"La spesa" di Laura Bonelli


img_4689

 

– Cosa ne pensi di proporre Marius Angh per la parte del nuovo James Bond?
– Dici? Non è male, in effetti. Ha la faccia giusta ed è anche bravo.
– Credo che potremmo parlarne seriamente. Se viene scelto però dobbiamo ricordarci che nel contratto lui metterà di sicuro quella clausola.
– Quale?
– Ogni due settimane vuole avere tre giorni di stop per tornare a casa, anche se sta girando in cima all’ Himalaya o sull’ Isola di Pasqua.
– Che cos’ha di così urgente da fare?
– Nessuno è mai riuscito a saperlo e se glielo chiedi ti dice solo che ha un impegno tassativo, più importante anche della carriera. E ti assicuro che è così, ha rinunciato al ruolo di protagonista in produzioni per cui altri attori avrebbero accettato di fare anche la comparsa di spalle, pur di poter dire di averci lavorato.

Stavano andando in auto al supermercato di sabato mattina per fare la spesa settimanale, quella “grossa”, in cui ne approfitti per comprare anche le cose pesanti come il fusto di detersivo e le casse d’acqua; la persona che guidava la macchina davanti aveva frenato bruscamente e loro, per evitarla, avevano sterzato a sinistra, invadendo parte della corsia opposta, proprio nel momento in cui si stava svolgendo un sorpasso. Gli incidenti avvengono così: incastri sbagliati in tempi sincronizzati al millesimo di secondo.
Quando aveva sentito suonare il telefono Mario era ancora a letto, reduce da un venerdì sera da leoni che gli aveva lasciato un gran mal di testa. L’insistenza con cui gli squilli si facevano sentire gli avevano fatto capire che i suoi genitori non erano in casa. Rispose con la bocca impastata e ci volle del tempo prima di capire che dall’altro lato della cornetta la voce piana del carabiniere gli dava una notizia che avrebbe cambiato del tutto il corso della sua esistenza di diciottenne.
Erano morti i suoi genitori in una fresca mattinata di marzo e la dispensa era rimasta vuota. I mesi che seguirono furono un viaggio confuso, in cui il ragazzo si trovò a vivere nella sua casa, diventata enorme, in compagnia di una solitudine ombrosa e accecante. Fu per questo motivo che accettò l’invito di un amico ad iscriversi a una scuola di recitazione, luogo in cui trovò il modo di canalizzare la rabbia, facendo esplodere il talento. Mario era di bell’aspetto, alto e statuario con un timbro di voce piacevole e armonioso. Il suo nome cominciò a girare in fretta nell’ambiente artistico ma la sua vera fortuna fu un piccolo scandalo da gossip con una nota attrice americana. Negli Stati Uniti piacque e fu così che il ventenne Mario Anghetti diventò il celebre Marius Angh. Si trovò zeppo di tutto quello che un ragazzo può sognare dallo star system. Donne, party e luccichii. Lui si prese tutto e nuotò soddisfatto nel mare dell’adulazione. Nonostante la sua carriera si svolgesse soprattutto oltreoceano appena possibile faceva ritorno alla sua casa natale. Era ricco e avrebbe potuto permettersi un appartamento in centro ma era affezionato a quel quartiere di periferia in cui era cresciuto. Nella sua abitazione non aveva cambiato nulla. I mobili erano gli stessi con cui i suoi genitori avevano arredato gli spazi e aveva mantenuto anche la cameretta che aveva da ragazzo. Quando rientrava gli piaceva addormentarsi nel suo letto a una piazza, leggendo i fumetti dell’ Uomo Ragno.
Una sera, tornando in moto da una festa organizzata in suo onore a poca distanza da casa, si accostò per cercare il telefono, dopo aver tolto il casco. Era così gonfio d’alcool e banalità che aveva perso l’equilibrio ed era caduto da fermo, sbattendo la testa sul marciapiede. L’aveva soccorso una pattuglia della polizia che stava appostata lì vicino e casualmente aveva assistito alla scena.
Passò la notte al pronto soccorso dove smaltì la sbornia e al mattino dopo rientrò a casa con un gran bozzo in testa. Stava aprendo la porta quando vide la sua anziana vicina di casa che cercava di uscire appoggiandosi a fatica sul bastone.
“Viterba, dove vai?” domandò.
“A prendere il pane” rispose lei, secca e scontrosa a causa del male che sentiva alle ginocchia.
Mario richiuse la porta. “Ci vado io se vuoi. Ti serve altro?”
Sarebbe stato meglio che quella domanda non l’avesse mai fatta. Tornò dal mercato carico come uno sherpa in spedizione.
Viterba pensò che forse non le sarebbe capitata di nuovo un’ occasione d’aiuto e si fece portare le provviste per un mese. Le sue condizioni fisiche non erano abbastanza invalidanti da poter avere un sostegno dal Comune per le necessità quotidiane, ma le gambe doloravano spesso, facendole passare la voglia di uscire. Inoltre il supermercato era lontano e per farsi portare a casa la spesa chiedevano un sovrapprezzo; con la pensione minima che percepiva anche trovare quei soldi in più era un problema.
