“Quello della 22” di Sonia Sacrato


 

La sua stanza è la 22.

L’ultima in fondo al corridoio.

L’ha occupata stanotte intorno alle undici, mi ha detto Gabriella della reception, e si fermerà non più di due giorni.

L’ho incrociato poco fa all’uscita dell’ascensore, io salivo con il mio carrello delle pulizie e lui scendeva le scale a passo svelto. Siamo al quarto piano, non è una cosa che capita così di frequente. Di solito mi trovo personaggi frettolosi e sbuffanti davanti alla porta dell’ascensore che si spostano appena per farmi passare e che il buongiorno se lo tengono ben stretto tra i denti.  Non è un albergo da vacanza questo, è uno di quelli dove ti fermi una notte se proprio non puoi farne a meno, pochi turisti e molti viaggiatori di commercio, come li chiama Vecchioni.

Sarà per questo che difficilmente incroci gli ospiti, meno che mai ci parli. Sono tutti presi dai loro impegni, dalle preoccupazioni, nemmeno si accorgono quando gli passi accanto. Salvo che non ti debbano chiedere un bagnoschiuma o un asciugamano in più. 

E’ un lavoro particolare questo. Per passare il tempo mentre lavoro mi diverto a inventarmi la loro vita osservando le stanze che occupano, gli oggetti che disseminano, il profumo che usano…

Mi ricordo un tipo, io lo chiamavo Costanzo perché come il Maurizio nazionale era più tondo che alto. Sempre con il toscano all’angolo della bocca fumava in stanza anche se, come indicato dal cartello è severamente vietato, e non apriva mai la finestra. L’allarme anti incendio scattava almeno due volte al giorno. Usava il bagnoschiuma di Trussardi, e quando faceva la doccia allagava puntualmente tutto il bagno. Una mattina mi passa accanto si ferma di colpo e mi chiede perché una ragazza così giovane faccia questo lavoro. “Perché mi sono iscritta all’università”, rispondo semplicemente. Da quel giorno ogni mattina mi infilava nella tasca del grembiule dieci mila lire di mancia. “Studi ragazza mia, studi… quello che impara non glielo porterà via mai nessuno” mi diceva.

Il quarto giorno se n’è andato senza saldare il conto.

Ma mi ha lasciato altri dieci mila lire sotto al cuscino.

Quello della 22 l’ho visto solo di schiena, giacca nera e jeans. E i capelli corti sulla nuca, con quell’attaccatura quasi perfetta che sembra seguire il colletto della camicia. Sono i dettagli che mi mandano via di testa. Gabriella ride di questo mio osservare ossessivo, dice che sono scema. Ma la nuca di quello della 22 mi piace da impazzire. Quando ne abbiamo parlato in un momento di pausa, si è intromessa pure la Carmen, la collega del secondo piano, “io a mio marito mi ci sono innamorata perché c’aveva un gran bel culo”.

E ha chiuso il discorso.

Quello della 22 si ferma anche domani, ha lasciato un piccolo bagaglio sulla sedia vicino alla scrivania e le tapparelle un po’ abbassate. Quasi non ha sfatto il letto, non sono abituata a trovare tanto ordine. Mi accorgo che ha fumato perché la finestra è un po’ socchiusa e fuori sul davanzale c’è un bicchiere di plastica con un poca di acqua e due mozziconi. Sul letto solo una maglietta bianca con le maniche corte e un paio di pantaloni lunghi di un pigiama blu. C’è un leggero profumo di muschio che si mescola al fumo, è quasi un peccato spalancare la finestra.

Sulla scrivania un organizer di pelle, una penna, un Meridiani con la Costa Azzurra in copertina. La camicia lasciata sulla sedia ha le pieghe sulle braccia, come di chi si tira su le maniche quando sta lavorando così concentrato, con un gesto che poi nemmeno si ricorda di aver fatto.

Rifaccio il letto. Le lenzuola devono essere ben tese e l’angolo in fondo giusto a 45gradi rispetto al materasso. Cancello la forma della sua presenza dal cuscino, e un po’ mi spiace. Perdo un po’ di tempo per piegare la maglia e i pantaloncini, li appoggio con cura ai piedi del letto. Non sarei tenuta a farlo, Carmen me l ha ripetuto fino allo sfinimento durante l’apprendistato “tu hai da pulire, non coccolare i clienti… che quelli se ne vanno e nemmeno sanno che esisti”, ma mi piace pensare che, quando si entra in una stanza d’albergo anonima uguale ad altre mille, magari dopo una giornata complicata, un gesto che in qualche modo sappia di casa si faccia notare e ammorbidisca, nel suo piccolo, i pensieri della sera.

Prima di uscire tolgo il bicchiere con i mozziconi dalla finestra, e appoggio un bicchierino pulito nello stesso posto. “Tranquillo… non lo dico a nessuno che fumi…” penso chiudendo la porta.

Chissà se lo incrocio di nuovo domani prima che parta.


Lascia un commento