"Notturno" di Alessandro Bastasi


 

– Perché dici che non lo possiamo fare?
– Non ne ho il coraggio.
– E dai! Ci sono io vicino. Sono tua complice. Anzi, sono parte di te, l’hai detto tu, no?
– Lo fai anche tu?
– Sì.

Il Dirigente della Grande Azienda aveva letto il profilo su Facebook della Bella Ragazza Bruna. Tunisina, capelli neri, occhi nocciola, aggressiva e passionale. Erano le tre e mezza di notte.
Vedovo, cinquantasei anni, due figli grandi, sposati, una vita tutta dedicata alla Compagnia, stava navigando senza entusiasmo tra i gruppi del libro delle facce. Trovava di tutto, da una ricetta per fare la torta coi pinoli alle minacce contro gli immigrati del leghista di turno. Cliccando a caso sui vari nomi che comparivano uno in fila all’altro nelle sezioni di facebook , si era incuriosito per il nome della donna, aspro da pronunciare, con una j, due h e una w. C’era anche una foto, ed era stato allora che aveva fatto un salto sulla sedia. Dio, che splendore…
“Gentile sconosciuta, ho letto il ritratto che lei fa di sé, e devo dire che mi ha molto colpito. Lei, in poche righe, riesce a suggerire un universo femminile carico di promesse e di aspettative. Mi piacerebbe molto conoscerla. Nel frattempo le invio una richiesta di amicizia. Un caro saluto.”
Non aveva mai inviato messaggi del genere, a nessuno, mai, in tutta la sua vita. Ma la notte è pericolosa, in rete. Cadono difese, inibizioni. E dall’altra parte individui insonni e solitari, esattamente come lui. “Sono matto!” pensò il Dirigente. Send. Vai!
La risposta gli arrivò subito, con un invito a chattare.
– Amicizia accettata. Ho letto il messaggio. E anche il tuo profilo. Come sei formale!
– Be’, io… non sono ancora abituato a questo tipo di rapporti.
– Strano, eh? 🙂
– Che cosa vuol dire ‘:-)’?
– Prova a chinare la testa verso sinistra. Vedrai due occhietti, un naso e un sorriso. È una “faccina che sorride”.
– È vero! Che simpatico! 🙂
– Ma tu che fai nella vita?
– Lo hai letto. Sono un Dirigente d’azienda. e tu?
– Giornalista. Corrispondente economica per un giornale di Tunisi.
– Interessante!
– Senti, perché non ci vediamo? Domani sera, in San Babila, davanti al Teatro Nuovo, alle sette.
– Ehi… vedo che non perdi tempo!
– Perché dovrei? Tanto il tempo non esiste.
– Ma guarda che io… ho cinquantasei anni. E tu ne hai trenta.
– E allora?

Già. E allora? Al Dirigente veniva da ridere. Andò in bagno, a lavarsi i denti. Non riusciva a togliersela dalla testa. Gli veniva da ridere, sì, ma era una reazione che gli saliva dallo stomaco, il battito del cuore appena un po’ più rapido del solito. Si guardò allo specchio. I capelli… brizzolati, più scuri che bianchi, però. Sale e pepe.  La pelle del viso ancora soda, di un colorito accettabile. Denti perfetti. Non fosse per quegli occhi un po’ troppo miopi…
Il giorno dopo in piazza San Babila aspettò per un’ora, fino alle otto. Poi se ne andò, stizzito e offeso per il bidone che la tizia gli aveva tirato. Come se lui avesse tempo da perdere con le ragazzine!
Alle nove era collegato. E trovò un messaggio in mailbox, delle ore 16:50.

“Scusami tanto, ma non penso di arrivare stasera. Mi ero sbagliata e non so come avvertirti, non ho il tuo numero di telefono. Ciao ciao.”
D’improvviso tutta la rabbia gli passa. Sorride, comprensivo.

“Non importa, cara sconosciuta, sono stato uno sciocco a non pensarci. Il numero del mio cellulare è 349-243567. Che ne dici di vederci domani?”

Ogni cinque minuti va a vedere chi è in linea, ma il nome con una j, due h e una w non compare.  Non c’è nemmeno l’ultima volta che ci guarda, alle due di notte. Spegne il portatile, va in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Si prepara per andare a letto. Poi ci ripensa.
Forse è sulla guida telefonica.

Riaccende il computer. Pagine bianche… No, niente. Chissà, forse vive con un’amica… O un amico! Si rende conto solo ora che non sa nulla di lei. Magari è sposata, ha dei figli. Magari quella della foto non è nemmeno lei. Che ne sa, lui.

– Come mi immagini?
– Come nella foto. Bruna, occhi da incanto. Mi immagino che ridi buttando la testa all’indietro, con allegria.
– Bello!
– Non è così, forse?
– …
– E allora?
– Be’, non lo so, sì, forse 🙂
– E io? Come pensi che sia?
– Con te è più difficile, non c’è la foto!
– Dai, prova.
– Sei non tanto alto, capelli radi…
– No 🙂 Sbagliato. I miei capelli ce li ho tutti.
– Aspetta… Dunque… Ecco, sì. Hai le labbra sottili di chi è abituato a comandare. E gli occhi tristi.
Pesano le giornate, nella solitudine della Sala del Consiglio d’ Amministrazione. Il Dirigente della Grande Azienda scarabocchia figure geometriche appuntite e nastri di Moebius su un blocco di carta intestata dell’azienda. Una voce lontana arriva dall’ultima poltroncina in fondo a destra. Quando il Presidente lo interpella sul Piano  operativo dell’ultimo trimestre, conferma di non avere niente da dire. Non si accorge del silenzio imbarazzato con cui tutti lo stanno fissando.

