Cosa ti metti stasera?»
«Non so. Non ho ancora deciso.» Guardo fuori, c’è la nebbia. Un altro giorno buio come solo Milano ne regala.
«Decidi, ora! Mica possiamo rischiare di vestirci uguale.» Anna comanda, come al solito vuole tenere il timone.
«Che palle!» Mi alzo in piedi di scatto. «Metterò il tubino nero.»
«Ottima scelta. Il nero ti sfila.»
“Sei la solita stronza, cara Anna” penso e abbasso il cordless, lo batto sulla coscia, ancora soda. «Tu cosa indosserai?» Fingo un blando interesse.
«Pensavo al vestito rosso, quello con lo scollo profondo sulla schiena…»
«Bello! Però…» Monto un sorriso maligno, mi passo la lingua sulle labbra, arroto i denti.
«Che c’è?»
«Niente.» Adesso sono in cucina, cerco la tavoletta di cioccolato fondente.
«Dimmi!» insiste Anna, già irritata.
«L’hai messo a teatro, il mese scorso.» Sgranocchio un quadretto con dentro una nocciola.
«E allora?»
«All’uscita… Scendevi le scale, io stavo dietro con Marcello. Lui ha fatto un’osservazione.»
«Allora?» La conosco, telefona sempre stando sdraiata sul divano. Di sicuro adesso si è messa seduta.
«Comunque hai ragione, il nero sfila.» Ignoro la domanda, sento la sua rabbia che cresce, e mi piace. Detesto Anna. La moglie di rappresentanza del mio capo pensa di avermi anche lei al suo servizio. «Lo diceva sempre mia nonna, un petite robe noire e sei a posto, poi proseguiva con la menata del tubino disegnato da Givenchy, indossato da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany.»
«Allora?» ripete, con la voce che gratta.
«La scollatura di quell’abito è morbida e profonda, ti accarezza la schiena.» Misuro le parole, recito lenta. «Quando ti muovi la stoffa vola. Come una vela. Molto sexy, sai? Marcello mi ha fatto notare che sul limite dei fianchi si intravedeva un rotolino di ciccia. L’ha detto ridendo e ha aggiunto: “Anche Anna inizia a cedere, è proprio la fine del mondo”.»
La sento ansimare. Aspetto. Chiudo gli occhi e mi immagino la scena; rivedo Gloria Swanson in Viale del Tramonto. Non ricordo se alla fine fosse vestita di nero.
Anna non reagisce.
Meglio. Detesto starla a sentire. Indugio un po’, poi la chiamo: «Anna?»
Non risponde.
Voglio fare bastian contrario, non indosserò il classico tubino nero. Non che il colore non mi piaccia, anzi. Ci sono dei periodi in cui mi vesto solo di nero, ma a modo mio, fuori dai canoni del bon ton. Vado in camera da letto e apro l’armadio. Il cordless incollato all’orecchio resta silente.
Chissenefrega de la petite robe noire! E della cena di stasera con gli intubati, gente ricca, dove avrò il posto assegnato tra un’azienda farmaceutica e un finanziere d’assalto. Cosa ci stia a fare io, resta un mistero. Accade una volta l’anno, qualche volta due. Quando arriva l’invito sbuffo, ma poi penso che sia un’occasione rara per studiare una fauna in cui mi imbatto raramente.
E confermo.
E poi mi pento.
Ma ci vado.
La scelta dell’abito è sempre un momento importante. Tasto il mio Dolce&Gabbana verde smeraldo, perfetto per me che sono rossa. Mi arriva un sibilo dentro l’orecchio. Lo ignoro e commento a mezza voce «Chissà se mi va ancora bene, magari stringerà sui fianchi?» Stendo l’abito sul letto.
«Mi sento male. Aiutami.» È disperata.
«Dai, Anna! Non ti pare di esagerare?»
«Sto male… chiama qualcuno. Vieni qui.» Ha il respiro affrettato come un cane in estate. Allora non finge! Mi viene da ridere e lei sta rantolando.
«Ho cambiato idea, metterò l’abito verde.» Sento di avere vinto qualcosa.
«Ti pregooo… Aiutami!» Fatica a respirare, boccheggia e capisco che non me ne frega niente. Butto il cordless sul letto. Faccio passare un minuto e lo riprendo. Dentro c’è un soffio irregolare che si spezza.
«Anna?» domando, cauta.
Ascolto. La sento agonizzare.
Mi sdraio sul letto, mi stiro, chiudo la comunicazione e anche gli occhi.
Adesso è tutto buio. Nero.
Sto bene. Anzi, sono soddisfatta.
Non andrò alla cena, non ne avevo neppure voglia.
Per l’uscita di scena sarà Anna a indossare le petite robe noire.