"Un'estate" di Manuela Cagnoni


image

Oggi sono rientrata prima dalla pausa pranzo, di rimettermi a lavorare subito, in anticipo, non avevo voglia, almeno non questa settimana che Anselmo è in vacanza e anch’io, già che non sento il suo richiamo “Vieni un attimo?” mi sento un po’ in vacanza.
Il fatto è che di stare fuori non avevo voglia, fa troppo caldo e, anche se non lo ammetterò mai, è stato un sollievo ritrovare l’aria condizionata dell’ufficio.
Mi sono seduta alla scrivania con un quarto d’ora di anticipo, era un momento stranamente tranquillo, in cui tutti erano ancora fuori o al caffé, così mi sono messa a controllare la mia posta (nessun messaggio), gli annunci di lavoro del giorno, e alla fine mi sono lasciata tentare da Linkedin.
Diciamolo: se non sei su Linkedin non sei nessuno, nessuno sa chi sei e cosa fai. E su Linkedin scopri cosa fanno persone che non vedi da anni. Mi sono rimessa in contatto, tramite Linkedin, con vecchi amici con cui avevo perso i contatti da vent’anni, dimenticando che, se abbiamo perso i contatti per più di vent’anni, un motivo ci sarà pur stato.
Ho cercato vecchi compagni di scuola senza scoprire niente di interessante sulle loro vite e su quello che hanno fatto negli ultimi vent’anni, poi mi è venuto in mente lui, Diego Corsi, il ragazzo biondo e bellissimo che io e le mie sorelle avevamo conosciuto al mare in un’estate di tanti anni fa.
Ho digitato il suo nome e subito è apparso, c’era anche la foto, con un accenno di sorriso e gli stessi capelli biondi di quando aveva quattordici anni.
E’ diventato un uomo ma i lineamenti sono ancora gli stessi, è riconoscibilissimo, e mi è sembrato di rivederlo in quell’estate, mentre, seduti su un telo, giocavamo a sputo con le carte.
Sputo era un gioco bellissimo, si giocava in due per volta, si disponevano le carte in un modo particolare, suddivise in tanti mazzi, solo quelle sopra erano scoperte e non potevi scoprire le altre se prima non avevi piazzato quelle.
Io e mia sorella Isabella eravamo campionesse, ingaggiavamo partite scatenate anche fra di noi, mentre Sofia era una bambina imbronciata che strillava: “Anch’iooooooooo!!!!!!! Voglio giocare anch’ioooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!”
Ma noi non avevamo tempo di pensare a lei, quell’estate sulla spiaggia si facevano lunghi tornei e vincere era importantissimo. Quando mi capitava di perdere, non vedevo l’ora di iniziare una nuova partita, con nuove carte, da giocare in modo diverso.
Diego Corsi giocava poco, preferiva guardare, con gli occhi attenti. Soprattutto guardava mia sorella Isabella che, trionfante, vinceva un’altra partita.
Diego sorrideva felice che lei avesse vinto. Sorrideva e gli occhi castani si illuminavano. Erano gli stessi occhi e lo stesso sorriso che mesi dopo, l’inverno successivo a quell’estate, avremmo ritrovato in una pubblicità sulle pagine di un giornale.
“Non hai mai perso?” chiese quel pomeriggio ad Isabella, con gli occhi ancora illuminati.
Isabella scosse la testa con indifferenza, incurante delle gocce d’acqua che cadevano dai suoi capelli.
“Credo proprio di no.” Poi si corresse: “Forse qualche volta, con mia sorella.”
Provai una fitta di gelosia mentre guardavo mia sorella e per la prima volta la sentivo lontana. Ero gelosa ma non di Diego, che pure era bello e simpatico. Io ero gelosa di lei, Isabella, e di quei due anni che ci separavano e che all’improvviso sembravano dilatarsi e diventare un’eternità, intanto che parlava con Diego e assumeva quel tono da giocatrice consumata. Avrei voluto poterla riportare indietro alla nostra infanzia, che lentamente stavamo lasciando, e alle nostre partite a carte solitarie. Che io avevo vinto ben più che forse qualche volta.
Mi sbagliavo, dopo tre giorni trascorsi a parlare e sorridere con Diego e a fare la donna vissuta con lui, mia sorella trovò il primo fidanzato della sua vita, il primo di una lunga serie di tipi insignificanti che, chissà perché, le sono sempre piaciuti tanto.
