“La vendetta di Agata” di Matteo Begotti


 

C’era una volta una bambina di nome Agata.

Era una bambina diversa dalle altre perché invece di giocare con le bambole, rubava a tutti gli abitanti della sua città (aveva imparato da suo fratello), e sapeva anche guidare la moto nonostante avesse solo 7 anni.

Agata non si faceva mai scoprire infatti la sua città era chiamata città “Spariscente”, proprio perché gli oggetti sparivano e nessuno ne capiva il motivo.

Era incredibile come quella bambina riuscisse a rubare così velocemente. Pensate che riusciva a rubare in otto case ogni giorno.

Ad un certo punto sentì una voglia irrefrenabile di suonare uno strumento semplice e piacevole da ascoltare e quindi pensò bene di rubare in casa di un famoso attore che aveva un figlio che suonava il flauto.

Quando provò a suonarlo e lo fece sentire a suo fratello, lui morì.

Allora lei si arrabbiò con il destino e il suo nuovo scopo nella vita diventò assassinare l’attore e suo figlio per vendetta.

Suo fratello possedeva un cappello parlante che poteva far comparire in esso tutti gli oggetti immaginabili solo chiedendoli. Prese allora il flauto e il cappello e con la moto andò a casa dell’attore.

Entrò senza farsi vedere e, una volta in casa, chiese al suo cappello una pistola.

Si guardò in giro e vide un passaggio segreto che i proprietari si erano dimenticati di chiudere. Scese dalle scale e scovò un laboratorio nascosto gigantesco dove i padroni stavano creando una arma di distruzione di massa che nessuno, se non lei, avrebbero potuto fermare.

Era un robot gigante munito di razzi, testate nucleari, spara fulmini e molto altro: la salvezza del mondo era nelle sue mani.

Allora Agata, appena il figlio se ne andò a prendere dei pezzi per arricchire il robot di armi, lo seguì e gli sparò un colpo ben assestato facendolo crollare a terra.

Suo padre sentì le urla di suo figlio e corse subito ad annientare il colpevole.  Appena trovò il cadavere, Agata si nascose e sparò un colpo di pistola, ma lui lo evitò. Allora la piccola Agata provò a suonare il suo flauto, ma con un solo gesto lui lo buttò a terra.

Per vincere lo scontro bisognava usare l’astuzia. Chiese al suo cappello di creare un telecomando che guidava il robot, lo usò e l’immensa macchina all’improvviso si animò e andò contro il proprietario.

Mentre l’attore cercava di bloccare il robot Agata si avvicinò con il flauto e suonò quella melodia di agonia. L’attore cadde a terra morto.

Aveva salvato il mondo. La sua vendetta era compiuta, poteva tornarsene a casa, ma a che scopo? La sua vita non era più la stessa senza suo fratello.

 


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