"L'ultimo Capodanno" di Massimo Fagnoni


 

Moreno Landi esce nel freddo indeciso di una notte di fine anno. La prima notte del nuovo anno gli tocca di lavorare, non che gli dispiaccia, perché Moreno è arrivato a quella strana età nella quale le feste, tutte le feste, hanno un sapore strano. Se lui dovesse abbinare un primo alle feste di Natale sceglierebbe le lasagne, perché è uno dei piatti della tradizione emiliana, imitate in tutto il mondo e quando hai lo stomaco vuoto e un’aspettativa importante le lasagne sono perfette, quasi erotiche nella loro completezza, come una donna generosa dalle curve morbide e sinuose.
Il problema è che lui non le digerisce più bene, perché sono pesanti, quelle di sua madre erano le più appetitose, ragù, besciamella, e quella pasta, lui adorava la crosta che si formava in superficie, preludio sgranocchiante di un pranzo emiliano. Se le mangia adesso però gli rimangono sullo stomaco e quando ha un attacco di gastrite tutta la magia delle lasagne e tutta la magia delle feste svanisce in considerazioni ciniche sull’incedere del tempo.
Venti chilometri a Bologna, questa sera lavorerà nella centrale radio operativa della polizia municipale, perché dopo una certa età ti è concesso almeno il posto al calduccio, nelle retrovie, sei ore a rispondere alle telefonate del bolognese medio, solitamente anziano, incline al piagnisteo lagnoso, gente che ha dimenticato cosa faceva l’ultima notte dell’anno, gente che va a letto presto, che ha paura dei fuochi artificiali, che detesta il divertimento, la musica, i petardi, le feste e vuole solo potere cenare alle cinque di pomeriggio, e andare a letto alle nove di sera, dopo il telegiornale e le previsioni del tempo. La strada è deserta, Moreno incrocia ogni tanto un’auto che veloce sta spostandosi da un luogo a un altro, giovani che hanno lasciato una festa per cercarne una nuova, una diversa concezione del capodanno. I giovani devono divertirsi, è obbligatorio, bisogna farlo a tutti i costi e allora rimbalzano come palline ubriache di un enorme flipper da un locale all’altro, da un paese all’altro, per ritrovarsi la mattina del nuovo anno con un enorme cerchio alla testa e le idee confuse sul futuro. Sono stato giovane si sorprende a sussurrare, mentre per radio sta passando l’ultimo omaggio a George Michael, Last Christmas. George è morto per Natale e la sua canzone più gettonata negli ultimi vent’anni fluisce da ore in tutte le radio, una canzone che racconta una storia d’amore finita male, divenuta nel mondo il jingle preferito durante le feste.
Il cellulare vibra, perché sotto le feste la suoneria è spesso preludio di rotture di maroni, come direbbe il suo commissario preferito, Rocco Schiavone.
Moreno non è vedovo come il commissario, solo separato.
Solo e separato e quella che sta chiamando è la sua ex moglie, quella che l’ha lasciato per rifarsi una vita, perché lo trovava noioso, un quarantenne noioso, gli disse la sera nella quale gli comunicò che aveva un altro, dieci anni prima, era un suo ex compagno del liceo che aveva incontrato a una cena, uno di quei ritrovi patetici dove ci si incontra dopo dieci, venti, trent’anni, senza conoscersi più, e si finge di provare qualcosa che non si provava nemmeno al liceo. Lei si è reinventata un amore per un compagno di classe che allora la desiderava molto, perché era bella Liliana, anzi è ancora bella adesso a quasi cinquant’anni. La love story con Giorgio Attibassi, chef internazionale, è durata il tempo di un inverno di fuoco e passione, poi lui è partito per partecipare a un Masterchef in Australia e lei è entrata in depressione e ha cominciato a rompere i coglioni all’unico uomo che l’ha davvero sopportata per vent’anni, suo marito.
«Cosa stai facendo?» gli chiede, la voce roca di psicofarmaci e sigarette.
«Buon anno anche a te, sto andando a lavorare, ricordi? Ci siamo sentiti ieri sera, era ancora l’anno vecchio».
