"Lama vince pietra" di Fabio Mundadori


Non capisce.
Non subito almeno.
La fitta lancinante come una lama invisibile, le attraversa la carne dalla clavicola fin sopra alla scapola: l’ultimo ricordo prima del buio.
Quando riapre gli occhi, ciò che l’attende è solo altra, densa, oscurità.
Altro buio compresso, incastrato dentro un’aria stretta. Un’aria che sempre più scarsa arriva ai polmoni.
Non riesce a spiegare il peso che preme sulla schiena: ogni movimento è impossibile, il capo è libero, ma immerso in una bolla d’inchiostro nero.
Il braccio destro sembra avere qualche centimetro di spazio a disposizione: tenta di piegarlo, ma il dolore alla spalla torna a scavare nella carne non appena contrae il primo muscolo.
– Dove sono? – chiede la propria voce nella testa.
Nessuna risposta.
L’orologio al polso ha il quadrante luminescente, uno di quelli che basta un piccolo movimento e un micro qualcosa accende una lampada dalla luce azzurra; il braccio però è schiacciato contro la coscia e il solo tentativo di spostarlo le provoca una sofferenza insopportabile.
Prende fiato, serra le mandibole e riprova.
La scapola sembra aprirsi in due, come se il braccio stesse per separarsi dal resto del corpo.
Insiste e alla fine l’arto si piega.
Ignora il martellare del dolore e spinge il pugno chiuso verso l’alto. La fatica è immane, qualcosa ostacola anche i movimenti laterali.
Lasciarsi svenire per non sentire più il proprio corpo urlare è più che una tentazione. Poi l’ultimo sforzo distende il braccio. Il polso è finalmente davanti a lei: una repentina rotazione del polso e una luce blu inonda lo spazio attorno; i suoi occhi incrociano uno sguardo che subito non riconosce.
Non può riconoscerlo, lei lo ricorda caldo e colmo di promesse per il futuro.
Lo ricorda posato sui suoi fianchi acceso di amore e desiderio.
Le serve qualche minuto per accettare che quegli occhi congelati in un ultimo sguardo senza fine, sono quelli dell’uomo che aveva saputo donarle ancora la gioia d’innamorarsi.
Franco è lì con lei, ma la bocca è spalancata in modo innaturale e l’impugnatura di un coltello sbuca da sotto la sua mascella.
La luce blu si spegne, lei smette di resistere e lascia che il nulla l’avvolga di nuovo.

Ti ricordi?
Quante volte da bambini ci abbiamo giocato! La morra cinese: carta vince pietra, forbice vince carta, pietra vince forbice.
Ricordi l’afa del cortile, il fresco dei portoni aperti?
I palazzi che abbracciavano amorevolmente quei rettangoli di erba, terra butterata di sassi e rattoppi d’asfalto?
Per uscire verso la strada bisognava oltrepassare il cancello: limite invalicabile alla nostra libertà, anche se sempre aperto senza nessun guardiano che lo presidiasse
Ma tu avevi altri limiti che preferivi oltrepassare, vero Andrea? Lontano dal sole, dalla luce che avrebbe mostrato il tuo vero volto, diluito nell’ombra degli androni quante volte hai violato con le tue mani il confine delle mie mutandine.
Quanto mi piaceva. Quanto mi piacevi, Andrea. Mi piacevi talmente che sono diventata tua moglie.

Secondo risveglio
Quanto tempo è passato non lo sa dire. Sente solo le palpebre più pesanti il respiro più difficile. Forse basta aspettare ancora un poco e gli occhi si chiuderanno nuovamente per raggiungere la libertà infinita che solo la morte concede. E forse ritrovare anche Franco.
Ma Franco è sotto di lei.
Ruota il polso e l’azzurro torna. Torna la maschera di morte al posto del volto dell’uomo che ama.
Una sorta di cortocircuito dentro la testa le impedisce di ricordare come sia arrivata lì.
Ma lì dove.
Distoglie lo sguardo dal cadavere; gli occhi ormai assuefatti a quella luce cercano qualunque appiglio che la aiuti a capire: sopra trame di tessuto grezzo, intrecci di juta tutt’intorno a lei che ora realizza la propria posizione supina.
Dentro qualcosa sta montando: adrenalina che si riversa nelle vene o la paura ancestrale del chiuso che sfuma nel più atavico istinto di sopravvivenza?
Distinguerli è impossibile.
E allora la sua attenzione torna a Franco, allunga la mano verso il suo viso, così come quando lo accarezzava. Ma ora le dita si chiudono un attimo prima attorno all’impugnatura del coltello conficcato nel collo. E con tutta la forza che ha nel braccio tira, incurante del dolore, gridando per il dolore, tira. Fino a quando con un suono orribile la lama si separa da quella carne esangue guadagnando nuovamente l’aria.
Sa che l’idea è folle.
Non sa cosa troverà oltre quel tessuto.
Sa che potrebbe morire, ma se non farà nulla morirà certamente.
In certe situazioni poter scegliere è un lusso che non puoi permetterti d’ignorare.
Lama vince stoffa.