Alla fine della vacanza, mentre stavamo salendo in macchina, le chiesi perché si fosse messa con un altro quando aveva a disposizione Diego.
“Perché lui non me l’ha mai chiesto”, disse sottovoce, asciugandosi una lacrima. “Io volevo solo ingelosirlo, capisci?”
Diego era la grande occasione della sua vita, di buona famiglia, destinato ad un brillante futuro. Forse Isabella lo rimpianse un po’ in seguito, almeno quell’inverno, quando scoprimmo che aveva fatto persino una pubblicità, ma non credo che si sia mai soffermata troppo su questo, il suo carattere fatalista credo l’abbia aiutata a non avere mai troppi rimpianti e a non essere triste troppo a lungo. Non so se si siano mai rivisti lei e Diego.
Io invece lo rividi qualche volta, uno o due inverni dopo. Lo incontrai per caso sull’autobus, mentre tornavo da scuola, e rimasi imbambolata a guardarlo per una decina di minuti, incredula che fosse proprio lui.
Diego era con un amico, sorrise divertito per il mio stupore e mi disse:
“Ciao”, semplicemente, come se fosse naturale ritrovarsi su un autobus affollato, così tanto tempo dopo essersi conosciuti su un telo in spiaggia.
Ci incontrammo anche altre volte, sempre sullo stesso autobus, ci salutavamo, poi lui continuava a parlare con il suo amico e io a fingere di leggere un libro.
Lo rividi un’altra volta al cinema, molti anni dopo. Io ero con Mino e stavo aspettando che il film iniziasse, quando lui entrò nella sala con due ragazze. Non mi vide e io non ebbi il coraggio di chiamarlo.
Ho appena detto che se non sei su Linkedin non sei nessuno e Diego Corsi c’è. E’ diventato associate partner di un’importante società di consulenza, c’era da aspettarselo, glielo si leggeva in faccia fin da bambino, fin da quei giorni lontani in cui giocavamo a sputo sulla spiaggia. Guardando il suo viso serio e sereno si può facilmente immaginare che si sia sposato, sicuramente con una bella moglie, e che abbia dei figli, non come me, che non ne ho avuti per colpa del mio lavoro, come mi ha rinfacciato Mino. Sicuramente Diego ha una bella moglie e dei figli, nel numero giusto, non in eccesso rispetto al budget familiare, come mia sorella Isabella, e non clandestini, come mia sorella Sofia.
All’improvviso, mentre la pausa pranzo stava finendo e le voci dei miei colleghi che rientravano si facevano sempre più vicine, mi sono chiesta come mai. Sì, mi sono chiesta come mai alcune persone siano riuscite con facilità a sistemare tutte le loro carte e a vincere la loro partita, esattamente come ci si aspettava che avrebbero fatto, mentre noi non abbiamo indovinato una mossa e le nostre carte sono rimaste per metà ancora coperte. Cosa c’era in noi di sbagliato? Perché vorrei poter iniziare un’altra partita ma nemmeno questa volta sarei sicura di indovinare tutte le mosse?
“Sei già qui?” mi ha chiesto Orietta.
Ho sorriso, cercando di vincere la malinconia per quell’estate e per il tempo in cui avevo la vita ancora davanti e potevo giocare una partita diversa.
Cosa faccio, gli mando la connessione? ho pensato sentendo un po’ di eccitazione all’idea di farmi viva con Diego e di connettermi con lui, di ritrovarci dopo tanto tempo. L’ufficio si è popolato, qualcuno ha iniziato a guardare incuriosito il mio pc (maledetti open space!), e io mi sono sentita stupida. Ma chi se la ricorda la sorella minore di una ragazza bella e un po’ oca che a quattordic’anni ha tentato di ingelosirti con un ragazzo senza senso?
Ho chiuso internet e mi sono ritrovata faccia a faccia con le scritte verdi sullo schermo nero del nostro gestionale, che mi avrebbe tenuto compagnia per il resto del pomeriggio: questa è la partita che sono stata capace di giocare. E dire che a sputo ero una campionessa…


Lascia un commento