«È vero …», silenzio, perché lei è fatta così, si crogiola, gli sbrodola addosso una presunta infelicità, come se fosse colpa sua se ha deciso dieci anni prima di lasciarlo, ma lui non ci vuole tornare con Liliana, perché è una delle donne più egoiste che abbia mai conosciuto, perché se tornassero insieme lei lo farebbe soffrire, perché con le donne ha deciso di prendersi una pausa sabbatica, almeno fino all’età giusta per iscriversi a qualche ballo di gruppo in un centro anziani e forse lì riuscirà a fare pace con la sua idea di donna.
«Potevi almeno cenare da me stasera, eri solo scommetto?».
«Avrei dovuto preparare io, e tu avresti prima mangiato e poi trovato qualcosa da dire sul menù … no grazie».
«Domani mattina puoi passare da me? C’è la maledetta caldaia che perde acqua … non vorrai lasciare al freddo tua figlia».
Moreno sbuffa con il silenziatore, la tiene buona solo lei, Gaia, che è davvero come il suo nome, una forza della natura, bella, indipendente, su Giove, e impermeabile alle depressioni della madre.
«Domattina passo».
«Grazie» risponde acida, e chiude la conversazione.
Moreno sbuffa di nuovo.
Mezzanotte e dieci, inizia a lavorare all’una ma è partito per tempo, aveva voglia di stare in giro a vedere i fuochi artificiali, in campagna ne fanno sempre tanti e non sa perché ma gli danno una sensazione di fine incombente senza malinconia, un’esplosione controllata in un mondo che esplode di bombe vere ogni giorno, in un Europa blindata, con le piazze controllate dagli autoblindo, i cecchini sui tetti e la paura del prossimo attentato.
Il cellulare vibra di nuovo.
Moreno si morde il labbro.
Se è Liliana non rispondo.
Sul display compare il viso sorridente di Gaia, chissà dove ha scattato quel selfie, è abbracciata a un tipo che deve avere fumato qualcosa di buono prima e probabilmente dopo la fotografia, lei ha gli occhi di sua madre, solo che i suoi sono vivi, curiosi, spietati.
«Buon anno papi».
La sua voce è una deflagrazione di allegria nel telefono.
«Buon anno a te, come te la passi».
«Sono al mare, a una festa, bellissima, in spiaggia».
«Quale spiaggia?» in sottofondo si sente una musica sincopata e l’eco di risate.
«Sinceramente non lo so, Riccione … forse».
«Mi raccomando cerca di non salire in auto con gente ubriaca al ritorno».
«Tranquillo, dormiamo qui a casa di Camilla».
«Camilla?».
«Una campagna di università».
«Perfetto, e come mai ti sei ricordata del tuo anziano genitore?».
«Per farti gli auguri …».
«Certo e poi?».
«Volevo chiederti un piccolo favore».
Moreno sogghigna silenziosamente, lo sapeva.
«Chiedi e ti sarà dato».
«Puoi darmi le chiavi della casa in montagna? Sai vogliamo fare una festa per il compleanno di Luca e la casa di Vidiciatico è perfetta».
«L’ultima volta avete rischiato di bruciarla insieme a mezzo paese, perché dovrei dartela? Sai cosa significa fiducia?».
«Te lo giuro papi, questa volta faccio le cose a modo».
Moreno ripensa a Jack Blues in una scena memorabile di uno dei suoi film preferiti the Blues Brothers, quando Jack riesce per l’ennesima volta a sfuggire alla vendetta della ex fidanzata, una splendida Carrie Fisher, un altro frammento della sua giovinezza che se n’è andata alla fine dell’anno, e pensa che non sarà lui a distogliere Jack Blues o sua figlia dal loro destino.
«D’accordo, domani ti lascio le chiavi a casa, devo passare da tua madre».
Gaia ride.
«Quante volte ti ha chiamato oggi?».
«Troppe».
«Sei un santo papi».
«Ricordati cosa ti ho detto, cerca di riportare a casa la pelle».
