"Scrambled eggs in jail" di Christiano Cerasola


scrumbled eggs

 

Questa storia appartiene alla raccolta di diciassette racconti “Uova Sbattute”, edito da Elmi’s World, 2013.

Sento i passi, ecco, sta arrivando. Ora sta girando l’angolo, supera la cella numero trentasette, oltrepassa la trentotto ed eccolo alla trentanove, la mia.

– Allora Sam che si dice?

– Tutto a posto Ryan…

– Ci hai pensato, allora?

– Sì, sì… dunque, uova strapazzate, una coscia di tacchino, salsa ai mirtilli, una birra e una tazzona di caffè!

– Lo sai che non sono ammessi gli alcolici, Sam!

– Mah?!… Vabbè, un aranciata può andare bene lo stesso, quella amara però… E mi raccomando il caffè, lo voglio fresco, tostato da poco, non quel brodo che mi avete fatto bere per dieci anni!

– Ok, Sam, capito. Ora vado, sei sicuro di non voler dire niente al prete?

– No, Ryan. Che gli dovrei dire? Che cosa mi potrebbe raccontare? Che cazzo di comunicazione ne verrebbe fuori?

– Che ne so io? Non chiederlo a me! Sei tu che agli occhi di Dio ti dovresti pentire di quello che hai fatto… io avrei solo da dirgli che ieri mi sono fatto una sega pensando a Bo Derek. Sei tu che hai fatto fuori quattro persone! Comunque se sta bene a te, sta bene anche a me! Vado ora, ci vediamo dopo!

Eh sì! Il massacro di Tampa… Ne ha parlato tutta l’America. Sono dieci anni che ne parlano. Sono sicuro che se n’è parlato pure all’estero, la mia faccia deve essere entrata, attraverso la televisione, nelle case di mezzo mondo. Già mi vedo la casalinga di Chicago, tutta fiocchetti e maglioncini color crema, che prepara il pranzetto per il maritino e storce il naso mentre parlano della mia esecuzione su “Good Morning America”. Oppure la ragazzina brufolosa di Huston che pensa: “però è figo quel Sam… io me lo farei…”

Sì, sì, me li immagino tutti davanti alla televisione per ascoltare la notizia: “Finalmente è stata eseguita la tanto attesa condanna al macellaio della Florida. Alle sedici e trenta di ieri, venticinque agosto duemilasette, dopo essere stata rimandata per un decennio, è stata eseguita la condanna a morte per iniezione letale di Sam Jude Cameron, conosciuto da tutti come il “macellaio di Tampa”. Prima dell’esecuzione ha consumato il suo ultimo pasto a base di uova strapazzate, tacchino e salsa ai mirtilli. Il nostro paese si libera di un essere malvagio e senza pietà, nella certezza che la legge sia sempre di buon esempio per le nuove generazioni ecc…

Ecco sì, la certezza… la certezza per le nuove generazioni e la tranquillità, per i più anziani, che la legge ha seguito il suo infallibile corso.

Come mi piacerebbe vedere quegli articoli! Non posso nemmeno dire che darei la vita per leggerli.

I giornalisti abbonderanno nelle descrizioni del massacro, sicuro. Sguazzeranno nei racconti, scenderanno nei particolari, narreranno delle povere quattro anime innocenti che hanno perso la vita in quel caldo pomeriggio di luglio, dieci anni fa.

Quattro vittime: due donne, un uomo anziano e un bambino.

Ah! E c’era anche un cane… nessuno parla mai di quel cane.

E io sono qui, in questa gabbia di tre metri per tre, solo.

Gli elicotteri che sento passare, da ore, devono essere qui per me, per rubare delle immagini mentre percorro quei quaranta metri, all’aria aperta, che mi separano dalla camera della morte.

Il fatto che sono molto bello ha contribuito a creare delle leggende attorno alla mia storia.

Una volta, mentre lavavo i pentoloni nelle cucine, sono riuscito a leggere su una pagina di un quotidiano, che avvolgeva delle frattaglie di pollo, di alcune ragazze che avevano confessato di essere state a letto con me. C’erano delle foto, io non ho mai incontrato nessuna di loro, chissà che benefici hanno avuto in cambio di quella bugia! Ed erano pure carine! Mah! Che strana gente c’è là fuori.

– … Sam?!

– Eccomi signora… non mi sono mosso da qui…

– Quieres comer?

– Eh?… ah! Sì!

È Pilar, la cuoca. Sono quarantadue anni che vive in America e non ha ancora imparato una parola di inglese. Sono quarantadue anni che prepara il cibo per i carcerati di questa prigione e che non riesce a trovare le parole per dire un “addio” come si deve.

D’altronde come si fa a dire “addio” come si deve?

Le sue uova strapazzate hanno un profumo che stordisce, riescono a farmi venire l’acquolina in bocca, nonostante tutto.

– Adios, amigo Sam, adios…

– Adios Pilar, adios…

Non una lacrima, non un sospiro, non un trasalimento.

Questa donnona messicana fa questo lavoro da troppo tempo.

Me la immagino alzarsi la mattina, sgridare i bambini, togliere la bottiglia di rum dalle labbra del marito, sciacquarsi le ascelle, prendere la corriera e venire in prigione.