Il giorno che ti sposai fu quello che ricordo come il più felice della mia vita. Il vestito bianco, l’altare. Tu così bello il tuo sorriso ancora più luminoso. Gli amici attorno e anche Franco. Ricordo ancora Don Mario il giorno prima della funzione quando ci disse con sguardo quasi severo
– Siate dei bravi sposi figlioli! E tu, Anna, incornicia la foto che vi scatteranno quando lui ti passerà il calice con il vino. Con quel gesto il tuo futuro marito sta promettendo di renderti felice! E ogni volta che soffrirai a causa sua, mostragli quello scatto, affinché ricordi l’impegno che ha preso. –
Sai, Andrea, da quel calice sull’altare davvero io ho sorseggiato la gioia e allegria del vino, ma tu hai compiuto il maleficio di renderne il sapore ogni giorno più simile a quello del fiele.

Il sacco che come una placenta l’ha custodita fino a quel momento accanto al suo “gemello” morto è squarciato.
Dall’apertura poco alla volta ha cominciato a fluire sabbia.
Ora sa cosa la schiaccia con il proprio peso. Ora sa che se giocherà bene le sue carte, le rimane una speranza di uscire viva da quel luogo di morte.
Muove il corpo fino a quando sente la massa granulosa cedere, prima di poco poi sempre di più fino a permetterle di piegare le gambe e spingere. Libera il braccio sinistro. Nessun dolore. Almeno quello funziona. Passa il coltello nella mano che ha appena riguadagnato e la lama ora è il suo strumento di scavo.
I polmoni bruciano, l’ossigeno è sempre di meno e anche il tempo che le rimane.

Mi rimane poco tempo, Andrea: presto saranno qui.
Dimmi qualcosa.
Fammi cambiare idea.
Fai sorgere in me un dubbio, dammi un motivo che mi spinga a riconsiderare la mia decisione di porre fine alla tua vita.
Perché è questo che farò.
Almeno io farò in fretta, tu la mia di vita l’hai annientata.
Giorno dopo giorno, prendendoti gioco del mio amore, vivendo le tue storie di sesso e pubblicandole in quello squallido forum. Credevi non sapessi, Andrea?
Certo non subito, ma poi ho capito. Ho seguito i tuoi movimenti su internet. Mi credevi incapace, un’assoluta incompetente informatica ed è così. Ma Franco, no lui è come te un mago di bit e byte. Lui mi ha aiutata. Certo il suo forse non era un appoggio disinteressato ma mi è stato vicino. Voleva che parlassimo credeva ancora nel nostro amore, lui.
Ma non io.
Vuoi dirmi qualcosa? Sì, parla.
Dimmi, tesoro.
Pelle e barba volano a terra incollate a un cerotto.

La fragranza densa che raggiunge le sue narici ha il profumo stesso della vita. Stretto nella mano l’acciaio continua furiosamente a tagliare terra e radici. Ora anche il braccio sano è martoriato da crampi e articolazioni in fiamme; manca un nulla alla libertà e soffrire, a questo punto, è solo un dettaglio.
Un’ultima spinta e come un feto partorito dalla madre terra, respira a pieni polmoni aria e mare.

– Anna, io…
– Ma certo, TU solo TU: il tuo argomento di discussione preferito, il tuo ego. L’unica cosa che per te ha importanza. In fondo io sono così banale, così come è banale questa mia vendetta per amore.
– Anna, non dire così è solo che…
– Zitto! – un nuovo cerotto sulle labbra. – Cosa, tesoro? Davvero sei convinto che ancora non ricordi perché stringo questo coltello in mano?

