“Mareamaro” di Maria Teresa Valle


L’aveva notata per la prima volta sul sagrato della chiesa di Sant’Ambrogio. La messa delle undici era finita e la gente si riversava lentamente sul piazzale lastricato di riseu bianchi e neri. Sin da quando era bambino non si stancava di guardarli, forse perché i piccoli sassi venivano dal mare, e lui amava tutto ciò che aveva a che fare col mare. Mentre, con lo sguardo rivolto a terra, seguiva le fughe dei ciottoli bianchi e dei ciottoli neri, si materializzarono nel suo campo visivo due graziosi piedini. Dai sandali rossi il suo sguardo era risalito su per le gambe lunghe e nervose, i fianchi ampi, il seno acerbo e infine il viso impertinente, circondato da una capigliatura selvaggia. Rimase con la bocca semiaperta, rendendosi conto che la ragazza che aveva davanti era quella bambina con cui, anni addietro, giocava sulla spiaggia.
Doveva avere un’espressione buffa perché Maddalena guardandolo si mise a ridere.
-Allora? Non mi riconosci?
-Accidenti, Madda, sei tu?
-Proprio io!
-Belin, non ti avevo riconosciuto! Ma dove sei stata tutto questo tempo?
-Sono stata via. Mio padre è andato a lavorare all’estero e io e la mamma siamo andate con lui. Ora che papà non c’è più siamo tornate a Varazze. Mamma ha ancora la casa dei nonni ed è affezionata ai questi posti.

Era cominciata così la conversazione tra loro ed era finita davanti all’altare. Lui era cotto come di più non si poteva.
I primi tempi erano stati felici. Giacomo usciva la sera con il suo “gozzo”. Passava in mare buona parte della notte. Amava il suo lavoro di pescatore. Gli piaceva tutto del suo mestiere.
Amava le notti di bonaccia quando il mare respirava appena e la luna sembrava volersi tuffare nell’acqua. Allora i pesci salivano alla superficie come stregati da tutta quella luce.
Amava la rabbia del mare, quando si gonfiava e faceva schiumare le onde. Quando i pesci si rifugiavano nelle tranquille acque profonde per sfuggire alla tempesta. La sua barca leggera doveva restare alla fonda, ma lui trascorreva ore sul molo a osservare le onde aggredire gli scogli. Il vento gli scagliava addosso spruzzi come frustate e lui respirava il salino con l’avidità di un subacqueo dopo una lunga apnea.
A volte gareggiava in forza con un grosso pesce che non voleva farsi catturare o si buttava all’inseguimento di un branco che fuggiva veloce.
Tornava a casa felice alle prime ore del mattino. A volte bagnato fradicio, a volte infreddolito, spesso stanco. Si lavava e si infilava nel letto accanto alla sua bella moglie. Che dormisse o fingesse di dormire lei lo accoglieva nelle sue braccia. Lo riscaldava nel corpo e nell’anima e quando lui si era addormentato, gli rimboccava le coperte come si fa con un bambino.

Qualche tempo dopo il matrimonio erano andati ad abitare in una casa piccola, appena fuori del paese, vicina alla spiaggia. Dalle finestre si vedeva il mare, si vedeva il verde argentato degli ulivi e quello scuro dei pini marittimi. Qua e là, verso il finire dell’inverno, comparivano le nuvole gialle della mimosa. Per tutto l’anno cascate di gerani incendiavano balconi e ringhiere, mentre le rose fiorivano nei giardini. Lungo l’Aurelia le pareti rocciose a picco sulla strada erano popolate da ogni sorta di piante spontanee, che, parassitando ogni crepa, ogni anfratto, crescevano e fiorivano al sole della riviera.
-Odio questa casa – si lamentava Madda – è piccola e il salino si appiccica ai vetri. Il pavimento è sempre pieno di sabbia. Il mare fa solo danni.
-Il mare ci da da mangiare.- Ribatteva Giacomo con risentimento
Giacomo non avrebbe saputo dire quando le cose avevano cominciato ad andare male.
Erano passati, in fondo, solo dieci anni dal matrimonio, ma la sposa era cambiata profondamente. Era più bella che mai. Gli anni le avevano conferito la rotondità e la morbidezza del frutto maturo. Il viso aveva acquistato carattere. Ma lo sguardo si era fatto torbido, uno sguardo da gatta randagia che Giacomo non riconosceva più. Parallelamente al cambiamento fisico, un profondo mutamento era avvenuto nel suo carattere e nella disponibilità e comprensione nei confronti del marito. Lo accoglieva con mutismi inspiegabili o rispondeva alle sue parole con malagrazia. Sempre più spesso mostrava insofferenza verso le sue affettuosità. Non sopportava di essere toccata e lo allontanava con le scuse più improbabili.
Se Giacomo, tornato a casa nel cuore della notte, tentava di accostarsi a lei, lo scacciava in malo modo.
-Sei gelato come un morto; stammi lontano.
Sempre più spesso gli diceva -Puzzi di pesce. È un odore che non sopporto mi da la nausea.
-Allora non dovevi sposare un pescatore. – Rispondeva Giacomo, risentito, non tanto per sé, quanto perché per lui quello era il mestiere più bello del mondo. E il mare con le sue creature era la sua vita.
L’amore di Madda per il marito si era trasformato in un rancore sordo che lo spingeva ad allontanarsi sempre di più, per soffrire meno.
Passava quanto più tempo poteva in mare. Solo lì era veramente felice. Respirava a pieni polmoni. Solo. Sospeso in quel nulla tra la superficie dell’acqua e il cielo.
E ogni notte alla stessa ora in mezzo a quel mare deserto si incontrava con una creatura del mare che per lui era diventato un amico. Non riusciva mai a sentirlo arrivare. Gli compariva davanti all’improvviso, come se si materializzasse in quel momento. Lanciava il suo richiamo, gli faceva compagnia per qualche minuto poi, a volte, se ne andava, a volte, lo seguiva per un po’, mettendosi nella scia della sua barca.

