"Subway" di Christiano Cerasola


newyork 3

 

Questo racconto fa parte dell’antologia letteraria PAZZIA E SANITà MENTALE” ediz. LIMINA MENTIS.

 

Chissà Chissà quando morirò?
Chissà se ci sarà qualcuno che mi ricorderà?
Con tutte le migliaia di persone che ho incontrato negli ultimi quattro anni, chissà se qualcuno verrà raggiunto dalla notizia che non sarò più in metrò?

Perché è in metrò che succederà, ne sono sicuro.
Voglio che succeda in metropolitana. E dov’altro sennò? Wow… guarda quella lì… hanno cambiato i poster di Ralph Lauren ,guarda che ragazza…
Ma dove le trovano? Accidenti che sventola!
Ogni tanto ne incrocio qualcuna in metrò, soprattutto verso settembre, nei pressi di Union Square, quando è il periodo di s late. Ma questa è proprio da sballo, sì, sì, con una così ci passerei la vita a letto, altro che in metrò.
Le ragazze più belle sono alla fermata di Atlantic Avenue, sì, sì… Atlantic Avenue
Ho anche modificato il mio giro quotidiano in funzione di quelle figliole che, ogni tanto, si incontrano in metropolitana. Uh, beh! Ho cambiato il mio giro, anche se non di tanto però. Di solito inizio sulla Flushing line, a Gran Central cambio, e mi metto sulla Lexington Avenue line. Quando raggiungo Chambera Str, salto sulla Nassau Str. Line.

Nei giorni nei quali sono di buonumore, invece, mi compro con gli spiccioli che trovo per terra, o più spesso rubo, le barrette di Mars al chiosco della stazione dell’83 str., e mi siedo sulla Sixt. Ave.Line. Su quella linea mi godo lo spettacolo di tutta quella gente ben vestita.

È un lavoro osservare tutta quella gente, sì, sì, è proprio un lavoro. E poi chissà? Un giorno, prima o poi, incontrerò Paulina.
La incontrerò. Ne sono certo.
Paulina… Ogni tanto mi sembra di vederla. In realtà, ogni giorno, mi sembra di scorgerla tra la folla

In quei momenti il cuore impazzisce, ne sento le pulsazioni nelle tempie, e improvvisamente mi viene caldo e sudo.

Di solito comincio ad accelerare il passo, ma ogni tanto devo proprio mettermi a correrle dietro. Poi la raggiungo, le afferro un braccio e, puntualmente, mi rendo conto che non è lei.

Viste da vicino, con maggiore attenzione, sono tutte sempre più brutte di Paulina. Alcune hanno gli occhi troppo piccoli o malvagi, altre le gambe troppo corte o i sederi troppo grossi.

Altre ancora portano dei profumi nauseanti e fortissimi. Non come la mia Paulina, che odorava di albicocca.
Poi ci rimango male e inizio a sudare ancora di più, vengo assalito dalla rabbia, e inizio a fare quello che gli altri si aspettano da me, il matto… che mi riesce particolarmente bene.

Inizio a fissare le persone con aria di sfida, mi metto a parlare da solo, urto appositamente contro le spalle della gente, mi tocco l’uccello, sputo per terra e piscio nei cestini della spazzatura. Fingo di gettarmi sotto il metrò, per poi indietreggiare all’ultimo istante, canto quando sento lo spostamento d’aria provocato dalle carrozze che mi sfrecciano di fianco, e ringhio ai passeggeri che mi fissano. Azioni senza senso.

Ma che avranno mai, gli altri, da guardare poi? Sciocchi!

Come possono pensare che mi voglia togliere la vita? Io sto aspettando Paulina…

Poi tutto mi passa e, per distrarmi, seguo le linee nere tratteggiate per terra, e guardo fuori dai finestrini i cartelloni pubblicitari. Mi piace leggerli anche se, spesso, dicono solo fesserie. Come la maggior parte delle persone.

“Conquista la vita! Rifatti il naso! A millecinquecento $.” “Funerali scontati a milleottocentotrenta $, chiamaci.” “Abbaglia con il tuo sorriso, con mille $, abbaglierai il mondo”. “Mangia le crocchette del nonno, e vivrai più a lungo”. “Con la crema Athmosphere, il tuo volto si risolleverà per sempre” “Da noi dimagrisci dieci chili in dieci giorni mangiando quello che vuoi, quando vuoi”
“Cerchi l’amore? Chiamaci… dai fallo adesso!”

Ma quante stronzate che dicono. E chissà se qualcuno ci crede veramente poi… già, chissà?

Poi osservo le foto, e mi immagino il mondo, il mondo che sta sopra di me.

