavone, quando dialogando con il fantasma della moglie, definisce con precisione quasi perfetta l’assenza e la perdita.

L’assenza non fa necessariamente male, la perdita invece è definitiva e senza speranza.

Lui non parla mai con sua moglie, non ne sarebbe capace, pensa sempre che lei lo prenderebbe in giro: era persona pragmatica, poco incline a sdolcinatezze inutili.

La sua dolcezza la perpetrava nella quotidianità, quelle piccole grandi attenzioni che aveva continuamente per lui, dalle quali si percepiva l’intensità del loro legame.

Agostino non ha più la moglie a controllare la conduzione della casa, la gestione della dieta, l’igiene personale ed è diventato di una precisione quasi maniacale nel controllo degli spazi. Quando sposta una cosa, lava un bicchiere, pulisce un ambiente pensa cosa mi avrebbe detto Anna?

Quando prepara un piatto o stappa una bottiglia di vino pensa Anna mi direbbe di non esagerare con il sale, di non bere troppo.

E in questo modo sopravvive.

Contro la sua volontà, contro ogni desiderio, un giorno dopo l’altro, lui sopravvive. La casa non è mai stata tanto ordinata, la dieta non è mai stata tanto salutista: uno dei sessantacinquenni più sani del paese, le analisi sono perfette, la pressione stabile.

Agostino cura se stesso e la loro casa, preservando in questo modo il ricordo di Anna,  impedendo a se stesso di andare in frantumi.

Oggi deve uscire, fuori è maggio e se ne rende conto solo quando apre il pesante portone in legno del palazzo, che si spalanca su una piazza, e in quel momento si rende conto che l’aria è cambiata: è quasi caldo, quasi estate.

Come ha fatto a rimuovere la primavera e soprattutto l’inverno?

La sua vita oggi si muove con i tempi del lavoro, un lavoro che sta per lasciare, perché fra un mese andrà in pensione, e dopo avrà tutto il tempo per frequentare i suoi coetanei della protezione civile, potrà fare volontariato al centro anziani sotto casa, e con la liquidazione e i soldini risparmiati potrà viaggiare, sì viaggiare, e gli torna in mente Battisti. Anna amava Battisti e lui oggi deve pensare a lei in maniera diversa, non deve soffermarsi sulla sua dipartita, ma sulla loro vita insieme e ricorda un maggio, uno qualsiasi, un maggio parigino, quanti anni avranno avuto? Quaranta lui, trenta lei. Era così bella, i capelli ricci, lo sguardo sicuro, la curiosità tipica della giovinezza, quando viaggiare era puro divertimento, la scoperta dei luoghi, dei cibi.

Sente immediata la perdita, l’impossibilità di condividere ancora con lei qualsiasi cosa, e allora usa un trucco che lei gli ha insegnato quando imparavano a salutarsi, verso la fine.

Agostino ripensa a Parigi quando aveva vent’anni e non conosceva ancora Anna, era la sua prima vacanza in solitaria, a fine liceo. Era andato a trovare i parenti francesi e si ritrovò da solo in un appartamento della periferia parigina, mentre i parenti erano in vacanza sulla Loira.

Ricorda una Parigi enorme, in un settembre mite e lui da solo a perdersi sulla metropolitana, nei musei, per le strade, un’intera città con la quale giocare, senza tempi da rispettare.

Ricorda la televisione francese che guardava ai suoi ritorni la sera e soprattutto la Conquista del West, uno dei telefilm preferiti della sua  giovinezza, e rideva ascoltando lo zio Web parlare in francese.

L’assenza … in quel momento della sua vita Anna era solo un possibile sogno, un desiderio da realizzare perché semplicemente non esisteva.

Il dolore si attenua, quasi scompare e Agostino riesce a superare quasi indenne il rituale del cimitero, con i girasoli sulla tomba e il vento leggero di maggio, in un luogo tanto piccolo quanto vuoto di persone, riesce a uscire da quel luogo del ricordo e del rimpianto e si ritrova con una giornata da riempire.

Decide di fare una passeggiata per Bologna e arriva ben presto in piazza Maggiore, in giro ci sono gite studentesche, giovani partiti da una qualsiasi scuola di una qualsiasi città per visitare Bologna con insegnanti al seguito, davanti a palazzo comunale sono schierati i poliziotti vicino ai loro automezzi; un giovane agente sta chiacchierando con una della municipale.

