"Raffaele" di Elisabetta Miari


amanti

 

Ogni tanto il suo pensiero riaffiora tra le pieghe della coscienza, e dopo aver indugiato per qualche secondo sul ricordo dell’ultimo amplesso ed essere stata scossa da un brivido inaspettato, lo caccio come fosse un cane rognoso e ripenso per raffreddarmi alle ultime parole che mi ha scritto quando gli ho chiesto con chi sarebbe andato in vacanza: “che due palle!”

In che senso scusa che due palle?  Nel senso che ti sto infastidendo, sto violando la tua privacy? Ah beh se è per questo è già troppo tardi, perché dal momento che abbiamo cominciato ad avere rapporti sessuali non protetti, la tua privacy è diventata anche un po’ affar mio, se non ti dispiace, ed è solo una questione di riguardo e di rispetto, nonché  di trasparenza, render conto del proprio operato con la massima serenità ai partner sessuali di turno.

E’ sempre stato questo il problema: un rifiuto ostinato a voler parlare delle proprie attività, temendo chissà quali ritorsioni. Ad oggi, la risposta a questa lecita domanda è stata: “Che due palle!”.

Eppure amico, poiché ti piace tanto cavalcare a pelo, e non solo con me credo, ti sarà balenato nel cervello che quello che si dice in giro delle malattie a trasmissione sessuale ha un fondamento. Ci sarà un motivo per cui hai sempre inteso lasciarmi senza nessuna certezza a riguardo…

Non mi è dato di sapere, ma di una cosa però sono certa: non permetterò mai più’ a nessun altro uomo di trattarmi come ha fatto lui:  come una puttana, una  proprietà comune, un cesso pubblico.

Rimane ancora un mistero per me, come lui potesse essere tenero e appassionato, ma allo stesso tempo tenebroso e distante.

Avrei ancora delle cose da chiedergli in effetti.

Per esempio, vorrei sapere se è nato senz’anima o se gliel’hanno strappata.  E se gliel’hanno tolta, come lo hanno fatto, con le mani nude, incuranti dei brandelli appesi che rimanevano in bella vista?

Senz’altro è stata una donna, quasi sicuramente la moglie. Sono sempre le mogli quelle che riescono a fare più male agli uomini. Sarà perché c’è di mezzo la legge, che sia essa di Dio o degli uomini, o perché si condividono quasi sempre  figli e beni materiali, la cui divisione genera inevitabilmente frustrazioni. O forse perché le mogli sono le uniche altre donne, oltre alle madri, ad esser collocate ad un livello superiore,  dove rimangono anche dopo esser diventate ex o esser morte.

Ho dovuto chiudere ogni rapporto con lui, fingere che non fosse mai esistito per non ricascare più in questa sottospecie di “non rapporto”, che da troppo tempo mi toglie la dignità.

Ho dovuto cancellare tutte le sue tracce, far pisciare  un altro sul territorio che aveva segnato per non sentire più il suo odore, che mi ricordava quanto lo desiderassi.

Ho provato a sovrapporre un’altra pelle alla sua, altri occhi ai suoi, e a sentire altre mani sul mio corpo.

Non è servito.

Fatto sta, che il ricordo più vicino, quello dell’unica notte passata insieme, quasi sei mesi fa, è ancora presente, con il suo mix di comicità e di strana confidenza, stanchezza e desiderio.

 

Quella sera arrivammo piuttosto tardi a destinazione: una squallida pensione  mascherata senza vergogna da hotel tre stelle in un anonimo paesino  della Riviera Ligure.

Mi ero incaricata io di trovare l’albergo, ma vuoi per la fretta, vuoi che fossimo prossimi alla fine di fine luglio e  che in fondo non considerassi la location così importante, prenotai la prima cosa che trovai disponibile.

Eppure qualcosa mi diceva, nonostante le tre stelle dichiarate, che sarebbe stata una fregatura. Del resto, se il sito di un albergo mette come uniche foto il panorama dall’alto del mare e un centrotavola, un motivo ci sarà.