Terzo risveglio
Il sole si sta alzando dal mare. La sabbia umida le sporca viso e mani.
Scosta la maglietta che si è trovata addosso.
Il foro che ha appena sotto la clavicola sembra migliorato, anche se un alone di carne bruciata lo circonda ancora ben visibile.
Quanti giorni sono passati dalla sua rinascita non lo sa. Ha contato un solo tramonto poi ha smesso. Vaga come una senza tetto, quale è, per le dune a ridosso della spiaggia.
Il mattino si lascia svegliare dal sole che spunta dal promontorio dal profilo di donna: sa che dovrebbe conoscere il nome di quel monte, ma è immerso come tutto il resto nella nebbia che ha inghiottito la sua memoria; prima che arrivino i turisti si bagna nell’acqua cristallina e si sdraia sulla sabbia finissima asciugandosi al calore di quello stesso sole, poi corre a nascondersi tra la vegetazione al di là della strada che costeggia il litorale.
La sera si nutre con i rifiuti delle ville abitate dagli ultimi vacanzieri di stagione.
Il mese lo ricorda Agosto. Sa che è la fine di Agosto.
E basta.
Tra poco la gente tornerà alle città. A spendere nei centri commerciali. Come quello dall’altra parte del paese.
É tanto che non mette piede in uno di quei posti.
Percorre il lungo tratto di provinciale che porta al paese, oltrepassa il centro abitato fino a quando due porte a vetro scorrevoli si aprono davanti a lei. Forse vogliono solo evitarla: deve avere un aspetto orribile.
Un passo ed è in altro mondo.
Occhi disgustati la osservano, la squadrano. Una vetrina le restituisce il riflesso impietoso della sua immagine: sì, decisamente orribile.
Oltre il vetro un’altra lei la fissa, ha lo sguardo vacuo: è una foto. Sì, quella della patente.
Un flash: patente, lei ne ha una.
L’immagine cambia: la spiaggia, lo stretto buco nella sabbia, dal quale a stento è uscita, ora è una voragine con dentro un sacco di iuta vuoto. Attorno, agenti dei reparti speciali nelle loro bianche tute asettiche.
Nuovo cambio immagine: Franco. Sorride, il braccio sinistro alzato come a stringere qualcuno oltre il bordo del taglio con il quale hanno mutilato la foto.
In quella foto, lo sa, Franco abbraccia lei.
Cambia ancora: Andrea (chi è Andrea?), ha il volto triste anche se di solito ride sempre (come fa a saperlo?).
Deve sentire cosa dice.
Altre due porte scivolano via e lei oltrepassa la soglia del negozio.
La voce di Andrea è un graffio sulla lavagna, un suono che le ferisce le orecchie.
– …quindi, Anna, se ancora per te conto qualcosa costituisciti. So che stai male. Che hai agito in un momento di difficoltà. Vedrai. Insieme come sempre risolveremo tutto. Ascoltami vai in un commissariato di polizia, o in una caserma dei carabinieri e chiamami io correrò ovunque tu sarai. –
– Abbiamo ascoltato l’appello di Andrea Grimaldi che…
Il negozio è affollato, ma nessuno la vede mentre scosta la maglietta e guarda la ferita d’arma da fuoco che le marchia la carne.
Nessuno la vede, mentre nella tasca dei calzoni stringe nuovamente l’impugnatura della baionetta che fa parte della collezione d’armi bianche di Andrea.
Nessuno può vedere i ricordi scorrere di nuovo fluidi all’ interno della sua mente.

Come hai potuto, Andrea!
Certo, tu sei il maschio.
Hai voluto dare sfogo alla tua gelosia!
Quella che ti ha assalito quando hai scoperto che io e Franco eravamo diventati amanti.
Proprio tu che hai continuato a fare i tuoi comodi per nove lunghi anni.
Hai ucciso Franco con la baionetta e hai sparato a me.
Mi hai sepolta credendomi morta ma il proiettile non ha toccato alcun organo vitale. Niente arterie, niente polmoni solo muscoli e ossa.
Pagherei chissà cosa per aver visto la tua faccia quando ti hanno comunicato di aver trovato il corpo del tuo socio Franco dissepolto in mezzo alla spiaggia.
Di certo avrai riacquistato il respiro quando ti hanno detto che il suo corpo era pieno di mie tracce organiche. Capelli, pelle, ciglia, sudore e umori.
Sì, perché tu ci hai colti, come si dice, in flagrante.
E ora sono qui, tesoro.
Braccata.
Accusata di aver ucciso l’uomo che amo.
Le senti le sirene? Loro stanno arrivando, d’altronde ho lasciato talmente tante tracce.
Ma non m’importa.
Polizia o carabinieri? Non ho mai saputo distinguerle. Nemmeno da piccola ricordi, Andrea?
Giocavamo ad indovinare e tu vincevi sempre. Io tenevo gli occhi chiusi e non guardavo. Ma tu chissà, forse già allora ti prendevi gioco di me. Del mio amore. Forse dentro di te batteva già un cuore di pietra.
No?
Scuoti la testa?
Ma sì, invece, mio piccolo tesoro.
E ora, mentre la stessa lama che ha sottratto la vita al mio amore uccide anche te, impara questa nuova regola.
“Lama vince pietra”.


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