Ricordo il tuo sguardo bambino che si apriva al mondo, il viso stropicciato e fragile di chi non aveva scelto, di chi non aveva scelta.
Ricordo di averti raccolta, umida e sporca, nella mia mano destra e di averti sorriso di un sorriso meravigliato e onesto.
Ricordo il naso perfetto, lo sguardo attento, l’occhio sinistro impercettibilmente più socchiuso del destro, la bocca carnosa, le labbra imbronciate, le mani minuscole e panciute.
Ricordo immense guance rosse, la testa rotonda, una voglia dietro la nuca, nascosta tra capelli sottili, che sorrideva egoista.
Ricordo le pieghe della tua pelle trasparente, le gambe di un ranocchio, i piedi rosa di chi non si è mai sporcato con la terra.
Ricordo il tuo odore, odoravi di sudore vanigliato e zucchero a velo, di una sera d’estate, di un campo di grano, di pane appena sfornato, di polline e pappa reale. Gustavo il tuo odore, questa era la sua peculiarità, toccava le pupille gustative, era più un nuovo gusto che un nuovo odore, sapeva di sacro e di profano.
Ricordo di aver ballato con te ad ogni occasione, la tua testa appoggiata sulla spalla e il cuore sul mio, il respiro mi solleticava il collo ed io sentivo capelli leggeri sfiorare la guancia.
Ricordo di averti guardato riposare per ore, chiedendomi come potessi esserci, fragile e strafottente ti coricavi supina, con le gambe appena divaricate e le braccia all’insù, dormendo il vero sonno dei giusti.
Ricordo la tua vita nelle mie mani e la mia nelle tue, ricordo l’espressione di tua madre nel vederti, la felicità senza ombre, la gioia folle dell’impossibile.
Ricordo i tuoi pianti assoluti, l’essere dentro ogni colore del mondo, la fame di vivere in totale completezza. Ricordo di aver imparato dalle tue gesta la folle onestà: nessuno ti aveva educato, eri ancora perfetta e nobile, sfrontata e pura, se piangevi, eri nel pianto, se ridevi, eri il sorriso.
Ricordo di aver perso una parte di me, morta in silenzio alla tua nascita, per la prima volta rimasi nudo al mondo e mi accorsi che non aveva importanza.
Grazie a te scoprii di essere completo, uomo, marito e padre, ed insieme di non rappresentare più il centro del mio universo, non più protagonista, vi era qualcuno e qualcosa che rubava la parte principale al mio spettacolo ed io ne ero consapevolmente felice.
Ricordo il tuo primo passo, avevi un’impacciata tuta rossa, con un orsetto sul petto, mi guardavi ciondolante mentre gambe insicure ti portavano avanti, tua madre ti proteggeva in silenzio, allargando le braccia di fianco e dietro, pronta ad ogni che.
Ti ricordo in piedi sul lettino, le tue braccia mi legavano il collo, la guancia premeva la mia tentando un bacio, eri fresca come la luce del crepuscolo dopo un temporale estivo.
Ricordo quando ti infiltravi tra noi nel lettone, nelle primissime ore del giorno, incurante del sonno, con un piede spingevi tra le mie costole con tutte le forze e con la schiena premevi il collo di tua madre, quasi volessi rientrare in lei.
Ti scrivo questi miei ricordi ora, che non sai leggere, affinché, quando camminerai con piedi più fermi nel mondo, di fronte ad ogni difficoltà tu sappia che esiste nella vita un amore unico e disinteressato.
Tuo padre.