“Sono io che l’ho voluto” di Cynthia Collu


Se è vero che ogni famiglia infelice lo è a suo modo, la famiglia di Miriam si potrebbe definire “normalmente” infelice: qualche discussione, la scontentezza del marito per la mancanza di entrate che gli permetterebbero una vita migliore, a volte delle litigate furibonde e qualche insulto di troppo; ma sempre, dopo, la sospirata riappacificazione, la felicità del sesso appassionato, una cena fuori casa, un piccolo viaggio. Sebastiano ritorna con Miriam premuroso, gentile, e a lei questo è sufficiente per tirare avanti. D’altra parte gli deve pur essere riconoscente, il marito “la mantiene” col proprio lavoro, permettendole di stare a casa per occuparsi del loro bambino, il piccolo Teodoro, di tre anni.
Un giorno, sistemando i pantaloni di Sebastiano, Miriam vede uscire dalla tasca capovolta un biglietto da visita. Il cartoncino volteggiando cade a terra. Miriam lo raccoglie: è impregnato di profumo femminile. Sopra, un numero di cellulare scritto a mano. Miriam sente dei passi e lo deve riporre in fretta nella tasca di Sebastiano, ma quando, poco dopo, lo cercherà, scoprirà che il biglietto è inspiegabilmente sparito.
Inizia, con questo sfarfallio di carta, la lenta discesa di Miriam agli inferi. L’affannosa ricerca del biglietto – e della verità – la porterà a interrogarsi sul suo rapporto con Sebastiano, sul suo ruolo di madre e di donna, ad affrontare una realtà dolorosa ostinatamente negata.
Passo dopo passo il lettore accompagnerà Miriam nella sua discesa agli Inferi, scoprendo ciò che sta dietro all’apparente normalità di questa famiglia. Il rapporto di Miriam con Sebastiano è un rapporto devastante: il marito è un violento, una persona aggressiva: i suoi maltrattamenti, più che fisici, sono psicologici, atti a far sentire Miriam una donna priva di qualsiasi valore e a toglierle dignità. Le aggressioni verbali, le critiche, le battute sarcastiche e svalutative, persino gli atteggiamenti apparentemente innocui come il non rivolgerle la parola, hanno lo scopo di minare la sua autostima, tenendola in uno stato di continua apprensione e angoscia.
Miriam comincerà a risalire dagli Inferi una volta che ammetterà di fronte a sé stessa che è vittima di violenza e che lo ha sempre negato giustificando il marito con scuse quali “lui lavora tanto, è solo stanco. Le sue sberle un po’ me le sono meritate.”
Ma la strada del riscatto sarà lunga, troppi i problemi che comporta una separazione. Solo un evento tragico e del tutto imprevedibile le darà la forza di dire basta e di liberarsi finalmente dalla paura di Sebastiano.
Gli altri protagonisti di questa storia concorrono inconsapevoli a determinarne la svolta: Sara, la sorella brutta di cui s’innamorano tutti, l’eterna rivale, Sara dai capelli rossi e dai bellissimi occhi viola, sempre dolce, allegra e sicura di sé, che diventerà nel delirio di Miriam la possibile amante del marito; e poi i due elementi che percorrono tutto il romanzo: il sonno, e la pioggia.
Il sonno è il compagno delle giornate di Miriam: doloroso, opprimente, un sonno che la sfinisce sin da quando Teodoro è nato per le infinite notti passate a cullarlo da sola, e che la porta a odiare il proprio figlioletto sino a desiderarne inconsciamente la morte (è con l’addormentarsi quieto e acquietante di Miriam che il romanzo si apre e si chiude. )
E poi la pioggia, instancabile, assillante, che non dà mai tregua e che pare voler mettere in guardia Miriam da qualcosa di terribile che l’attende, in agguato.
L’altro protagonista è Tommaso, il figlioletto di tre anni di Miriam e Sebastiano. La storia è vista anche attraverso i suoi occhi; il bimbo osserva in silenzio i genitori, intuisce l’infelicità della madre e soffre la durezza del padre, incapace di esprimersi e di difendersi se non isolandosi a modo suo dall’amara realtà della propria famiglia.

Oggi si parla tanto di femminicidio, dimenticando spesso che è solo la punta dell’iceberg del problema. In questo romanzo viene affrontata soprattutto la violenza sommersa, quella psicologica, non visibile, che coinvolge famiglie di qualsiasi ceto sociale, ancor più pericolosa in quanto scorre nascosta agli sguardi degli altri.
Il maltrattamento psicologico, contrariamente a quanto si è portati a credere, è una delle forme più pericolose e dannose dell’abuso: un livido dopo alcuni giorni sparisce; una ferita alla propria autostima potrebbe non guarire mai, portando la donna a pensare di “meritarsi” la violenza del marito.
Ma questo romanzo ha anche il merito di considerare il punto di vista del partner “maltrattante”. Perché un uomo istruito come Sebastiano, insegnante liceale, colto, dai gusti raffinati, amante del teatro e delle belle cose, si comporta da carnefice con la moglie? Che cosa gli fa ritenere di essere nel giusto nel maltrattarla, nel denigrarla e tenerla in un costante stato d’animo di malessere e insicurezza?
La colpa della violenza è della donna, si giustifica il maltrattante. E’ lei che mi obbliga a trattarla male. Lo sa che vado in bestia se mi contraddice, eppure lei lo fa. Se poi reagisco, la colpa è solo sua.
Altro aspetto esaminato nel romanzo è la delusione spesso inconfessata della maternità. Per tutta la gravidanza Miriam è stata soffocata da immagini retoriche, bambini felici e sorridenti, mamme sempre in ordine, casa perfetta. Ora si rende conto che la realtà è ben altra, la maternità sa di stanchezza, di notti insonni, di corpo sfatto, mentre il marito, indifferente alla sua disperazione, la trascura sempre di più.
Amare veramente un figlio non è poi così naturale; a volte molte donne devono imparare a farlo, spesso attraverso un percorso di crescita fatto nella solitudine e nell’abbandono affettivo.

Ediz. Mondadori – 2015 – pag.250 – € 15,72- EAN 9788804650263

https://www.lafeltrinelli.it/libri/cynthia-collu/sono-io-che-l-ho/9788804650263


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