Mi ero preparata con cura, messo  il mio abitino  più sexy, abbinato a sandali da capogiro tacco dodici.

Così  abbigliata mi presentai sorridente a Raffaele, che  nonostante il caldo, era in  giacca e cravatta.

“Sei bellissima Alessandra, devo trattenermi per non saltarti addosso per strada se ti presenti vestita così… “.

Sfoderato un sorriso di finta modestia e soddisfatta del risultato, risposi con tono adulatorio:

“Anche tu non sei niente male… ”

Dopo circa un chilometro e  qualche sorriso di troppo, Raffaele fece una specie di torsione e allungò il braccio destro per prendere qualcosa dietro al mio sedile, mentre con il sinistro cercava di governare la vettura in curva. Riuscito in questa specie di acrobazia mortale, riemerse sorridente con un bouquet di fiori in mano. Che pensiero carino pensai, a volte quest’uomo mi lascia spiazzata, nel bene e nel male.

Quando arriviamo nella salita dov’ era il nostro albergo, non potemmo fare a meno di scoppiare a ridere mentre accostavamo la macchina, guardando lo spettacolo che si parava  davanti ai nostri occhi. Un vecchio alberghetto anni ’60, mai rimodernato né abbellito, e con una clientela che per età e abbigliamento, sembrava essere quella originale dell’inaugurazione cinquant’anni prima.

Il piano terra a vetrate con infissi in alluminio e tende ingiallite, lasciava intravedere vecchi tavolini in plexiglass con sedie abbinate. Fosse stato tenuto bene, avrebbe potuto rappresentare un  esempio di modernariato, che per gli amanti del genere ha sempre un suo fascino, ma lo stato in cui versava, comunicava solo squallore.

Scesi dalla macchina parcheggiata malamente in cima alla salita, ci dirigemmo verso l’entrata.

Credo che ai pochi avventori, tutti rigorosamente anziani, con un presente o un futuro di cataratta, che sotto il porticato orfano di tenda parasole, giocavano a carte e bevevano liquori strani, il nostro arrivo sia sembrato una visione. Una bella coppia tutto sommato, ma vestita in modo non consono al luogo. Entrambi alti, lei con dei tacchi così esagerati che lo raggiungeva di statura e con un bouquet da sposa in mano, e lui con la faccia di uno che aveva regalato qualche bouquet di troppo.

Lo stupore dei loro sguardi, che abbandonarono momentaneamente il gioco, incapaci di pensare ad altro, ci accompagnò durante tutto il tragitto, fino alla reception, come  un corteo immaginario.

Il check-in fu veloce e ci permise di fiondarci subito in camera.

Entrammo senza tante aspettative nella stanza, aprendo una serratura malconcia e ci trovammo in un luogo angusto,  sovrastato da una  finestra dalla quale però si godeva di una vista mozzafiato della baia dall’alto, probabilmente quella esposta nel sito dell’albergo.

Il mio imbarazzo per averlo portato in un posto simile si fece più forte quando vidi che non c’era neppure l’aria condizionate o un ventilatore a pale. Il letto era piccolo e sfondato e il bagno quasi inagibile.

Credo che per quanto soddisfatti della cucina, anche i vecchi ospiti, che ci videro arrivare, abbiamo pensato che potevamo scegliere di meglio per l’occasione.

Cercai di stemperare l’imbarazzo e dissi:

“Se il criterio di valutazione è il panorama, ci hanno assegnato una suite…”

Raffaele sorrise.  Era di poche parole. Non riuscivo a capire se era scocciato per il tugurio nel quale l’avevo portato o se era solo stanco, visto che aveva lavorato sodo tutto il giorno e  guidato per qualche ora.

Guardando giù dalla finestra, ci rendemmo conto che la nostra camera era  posizionata una decina di metri sopra le teste degli attempati  giocatori di carte che facevano parte del comitato  di accoglienza.

Di lì a poco avrebbero avuto altro da pensare che alla briscola…

Ci buttammo finalmente sul letto, affamati come sempre dei nostri corpi e con le finestre spalancate cominciammo a dare vita  a una serie di acrobazie e di gemiti che devono aver confermato alla clientela l’ipotesi della luna di miele.

