Questo racconto è stato pubblicato per la prima volta su La Nuova Gazzetta di Saluzzo, il 28 luglio 2011
“Non dovevamo farlo, Tullio…” bisbiglia Aldo, rannicchiato nell’angolo più buio del salone.
“Zitto, fifone” gli intima Tullio, stringendogli il polso fino a fargli male.
Hanno atteso la chiusura del Castello della Manta, i due ragazzini, celati dietro un canterano. Poi, quando la sera è calata, hanno lasciato il nascondiglio, gobbi, e sono andati nella sala baronale, nascondendosi in quell’angolo e tenendo gli occhi fissi sull’affresco della Fontana della Giovinezza. Quando il buio è stato fitto, però, Aldo ha cominciato a tremare, mentre Tullio ricavava nuova forza dalla sua paura.
Del resto è lui, Tullio, il capitano della missione, e non può mostrarsi pavido.
“Aldo, cerca di stare calmo” ripete “fra poco apparirà, vedrai…”.
Ma Aldo non riesce più a controllare il suo corpo. Adesso è lui che stringe il polso di Tullio, trovando conforto, nell’oscurità, dal contatto con l’amico.
Intanto, un pallido riverbero di luna sta colorando di un grigio malato il pavimento della sala. Anche l’affresco sembra ricevere un poco di quel chiarore.
“Se i miei vengono a saperlo…” balbetta Aldo.
“Ma se hai detto che stavi da me, questa notte…e poi guarda, la luna sta rischiarando l’affresco, questo è un segnale…era scritto nelle carte di mio nonno”.
Suo nonno, a dire il vero, era chiamato scrusì, mezzo matto. Era nato di sette mesi e fin da quando era bambino cadeva ogni tanto in una specie di catalessi, ma non era epilettico, non c’erano convulsioni. I medici non avevano risposte. Quando accadeva, lui restava così, incantato, per ore, e nessuno riusciva a svegliarlo. Poi tornava in sé e diceva che aveva parlato con i morti.
“A l’è scrusì” ripetevano in città. Ma nessuno della famiglia ha mai avuto il coraggio di buttare via i quaderni con la copertina nera su cui trascriveva i colloqui con le entità che diceva di frequentare. Li hanno messi da parte e sono sempre rimasti lì. Oggi, a Saluzzo, nessuno ricorda più il nonno di Tullio, ma le famiglie, a loro insaputa, tramandano i caratteri degli avi con mezze parole; seminano nei bambini, con accenni involontari, le ombre del passato.
Tullio, quando era più piccolo, diceva che era capace di volare. E voleva un pinguino, in casa, e non un gatto.
“Lo possiamo tenere in frigorifero” insisteva, frignando, per convincere i genitori.
“Sei mezzo matto, come tuo nonno” gli dicevano ridendo.
Così, a poco a poco, il nonno scrusì è diventato una guida, per Tullio.
Un bel giorno ha scovato il quaderno con la copertina nera. E ha scoperto il segreto… Il nonno aveva parlato più volte con il fantasma del marchese Tommaso III e aveva scritto tutto.
“Anch’io sono diventato errante come il cavaliere del mio poema” aveva detto il marchese, “e il mio spirito vaga da secoli alla Manta, nella mia antica dimora. Ogni cento anni, nella notte delle stelle cadenti, mi è consentito di tornare nella sala baronale per indicare ai vivi il punto esatto in cui si trova la Fontana della Giovinezza. Quella fonte esiste, e rende eternamente giovani. Ma soltanto dopo la morte possiamo sapere dove si trova. La prossima volta, nel 2011, tornerò, e renderò visibile una scritta, sul bordo della fontana”.
Da quel giorno, Tullio ha atteso con la trepidazione dei bambini l’anno e la notte che avrebbero cambiato la sua vita. E quella notte adesso è giunta. Ha portato con sé Aldo più per condividere il segreto con l’amico che per la paura di rimanere solo. Ai suoi genitori ha detto che avrebbe passato la notte da Aldo. Sapeva che l’inganno era debole, perché le mamme si sarebbero telefonate, ma nessuno poteva immaginare che loro due fossero lì
Ora, mentre la luna colora di argento la sala, tutto è pronto. Tullio non stacca gli occhi dal bordo della fontana. Il suo cuore batte forte, le tempie gli pulsano e gli scappa anche la pipì. Ma non teme nulla, ormai. Quella luce fredda, sempre più vivida, è la prova che qualcosa sta per accadere. Un brivido di emozione lo percorre, facendolo fremere tutto.
“Tullio, dobbiamo andare via…” ripete Aldo, sconvolto dal tremore dell’amico.
D’improvviso, però, dal fondo della sala, un nuovo riverbero di luna sembra spostarsi verso l’affresco. Tullio sente le spalle contrarsi, stringe i pugni per contenere lo spasmo di paura. Non può essere la luna, pensa, forzando gli occhi. L’ombra di luce si muove a una velocità diversa dal barlume sul pavimento.
“Aldo, il fantasma…” bisbiglia Tullio.
“Ho paura…” farfuglia Aldo, e cerca di mettersi in piedi, ma Tullio lo trattiene.
“No, non adesso” supplica Tullio, stringendogli il polso.
“Non ce la faccio” continua Aldo, agitandosi.
Tullio volta la testa verso Aldo, cerca di fissarlo negli occhi, nonostante la penombra del loro angolo, lo scuote per le spalle, gli trova le pupille con lo sguardo.
“Aldo, solo un minuto, ti prego, solo un minuto” gli sussurra Tullio, tremando.
Poi volta la testa verso l’affresco, ma il riflesso dorato, apparso un istante prima sul bordo della Fontana, sta ormai scomparendo.
“No, no” grida Tullio, nella notte.