Vuole che muoia. Lo ha detto lui, ha pregato Dio di farmi morire.
-Sarò felice solo quando ti vedrò in una bara e ci piscerò sopra – mi ha detto – perché non ti ammazzi e rendi tutti felici?
Già, tutti felici. I miei figli non credo, sono ancora piccoli e hanno bisogno della mamma, ma allo stesso tempo non posso più stare in questa relazione, densa di odio, dove vengono dette cose terribili di fronte ai figli, dove gli sguardi tagliano e i silenzi feriscono.
La morte sarebbe un’opzione, certo, una liberazione da questo dolore che non mi abbandona mai, mi eviterebbe un sacco di fatica. Ma quando penso a quegli occhi tristi di bambini, i miei bambini, mi dico che non devo neppure considerarla come opzione.
Piuttosto il divorzio, anche se difficile, combattuto e difficoltoso a causa dei pochi soldi. Non sono la prima a dover affrontare tutto questo, ma non so se i miei figli, e forse anche io, riusciremmo a sopportare uno “stand” di vita molto più basso dell’attuale.
Lo sbaglio più grande è stato lasciare il lavoro per i bambini. Nessuna donna dovrebbe fidarsi dei mezzi del marito e della solidità della relazione: mai abbandonare un posto di lavoro.
Ma ormai il danno è fatto, e da troppo tempo, quindi la speranza di rientrare nel mondo del lavoro è un’altra opzione da non considerare. In un periodo storico dove la disoccupazione è al massimo e non trovano posto neanche i maghi e gli illusionisti, come posso pensare che una madre di famiglia non più nel fiore degli anni, riesca ad ottenerne un lavoro?
Potrebbe morire lui però. È un brutto pensiero lo so, ma mi ha pregato la morte centinaia di volte, e non ci sarebbe da meravigliarsi se il buon Dio lo castigasse per la sua cattiveria facendolo schiattare. O se ci pensassi io al posto suo.
Sarebbe una soluzione, la mano provvidenziale del destino, o la mia. Venderei tutto e me ne andrei all’estero con i miei figli, aprendo una piccola attività che ci dia da vivere, serenamente, senza più discussioni e odio. In pace.
Se penso alla vita senza amore che faccio e da quanto tempo mi vengono i brividi. L’inferno ebbe inizio due anni fa, ma tre anni prima ci fu il primo grande episodio, in pubblico e davanti ai figli.
Eravamo in Spagna, in vacanza con due famiglie di amici. Una mattina discutemmo in camera per motivi economici, sempre per i soldi si litigava, e prese a dirmi cose terribili, ma ancora niente rispetto a quello che in spiaggia più tardi, davanti a centinaia di persone allibite, mi urlò a squarciagola. Frasi come questa:
-Sei una donna di merda, ti odio, mi hai rovinato la vita, vorrei solo vederti morta. Perché non vai ad annegarti che fai un favore a me e ai tuoi figli?
Quella volta mi ferì più la pietà negli occhi delle persone che le sue parole. Mi ci volle tanto per riprendermi, anche fisicamente, poiché mi ero rotta un piede e lui a suon di “muovi il culo” mi costrinse a fare su e giù con la bambina, allora di un anno, in braccio.
Tutto questo odio e crudeltà mi segnarono profondamente, ma mi ripresi, anche perché la vita aveva ancora in serbo altri brutti scherzi per me, che però non c’entrano con questa storia, quindi non ne parlerò.
Seguirono ancora litigi, scoppi di rabbia da parte sua, che avvenivano quando si sentiva provocato. Gli fu diagnosticato un problema nella gestione della rabbia, ma non si volle mai curare, anzi continuava a dirmi che la pazza ero io e che lo psicologo, che durante un inutile ciclo di terapia di coppia aveva portato alla luce il problema, era un imbecille e voleva solo scoparmi.
E così arriviamo a due anni fa.
Premetto che il rapporto con mio marito è sempre stato abbastanza freddo e pieno di astio, anche sessualmente non siamo mai stati molto vicini, per quello che può valere.