Lei è bionda e truccata, è tutta sorrisi e risatine, lui ha la barba corta da uomo rude e gli occhiali a specchio: stanno flirtando.

Agostino si siede nel bar della piazza, dove spesso facevano colazione Dalla e Guazzaloca, pezzi di una Bologna che non c’è più, e rimane lì a guardare la città scorrergli davanti, ordina un caffè e un nuovo ricordo di Anna riemerge prepotente: le loro passeggiate per Bologna, i pomeriggi dedicati alla spesa settimanale, i loro rituali. Cerca con lo sguardo le coppie in giro per la piazza, scorge due giovani stranieri con lo zaino sulle spalle, mano nella mano, non fanno al caso suo, troppo distanti culturalmente e anagraficamente. Poi scorge due anziani, lui ha la macchina fotografica appesa al collo, lei sta consultando una mappa e per un secondo pensa di avvicinarli e invitarli al suo tavolo, vorrebbe dare loro dei consigli, vorrebbe prepararli, ma prepararli a cosa?

Come fanno gli altri? Come hanno fatto a superare il lutto, o semplicemente ad abituarsi alla perdita?

Agostino si sente come congelato in una porzione di tempo dove nulla ha davvero significato, non si accorge più del passaggio delle stagioni, non segue la politica come faceva un tempo, si perde fra libri di narrativa e fiction televisive, e tutto gli scivola intorno come se davvero non esistesse, come un videoclip muto.

Sorride al barista che gli chiede qualcosa, paga il caffè e rimane nel tepore del giorno, indeciso su come muoversi, su dove andare.

«Agostino Roveri?».

Per un secondo Agostino si chiede se la voce fuori campo non sia la sua, poi conclude di non essere così rincoglionito da avere allucinazioni uditive e girando lo sguardo la vede.

«Ci conosciamo?» chiede stringendo appena gli occhi miopi, il sole riverbera sui capelli della donna, sfuma i contorni, la fa sembrare un angelo con i capelli grigi.

«Antonella Comaschi, sezione C, liceo Righi».

Un’ondata calda investe Agostino, il tempo del liceo riemerge: un periodo  precedente a qualsiasi ricordo doloroso, il limaccioso tempo della sua precaria adolescenza fra acne giovanile, esami di riparazione e movimenti studenteschi. Il ricordo di Antonella affiora impreciso, fra i tanti del medesimo periodo, tutti risibili, con il retrogusto amaro tipico dei ricordi così così.

«Antonella …» riesce a balbettare «non sei cambiata per niente».

E Antonella scoppia a ridere, una risata giovane, più giovane dei capelli grigi leggermente ispidi e puliti, più giovane delle rughe profonde incise attorno agli occhi ancora verdi, leggermente sbiaditi. I denti sono fin troppo bianchi e le mani appena macchiate, ma la risata la riconosce. E riappare Antonella Comaschi, rendimento scolastico mediocre, gambe lunghe sotto le gonne corte e un seno di tutto rispetto. Era una delle più appetibili della sua classe e dell’intera scuola, una che lui nemmeno in sogno. Riaffiora tutto insieme, è sufficiente quella risata per restituirgli l’adolescenza, periodo ingrato negli anni settanta, ma pur sempre privo delle angosce odierne.

Agostino e Antonella cominciano a parlare, come se si fossero lasciati il giorno prima e si raccontano i lutti, le gioie, gli studi, le lauree, i figli, i nipoti, le separazioni, i divorzi e il tempo scivola lento e veloce. Le luci nella piazza si spostano e alla fine i due ex compagni di scuola ritrovati decidono di pranzare insieme, perché anche per Antonella la giornata è da riempire e Agostino non sente più l’angoscia, si perde negli occhi di lei e gli torna in mente una canzone, Ventinove settembre, mentre con Antonella a braccetto si avvia verso via Indipendenza, a caccia di un ristorante,  e per la prima volta sente nuovamente i profumi, gli odori, vede i colori e ride. Ricomincia a ridere e la perdita si affievolisce per oggi, per un’ora, per un giorno e forse per il futuro prossimo venturo.

 

 


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