I nostri corpi erano impastati di sudore, nella stanzetta trasformatasi ormai in una sauna,  ma non ci facevamo caso, intenti  a donarci piacere l’un l’altra.

Quando facevo sesso con Raffaele era difficile mantenere il controllo. Era  questa nostra foga fisica, unita  alla mancanza di delicatezza e pudore, la cosa che mi piaceva di più.  Una questione di pura alchimia direi, ed è stato così fin dall’inizio, anche se la perfezione arriva con la pratica e la confidenza, da quella conoscenza del corpo e dei desideri dell’altro, che sublima le naturali propensioni e potenzialità.

Il suo odore, il sapore della sua pelle e il suo sesso m’inebriavano e mi eccitavano. La sua lingua e il suo corpo mi erano familiari.  Fare l’amore con lui per me era naturale e soddisfacente come bere un bicchier d’acqua quando si è assetati. Da subito ho sentito questa compatibilità di pelle e di movimenti, tanto da pensare che ci fossimo già uniti in qualche altra vita.

Di quelle poche ore che ci separavano dalla luce ricordo solo il suo sonoro russare e il fatto che mi abbia coperto con il lenzuolo, perché dalla finestra entrava una brezza fresca. Un gesto tenero e protettivo che mi ha intenerita e un po’ imbarazzata.

AI mattino attesi  che arrivassero le nove per svegliarlo. L’avevo  ascoltato  respirare a lungo, guardato la silhouette del suo corpo di spalle, e sorriso quando neanche  la sveglia assordante del telefonino era riuscita a resuscitarlo.

Mentre si lavava e sbarbava in bagno mettendoci un’eternità, attesi paziente sul letto, respirando  l’assurdità di quella situazione, la non appartenenza a quel presente e l’imminente distacco.

Avvolta in quelle sensazioni, e con un filo d’ imbarazzo da parte di entrambi, quasi a dire:  “ma cosa ci fanno due persone come noi  qui,  dopo aver passato la notte insieme, due che si vedono solo qualche volta per scopare nei motel…”, scendemmo a fare colazione.

L’ambiente che trovammo fu sempre quello “agée” della sera prima, solo reso più triste dalla luce implacabile del mattino, che impietosa ci svelava anche le ditate sulle vetrate e i bicchieri opachi di calcare.

Terminata la colazione con qualche imbarazzo, per via del capannello di curiosi che con finta nonchalance si era formato nella sala, volendo vedere con i propri occhi la famosa coppia descritta dai testimoni della sera prima, facemmo il checkout e ci rimettemmo in viaggio.

Una volta arrivati a destinazione, ci bevemmo un ultimo caffè, cercando di dare un tono disinvolto al nostro congedo, ma  non ci riuscimmo molto. Io mi ero  un po’ intristita per una cosa che Raffaele aveva detto e  lui  era  scocciato perché eravamo rientrati subito,  invece di  passare il resto della giornata in spiaggia, come avrebbe desiderato.

Dovevo tornare dalla mia famiglia, da mia figlia.

Questo è il destino delle persone sposate che vogliono rimanere tali: mordi e fuggi o poco più, non c’è tempo per assaporare le cose, per condividere.

Già il fatto di essere riusciti ad organizzare una notte fuori insieme e il desiderio di farlo erano strani nella nostra situazione.

 

Quella è stata l’ultima volta che abbiamo fatto sesso, l’ultima volta che l’ho visto. Pochi giorni dopo gli feci quella famosa domanda via sms e allo stesso modo lui mi rispose con quella che io definì l’ultima mancanza di rispetto che gli avrei permesso di avere nei miei confronti.

Non lo rivedrò più, non lo lascerò più avvicinare.

Basta sesso senza rispetto.

Mi mancano  però quei suoi occhi ridenti e appassionati, e quel suo modo di fare, a metà tra il romantico e il maschilista, non posso farci nulla, non posso non pensare a quell’enorme mistero di nome Raffaele.


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