Sono oramai quattro anni che non esco dalla metropolitana. Quattro anni.
Certo, ho cambiato stazione, ora non dormo più a Inwood st. Dopo che mi hanno cacciato, passo le notti a Woodhaven blvd. Ma è da un bel po’ che non torno in superficie, e che non vedo il cielo.

Le persone pensano che sono pazzo, e mi trattano di conseguenza. Se sapessero che quando si viene feriti nel profondo ci si accorge che è meglio essere soli.

Se sapessero.
Per un po’, comunque, non fui solo. C’era Tobia. Quell’ammasso di zecche mi fece compagnia per un bel po, per almeno sei mesi.
Mi ricordo che non gli chiesi nulla, fu un giorno, da un momento all’altro, che decise di seguirmi. E io glielo permisi. Tobia iniziò a venirmi dietro, alla fermata di St. Bliss Avenue, e mi fu fedele per mesi.
A me faceva piacere, non lo nascondo. Ogni tanto mi guardava, con il suo sguardo innocente. Sembrava mi volesse dire qualcosa. Ancora adesso non capisco che avrebbe voluto dirmi. Spesso annusava, e trovava, gli avanzi di cibo nei sacchetti della spazzatura, e li mangiavamo insieme.

Quando ci addormentavamo, lui mi veniva vicino e mi appoggiava la testa sulle gambe. Ogni tanto russava e emetteva guaiti nel sonno… chissà che aveva passato quella bestia. Spesso, senza ragione, si metteva anche lui a ringhiare agli sconosciuti. Non sopportava le persone basse. A Tobia doveva mancare qualche rotella dalla testa…

Poi un giorno lo persi.

Stavo cambiando vagone, a Utica avenue, e lui non fece in tempo a saltare sulla mia stessa carrozza. Le porte gli si serrarono sul muso, e per un pelo non gli si chiusero addosso.

Mi ricordo che mi girai e lo guardai dal finestrino. Il treno partì e lui rimase fermo lì, immobile sulla banchina.

Mi allontanai fissando il suo sguardo interrogativo .

Naturalmente cercai di ritornare indietro, provai a prendere il treno nella direzione opposta, ma non lo trovai. Non lo vidi mai più. Per un po’ lo cercai, ma io sto aspettando Paulina, non mi posso distrarre, e perdere tempo.
Tobia lo sapeva.
Chissà che giorno è oggi? Ma che importa?
Siamo vicino a Natale, su un sacco di cartelloni ho intravisto raffigurazioni di babbo Natale e stelline, e renne, e campanelle innevate circondate da dolci caramellati. La gente si aggira con i sacchetti, dei grandi magazzini, zeppi di regali.

Beati loro che hanno la spensieratezza di pensare a festeggiare, già, beati loro.

Ma io aspetto Paulina.
L’aspetto e la incontrerò a breve, lo so.
Durante le festività, o la notte, quando chiudono le stazioni del metrò, mi accovaccio in un angolo e penso alla mia amata. Passo così tutte le notti
Ripercorro il tempo che abbiamo passato assieme, ne rivivo i dettagli, gli sguardi, i profumi.
Paulina e io ci siamo incontrati per mesi, sempre alla stessa stazione. Lei era timida e non aveva il coraggio di guardarmi in viso, abbassava sempre gli occhi, io lo capivo e le stavo un po’ distante. Ma lei mi amava.

Spesso era assonnata, di solito saliva sul metrò a Essex station, alle setto di mattina, e teneva sempre in mano un bicchierone di caffè di Starbuck, poi scendeva a Queens Plaza.

Tutte le sere, verso le otto e tre quarti andavo ad aspettarla alla sua fermata, e facevamo il viaggio di ritorno assieme. Mi ricordo di una volta che l’avevo accompagnata fino alle scale mobili, ero così assorto in contemplazione dal suo passo svelto e sicuro, che rischiai di tornare in superficie.

Durante i suoi ritorni vedevo che era stanca, e quasi sempre di cattivo umore. Poverina, faceva un lavoro che non le piaceva.

Spesso glielo dicevo… ma lei non mi rispondeva.
Lei mi ascoltava, ma non mi rispondeva mai.
Paulina.
Ogni tanto mi faceva arrabbiare, sembrava lo facesse apposta. Certe volte si metteva quelle scarpe alte, e le gonne corte. Le ricordavo che non ne aveva bisogno, le dicevo che era bella così.
Poi quando si truccava troppo in volto mi faceva montare la rabbia, ma lei non capiva.
Allora aspettavo che scendesse alla sua fermata e poi mi sfogavo contro i passanti.
Io sono uno discreto, non lo facevo mai di fronte a lei.
Mica sono matto!
E quella volta che mi è passata al fianco accompagnata da quel ragazzo?
Sì, sì, me lo ricordo bene…
Mi ricordo ogni frammento di quella giornataccia.
Ma mi sono vendicato… sì, sì, eccome!
Tanto era uno scemo, e non si meritava di starle vicino.
Ho ancora in mente le urla di quell’idiota.
In fin dei conti era il doppio di me e, volendo, mi avrebbe potuto massacrare. Invece no!