Quando arriva nelle cucine inizia a pelare quintali di patate, buttare i broccoli nell’acqua bollente, spennare intere generazioni di polli e tacchini, rompere migliaia di uova e servire i pasti ai rifiuti della società.

Poi ogni tanto capita il condannato a morte.

Oggi, nello specifico, tocca a me.

– Ehm… están muy buenos los huevos… – Chissà se capisce?

Chissà che ho detto? Beh! Anche se non ha capito non credo sia il peggiore dei problemi di questa breve giornata…

Sono le tre di pomeriggio, mi sono sempre chiesto se mi avrebbero lasciato il tempo di digerire prima di farmi fuori, adesso ho trovato una risposta alla mia domanda: no.

La osservo di spalle mentre si allontana, le sue cosce troppo grasse sfregano tra di loro e il suono dei suoi zoccoli rimbomba per tutto il corridoio.

– Adios Pilar…

– Adios.

E mi volevano far parlare con il prete… ‘fanculo il prete.

Mi godo il mio ultimo pasto senza pensare a niente. Tanto, che succederà oggi? Il pianeta continuerà a girare, i treni a partire, i bambini a fare i capricci, gli amanti ad amarsi e i poeti a rattristarsi. E io morirò. E che altro è la morte se non la sofferenza per chi resta vivo? Nel mio caso non ci sarà nessuno a disperarsi, ma solo milioni di persone che gioiranno. Perciò è bene così.

Accidenti! Mi sono dimenticato di chiedere il ketchup… vabbè.

Non mi laverò nemmeno i denti, porterò le carie con me nella tomba, ci faremo compagnia.

Che bei tempi quando mi curavo come se fossi un attore di Hollywood. Andavo in palestra tutti i giorni e mi aggiravo con fare baldanzoso per le strade di Tampa, mi pettinavo il ciuffo e lo impomatavo con la brillantina, mi facevo i tatuaggi in modo da mettere in risalto i muscoli e attirare gli sguardi delle ragazze sui bicipiti e i polpacci, che mettevo sempre ben in mostra.

Dicevano che assomigliavo a Elvis. Ero meglio di Elvis!

Io sono meglio, molto meglio.

Sì, sì… sono un figo io. Lo so!

Quante fidanzate ho avuto? Dodici, no tredici! Le ragazze impazzivano per me, litigavano tra di loro, e io mi divertivo.

A parte quella scema di Sharon.

“Sharon sguardo mellifluo” la chiamavo.

Alla fine mi diceva: “non ti preoccupare che io prendo la pillola… non ti preoccupare!”

Era rimasta incinta dopo nemmeno due mesi. “E ora mi sposi…” mi diceva.

Che cretina! Io avevo ventidue anni e voleva che la sposassi e che mettessi su famiglia. Chissà che fine ha fatto quella scema! Sono entrato in carcere poco dopo e di lei non ne ho saputo più nulla… E se avessi un figlio in giro per la Florida? Secondo me si è sposata con Sasha, quel gobbo. Lui ha sempre voluto competere con me, era parecchio brutto ma pieno di soldi. Sì, sì, sicuro! Si sono sposati e ora vivono apparentemente felici nella loro villetta con il giardino, e mio figlio. Tanto, Sharon sguardo mellifluo era una puttana e di sicuro andrà a letto con il loro commercialista o con il droghiere, o con chiunque abbia la sventura di suonare il campanello di casa, che ne so, magari il garzone del latte.

Mia madre me lo diceva sempre: “Il giorno che imparerai a sfruttare la tua avvenenza avrai il mondo ai tuoi piedi…”

In effetti già da piccolo avevo notato una certa tolleranza nei miei confronti. La maestra, particolarmente severa con agli altri, riservava a me un trattamento speciale.

Le ragazze flirtavano e facevano le sciocche, ero il preferito dalle madri di tutti i miei amici. Insomma, ci sapevo fare.

Anche in carcere ho imparato a farmi rispettare. Dopo i primi mesi di assestamento e i primi cazzotti ben assestati, tutti hanno iniziato a darmi retta. Paco e Ramon hanno smesso di rompermi le palle, gli altri carcerati si sono assoggettati al volere dei due ex-gangster latini e così non ho rischiato di essere sgozzato come un agnello sotto la doccia. Alla fine Paco e Ramon sono due poveri cristi.

Se esistesse Dio sono sicuro che mi darebbe retta pure lui!

Ma lui non c’è, un fatto che rasenta la tragedia per molti, ma non per me. Lui non c’è. Perché se lui ci fosse, non permetterebbe mai che un suo figlio fosse giustiziato dai propri fratelli. Perché se lui ci fosse non permetterebbe mai che un innocente venga ucciso in questo modo. Perché se lui ci fosse saprebbe che io non sono colpevole. Saprebbe che io non c’entravo nulla con il massacro di Tampa. Saprebbe che io passavo di là, per andare in palestra e che non avevo in mano alcun Winchester 70 Shadow. Dio saprebbe che ho raccolto quell’arma da terra, solo per consegnarla agli agenti, saprebbe che il vero colpevole se n’è andato tranquillo, con faccia innocente, mentre il plotone di poliziotti arrestava me.

Questo è quanto. Lui non c’è. Non può sapere, perché non c’è.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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