– Ma perché non vuoi che ci vediamo? Eri stata tu a proporlo.
– Sì, ma ho cambiato idea. Rovineremmo tutto. A me sembra che ci conosciamo molto meglio in questo modo, non trovi?
– Io vorrei…
– Magari mi trovi brutta, non ti piace il mio sguardo, non ti piace come mi vesto.
– Ma tu hai trent’anni, e io cinquantasei! Che razza di paure sono?
– No. Non possiamo.
– …
– Ehi, ci sei o ti sei addormentato? 🙂
– No, no, sono qua. È che…
– Che cosa?
– … Che così non so neppure se esisti!
Il Dirigente si alza dalla sua scrivania e si avvicina all’ampia finestra, da cui si vede un grande prato verde, con l’erba perfettamente tagliata, e, più lontano, una fila di alberi tutti uguali, tutti potati nello stesso modo. Oltre gli alberi, la stradina interna, con un furgone che avanza lentamente, e la coda grigia degli impiegati che si recano in mensa per la pausa di mezzogiorno. La segretaria entra svelta a portargli un toast e una spremuta d’arancia, poi fugge via, i colleghi la stanno aspettando.
Ora lui è solo, seduto nel suo scranno. Mastica in silenzio, attento a non spargere briciole sul ripiano di pelle. Gli viene un grande sonno. Ha bisogno di un caffè.
– Adesso tu hai un vestito rosso, lungo fino ai piedi, con uno spacco mozzafiato che ti lascia scoperta tutta la gamba…
– 🙂
– Anzi, no, lo spacco è sul davanti, fino alle mutandine.
– Non le porto.
– Allora… si vede?
– Tu che dici?
– Sì, adesso che sei seduta secondo me si vede… Senti, perché non attiviamo una web cam?
– No. Continuiamo così. Dunque… Tu invece hai una maglietta bianca, e dei pantaloni neri. Di cotone.
– No. Niente di tutto ciò! 🙂
Chissà com’è davvero, la sua segretaria! Lui la vede tutti i giorni, sempre ben pettinata, a posto, con vestiti castigati ma alla moda, occhiali rotondeggianti, un sorriso per ogni circostanza. Ha i capelli raccolti sulla nuca, mai il Dirigente glieli ha visti disciolti sulle spalle. Cerca di immaginarsela, ma è difficile.
– C’è qualcosa che non va? – gli chiede lei, notando che la sta fissando.
– Lei è tunisina?
– No, che domande. Sono di Mantova.
– Peccato.

 

– Sento che non stai bene.

– Ma no, sta’ tranquillo, va tutto bene.
– Cristo, non poter far niente!
– No, non puoi far niente.
– Ho voglia di te, sai, un sacco di voglia!
– Anch’io. Non andartene. Abbiamo ancora tempo.
– Figurati se me ne vado!
– 🙂
– Voglio vederti.
– Te l’ho detto, non è possibile.
– …
– Cosa c’è?
– È strano…
– Dimmi.
– Mi sono accorto all’improvviso che il mio “voglio vederti” ha perduto il senso, l’urgenza che aveva prima. Voglio dire, è come se ti conoscessi da sempre, anzi, no, anche il termine conoscerti” è riduttivo… In realtà io ti percepisco, ecco, senza mediazioni, come se tu facessi parte di un me più ampio. È una sensazione totalmente nuova, che mi mette a disagio. Ma è meravigliosa. Mi sembra di volare.
Non dorme più, la notte. Dorme di giorno. Ha rassegnato le dimissioni. Il libro delle facce è costantemente aperto.
– Perché dici che non lo possiamo fare?
– Non ne ho il coraggio.
– E dai! Ci sono io vicino. Sono tua complice. Anzi, sono parte di te, l’hai detto tu, no?
– Lo fai anche tu?
– Sì.

Lo trovano la mattina successiva, chiamati dalla colf ecuadoregna. Ha le mani appoggiate sulla tastiera del PC e la testa reclinata su una spalla. Sullo schermo nero alcuni caratteri bianchi continuano a saltellare da un punto all’altro. Sono delle j, delle h e delle w. Quando lo spostano dalla scrivania per comporlo nel sacco di plastica, le sue mani hanno un lieve tremito. Solo un attimo, però. Poi un gemito soffocato seguito da un clac metallico. Gli infermieri si voltano di scatto, trattenendo il fiato. Ma è solo lo schermo del PC che si spegne. I due si guardano, un sorriso tirato, lo zip veloce della chiusura del sacco, i loro passi pesanti sul pavimento di legno, la porta che si chiude con fracasso.

Passa un minuto. Due. Cinque.

Plic. Al centro dello video compare una piccola timida luce azzurra. Poi un azzurro intenso invade lo schermo, il sussurro di una voce femminile.

– Lo desideravi tanto, eh?
– Sì. Sto arrivando.
– Sei felice?
– Come non lo sono stato mai.
– Ora saremo insieme. Per sempre. Ti aspetto.


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