Stava lì, come un cretino, e si copriva il volto con le sue mani ben curate, e urlava: “Ma che vuoi? Ma chi sei? Ma che ti ho fatto? Prendi i soldi, prendi tutto! Prendi il portafogli e vattene!…”

E io lo spingevo e gli ringhiavo addosso…

“Chissenefrega dei tuoi soldi…” dicevo, “… tu devi stare lontano dalla mia Paulina… hai capito?!”

“Stai alla larga da lei!”.
E quel codardo negava anche di conoscerla:
“Ma chi è questa Paulina? Io non conosco nessuno con quel nome! Ti prego di smetterla…” blaterava.
Che stupido… come se non li avessi visti assieme.
Quanto sono stato male quel giorno… mi ricordo come fosse ieri. Se ci penso mi monta ancora la rabbia.

Fu poco dopo che lei sparì. Per interminabili giornate l’aspettai alla fermata del metrò, ma non la incontrai più.

Osservai lo scorrere delle stagioni, attraverso l’abbigliamen-to della gente, aspettando Paulina.

Ancora adesso la sto cercando, e avrei così tante cose da raccontarle.

Ma ora sono stanco, sono proprio affaticato. Sarà perché non mangio da due giorni?

Oggi ho solo tanta voglia di dormire, andrò nel mio angolo preferito, quello vicino al chiosco dei dolci, così magari mi allungano una fetta di torta alle mele.

E non vedo l’ora di addormentarmi, sperando di non fare brutti sogni.

L’altra notte ho sognato di essere in superficie… che incubo.

Solo, e indifeso, sotto uno stupido cielo bianco. Mi vengono i brividi solo a pensarci.

Che brutta cosa il cielo, mi fa tanta paura.

Non mi spiego come la gente riesca a stare sotto il cielo. Come fanno a guardare in alto senza farsi venire le vertigini?

E tutta quella luce? Soprattutto quando è limpido, e i raggi del sole riflettono sui palazzi di acciaio. Il riverbero delle lame di luce scintilla sulle finestre, a specchio, dei grattaceli.

È accecante… ma come si fa a stare lassù senza impazzire? Da bambino mi raccontavano un sacco di stronzate. Dicevano che ero albino e che mi faceva male la luce. Insomma davano la colpa a me, quegli stronzi. Ma a me non dava fastidio solo la luce, mi urtavano anche i colori.
Quella disordinata sovrapposizione di colori mi infastidiva a morte, mi confondevano fino a farmi andare in panico… il ver-de, l’arancione, il rosso… mammamia! E il marrone, il marrone mi faceva uscire dai gangheri. Mi piaceva solo il blu. Il blu scuro. Ma poi ho capito, meno male che sono sceso in metrò dove tutto era diluito nel giallognolo, ed era proprio in metropoli-tana dove avevo incontrato la mia Paulina. A saperlo ci sarei sceso prima!
E quegli altri scemi, quelli in uniforme nera, che mi avevano fermato due anni fa?

Mi volevano portare alla centrale della polizia, in superficie.

Quelli erano ancora peggio, addirittura sostenevano che Paulina non esisteva, e che era solo nel mio immaginario.

Ma che ne potevano sapere loro?
Non l’avevano mai vista.
Che ne potevano capire dell’amore quegli idioti?
Ma non era un mio problema, io l’avevo vista, ci avevo parlato e lei mi amava.
E anche io la amo.
Loro non sapevano che vuol dire. 
Ciechi.
Loro pensavano che io fossi un disadattato pazzo, ma i veri dispersi erano loro. Questo, insieme all’amore per la mia donna, sono le uniche due cose che posso affermare con assoluta certezza. Dunque chissenefrega se, e quando, morirò. Tanto rimarrò, per sempre, negli occhi di Paulina.
Ah! Ma c’é una domanda che avrei voluto chiedere a quegli idioti in uniforme: è più matto un uomo che impazzisce per amore, o chi non lo fa perché è perso in se stesso? Inetti, accorgetevi di voi, e desiderate tutt’altro!

 

“Voi

Io non vi guardo

La mia vita non vi riguarda più

Io amo ciò che amo

E questo solo mi riguarda

E mi concerne

Io amo coloro che amo

E io li guardo

Essi me ne danno il diritto”

 

Jacques Prévert

 

 

 

 


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