In quel periodo, più che in altri, avevo bisogno di sentirmi ancora viva e fu così, che tramite Facebook, ritrovai un mio vecchio fidanzato, con il quale avevo una grande intesa fisica e che si era trasferito in Francia.
Cominciammo a chattare, anche di cose piccanti, e un bel giorno ci telefonammo e parlammo un po’. Forse era forse l’inizio di una relazione virtuale o forse no, ma almeno c’erano più calore ed eccitazione nella mia vita in quel momento di quanto non ne avessi mai avuti dall’inizio del mio matrimonio. Decidemmo di darci un appuntamento per la domenica pomeriggio, a saremmo rimasti a casa e mandato fuori le reciproche famiglie.
È incredibile come quando non hai niente, anche una cosa stupita come questa possa sembrare piacevole. Due sfigati, frustrati e maldestri che rivivono i fasti del passato attraverso un filo telefonico che collega due nazioni.
Mio marito però, insospettito dalla mia insolita fretta di mandarli a fare un giro, lasciò nascosto in camera da letto il suo cellulare in modalità registrazione e catturò la famosa telefonata, alla quale non ne seguirono più altre perché da quel momento scoppiò il finimondo.
Quella volta mi urlò davanti ai bambini, ancora piccoli, che ero una troia, che ero stata con un altro uomo, che mi avrebbe rovinata se non mi fossi ammazzata prima io.
Quelle scene si ripeterono spesso in un anno; i bambini erano traumatizzati e nevrotici, ma il peggio doveva ancora arrivare.
L’estate scorsa, in vacanza a Parigi, mentre eravamo in un grande parco divertimenti, perse la testa di nuovo e cominciò a urlare davanti a tutti, con i bambini che piangevano
-Sei una troia di merda, vai a farti inculare dai negri che è l’unica cosa che riesci a fare ,vorrei solo vederti contorcere per terra tra i dolori più atroci e crepare davanti ai miei occhi.
E poi rivolto ai bambini:
-Vostra madre è una troia, una puttana, Si è fatta scopare da un altro uomo. E’ una pessima madre, non vi vuole bene, pensa solo ad andare con gli uomini.
Non ho mai visto i miei figli soffrire così tanto come in quel momento. Quelle parole così oscene li lasciarono profondamente scossi e feriti. Non so dove ho trovato la forza di non ucciderlo allora, di levare dal mondo un cancro simile, di porre fine a una vita di rabbia e pazzia. Mi sono invece rinchiusa in un mondo di silenzio e angoscia, che gli altri all’esterno percepiscono a malapena, leggendolo al massimo come un malessere.
Vorrei anche capire tutta questa sua dichiarata infelicità a causa mia, peraltro ricambiata pienamente, dove va a finire quando si parla di divorzio: è contrario, non vuole farlo, per i figli dice, e vorrebbe continuare a vivere nel l’odio piuttosto che mollare il colpo. Mi dice che se decidessi di divorziare, me ne farebbe pentire amaramente. Ha già detto che nel caso sarebbe una separazione giudiziale, con perizia psichiatrica del CTU a tutta la famiglia, non ha idea di cosa significhi questa cosa quel povero pazzo…
Credo che quindi nemmeno l’opzione divorzio sia da considerare: dovrei rimanere qui, a fare una vita grama, rivederlo tutti i giorni, con quello sguardo di odio negli occhi, condividendo l’affidamento dei figli e litigando su ogni particolare.
E poi non avrei la possibilità di espatriare, di rifarmi una nuova vita, di costruire quella solidità economica che anche ora ci manca, ma che in Italia è impensabile da realizzare, con la pressione fiscale che uccide tutti i piccoli imprenditori.
Ecco, questa è la mia storia, la mia lettera dall’inferno, di cui solo io sono a conoscenza.
Non so che fare, come liberarmi di lui. Dovrei davvero ucciderlo credo, ma non so come. Ammazzarlo per poi passare la vita in prigione e lasciare i miei figli orfani è da stupidi e non commetterò questo sbaglio. Devo avere un piano perfetto, senza margine di errore per eliminarlo e farla franca, per liberarmi da questa violenza psicologica e verbale. In fondo ho già pagato abbastanza per i miei sbagli. O no?