Erano in tante in quel palazzo nella sua stessa condizione, in un quartiere dormitorio che di giorno era popolato solo dagli ultrasettantenni. Al quinto piano viveva Avne, ex insegnante di matematica dell’istituto professionale per disegnatori tecnici, al quarto Romilda che aveva lavorato una vita come domestica per una baronessa, al terzo, oltre a Viterba c’era anche Nelda. Tra di loro non correva buon sangue e ogni inezia era motivo di litigio, ma anche quello era un modo per far passare il tempo, lento e pieno di noia, nelle lunghe giornate cariche di niente. Al secondo piano stava Grazietta, una pianista in pensione la cui memoria cominciava a perdere colpi e spesso passava ore, inceppata, a battere il tasto del si minore finché dal piano di sotto Delcisa, spazientita, cominciava a picchiare il soffitto col manico della scopa per farla smettere.
Il giorno dopo Nelda bussò alla porta di Mario chiedendogli timidamente se per caso nei suoi tragitti riuscisse a passare dalla farmacia a prenderle le pastiglie per la pressione. Quando scese nell’atrio trovò Grazietta, ferma immobile a fissare la bolletta della luce da pagare e così l’uomo incluse anche la posta nel suo giro.
Cominciò tutto in questo modo e senza nemmeno accorgersene divenne un’abitudine. Il sabato mattina partiva dall’ultimo piano e prendeva le ordinazioni. Fruttivendolo, panettiere, macellaio… usciva con i biglietti e tornava carico di buste e sacchetti.
Il giorno prima Marius Angh era a Londra per ritirare un premio per un film ai Bafta e il giorno dopo era Mario Anghetti a girare tutte le farmacie della zona per trovare una precisa marca di lassativo alle erbe.
Nessuna di loro si era mai preoccupata di che lavoro facesse, e i film di cui era protagonista non interessavano alle attempate signore che guardavano distrattamente solo le telenovele o, al limite, qualche documentario sugli animali. Per loro era solo Mario, il nipote gentile che avrebbero voluto avere e che ricompensavano preparandogli il budino o invitandolo a bere un caffè d’orzo quando sentivano che era tornato a casa.
Mario si accorse che c’erano regole precise da seguire per questo servizio. Un giorno era al supermercato a cercare il formaggio grattugiato in busta nel reparto dei freschi. Il tipo richiesto da Viterba era finito e così Mario decise per un altro. Al suo ritorno la donna gli fece notare che costava cinquanta centesimi in più. L’uomo si spazientì, pensando che con quello che lui guadagnava avrebbe potuto comprarle un tir intero di parmigiano, ma disse solo: ”Non ti preoccupare quello in più lo metto io” e posò la moneta sulla tavola. La donna gli diede indietro i soldi e lo ringraziò freddamente.
La mattina dopo, appena sveglio, stava guardando fuori dalla finestra, mentre sorseggiava un caffè. Vide l’anziana signora per strada che arrancava trascinandosi dietro il carrello per la spesa. Uscì sul balcone e le urlò: “Viterba, ma cosa fai?”. Scese di corsa le scale e la raggiunse, riaccompagnandola verso casa. Capì che la sua presenza e i suoi favori erano graditi, ma che il gesto fatto il giorno prima l’aveva fatta sentire una pezzente. Viveva con poco e aveva trovato degli equilibri che le permettevano di mantenere la sua dignità. Se lui non era in grado di rispettarli allora preferiva tornare alla sua vita precedente, anche se voleva dire rinunciare a quel sollievo.
Mario avrebbe potuto smettere quando voleva e pagare per ognuna di loro una badante che si occupasse di tutto, in ogni caso sarebbe stata un’inezia per lui, ma non voleva che le cose andassero in quel modo. Così nei contratti da stipulare per un nuovo film c’era sempre quella clausola e quando lui doveva assentarsi per un lungo periodo ogni quindici giorni lasciava il set per tornare a casa a far loro la spesa e sentir parlare di calli, artrosi e solitudini. Anche se ricordava poco e niente del doloroso periodo che seguì la morte dei suoi genitori, troppo sballottato e confuso per rimettere assieme i pezzi, erano state quelle donne che silenziosamente si erano occupate di lui, rifacendogli il letto la mattina, accompagnandolo dal dottore e lasciandogli un piatto di pasta sopra il tavolo.
Nella sua esistenza dorata ed appagante in cui poteva permettersi quasi tutto quello che la gente comune non trova il coraggio nemmeno di immaginare, c’era un posto vuoto che solo in quel modo era in grado di riempire.
Era lo spazio per dire: Grazie.


Lascia un commento