La risata di Gaia continua a risuonargli in testa come una musica buona.
Mezzanotte e mezza.
Tangenziale. Dieci minuti e sarà al lavoro.
Poi vede l’auto nella corsia d’emergenza, ha strisciato il guardrail laterale della tangenziale e lo ha fatto per almeno venti metri prima di fermarsi, a giudicare dai pezzi di paraurti che Moreno vede disseminati lungo la strada, dal vano motore sale un fumo acre e alla guida c’è un uomo accasciato sul volante.
Moreno scuote piano la testa.
Giovani pensa.
Ferma la sua utilitaria dietro all’Audi che sporge di mezzo metro sulla carreggiata e appare profondamente danneggiata sulla fiancata destra. Accende le luci di emergenza e dopo avere indossato il giubbetto catarifrangente scende dall’auto e intanto chiama la centrale dove fra poco dovrebbe iniziare il suo turno di lavoro.
«Sono Moreno Landi».
«Non mi dirai che sei malato?» risponde la voce di una collega, è acida e stanca.
«No, sono in tangenziale, un’auto è uscita di strada, manda subito una pattuglia, intanto mi accerto del condizioni del guidatore».
«Maledizione … sei il mio cambio Landi e dopo devo andare a una festa perciò appena arriva la pattuglia alza il culo e vieni a darmi il cambio e fammi sapere se il coglione ha bisogno di un’ambulanza».
«Buon anno anche a te» e tre, pensa.
«Senti è stata una serata infernale, non abbiamo avuto tregua. Siamo tutti stanchi e nervosi, fattene una ragione».
«Sono nei pressi dell’uscita Roveri, se vuoi smontare spiega ai colleghi di muoversi, ti faccio sapere fra un minuto se il guidatore è ferito».
«Chiama direttamente il 118».
Riattacca il cellulare e rimane un millesimo di secondo a confermare la sua repulsione verso il genere femminile, con alcune imprecazioni soprattutto mentali.
In quel momento la parte anteriore dell’auto prende fuoco e tutto diventa veloce. Moreno bussa al finestrino del guidatore ma l’uomo sembra svenuto, cerca di aprire lo sportello, ma è chiuso da dentro, allora corre alla sua auto cerca il cric, lo afferra e torna verso l’Audi, va dalla parte del passeggero e comincia colpire con tutta la forza il finestrino che dopo alcuni colpi esplode in una pioggia allegra di vetri.
Moreno butta il cric apre lo sportello forzando la sicura e slaccia la cintura dell’uomo, mentre il fumo comincia a entrare nell’abitacolo. L’uomo è un trentenne, robusto e muscoloso, Moreno bestemmia, sbuffa, tira e finalmente riesce ad estrarre il malcapitato dall’auto, lo trascina di lato e lo abbandona sull’asfalto umido poi torna alla sua utilitaria cerca un estintore che porta sempre a bordo e comincia a spruzzarlo sulle fiamme come gli hanno insegnato al corso della protezione civile.
Intanto arriva la pattuglia dei colleghi a sirene e luci e sembra un film, riconosce le facce, le divise, sono agenti giovani, molto più giovani di lui, sono stati assunti da poco, la notte è loro, loro il futuro e tutto ciò che riusciranno a portare via.
I ragazzi gli fanno i complimenti, gli dicono che probabilmente se non fosse intervenuto lui il trentenne sarebbe morto carbonizzato e Moreno rimane lì a farsi coccolare dai tre agenti e poi dai sanitari che portano via l’automobilista che è in coma etilico ma sembra se la caverà.
Moreno pensa alla collega isterica, alla ex moglie depressa, alla figlia opportunista e decide che tutto il mondo, il suo lavoro, e il nuovo anno, possono aspettare altri dieci minuti e rimane con i colleghi a bordo strada ad aspettare i vigili del fuoco e questo capodanno, il suo ultimo capodanno, iniziato così male adesso non gli sembra più la fine del mondo, la fine della vita, ma solo un altro momento da portarsi con sé nel giorno che verrà.


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