Anche quella notte era arrivato senza farsi sentire.
-Ah, sei qui? Sempre silenzioso tu! Meno male che ci sei. Almeno con te posso sfogarmi un po’. Non pensavo davvero che la mia vita sarebbe diventata così difficile. Quando torno a casa mi sento un estraneo. Madda diventa ogni giorno più intrattabile. Tutto quello che mi piace lei lo odia. Ogni cosa che mi rende orgoglioso lei la disprezza. Se la prende persino coi pesci, povere creature! Ieri, per esempio, ho portato a casa delle acciughe. Erano bellissime, lucide e profumate di mare. Le ho lasciate sul lavandino e sono andato a coricarmi. Quando mi sono alzato, le ho cercate. Ne avrei mangiato volentieri un po’ fritte, belle croccanti. Madda non c’era, Cerca, cerca. Nel frigo non ci sono, nel forno neppure. Beh, lo sai dov’erano? Nella spazzatura. Nella rumenta le aveva buttate. Quando Madda è tornata le ho chiesto perché aveva fatto così. -Mi fanno schifo le tue acciughe! – mi ha detto – E mi fai schifo anche tu, che puzzi come loro. Stai sempre in mare, e io qui da sola ad aspettarti. Credi che non lo sappia? Preferisci quegli stupidi pesci a me. E io li butto via! Mi fanno schifo, schifo, hai capito? Non portarmeli più a casa! Non li voglio nemmeno vedere. – Quel ben di Dio le fa schifo! E le faccio schifo anch’io! Beato te che sei solo. Ti invidio. Se potessi farei come te.
La creatura del mare pareva stare a sentire e capire la pena dell’uomo.

Giacomo sempre più spesso si fermava a mangiare dalla “Bella Marinin”.
Giò Batta, il padrone, gli chiedeva.
-Cumm’ a va, Giacumìn?
E Giacomo rispondeva invariabilmente.
-A bagasce e a düa!¹
Si consolava mangiando un piatto del pesce che lui stesso aveva pescato.
La situazione però continuava a peggiorare. Madda si lamentava per qualunque cosa. A Giacomo non restava che uscire.
Passeggiando in riva al mare ripensava a quando, bambini tutti e due, giocavano assieme su quella spiaggia. Quando il mare era calmo sguazzavano come oche sulla riva, ma quando era agitato si facevano portare dalla cresta, che li sollevava in alto, e li depositava sulla riva, poi aspettavano un cavallone più grande degli altri e si tuffavano tutti insieme sotto l’onda, per riemergere dall’altra parte, pronti a ricominciare il gioco.
Dove era finita quella infanzia felice? Perché l’amore per il mare, che Madda allora mostrava di avere, se ne era andato insieme all’amore per lui?
Giacomo non riusciva a farsene una ragione. La notte si sfogava col suo amico.
-Non mi vuole neppure più nel suo letto. Mi umilia in tutti i modi. La mia vita, caro mio è diventata un vero inferno.
Quando il suo amico se ne andava, silenzioso come era venuto, Giacomo si sdraiava sul fondo della barca. Aveva sopra la testa il cielo scuro punteggiato di stelle. Aspettava che un chiarore cominciasse a illuminare l’orizzonte a est e guardava la luna sorgere dall’acqua. Le stelle più piccole scomparivano per lasciare il posto alla signora della notte. Giacomo la guardava come si guarda un santo protettore e come tale la pregava. Traeva conforto dal suo volto bianco e impassibile. Si sentiva più calmo e meno infelice. Ma la luna traditrice, prima o poi, tramontava e lo lasciava solo con le sue pene. Verso la mattina, finita la pesca, ormeggiava la sua barca nel porticciolo. I gabbiani erano svegli da un po’ e facevano il solito chiasso. Lo circondavano sapendo che quasi ogni mattina lanciava loro qualche piccolo pesce, per il divertimento di vederli prenderlo al volo. Caricava le cassette sul furgoncino e andava a consegnare il pesce al ristorante. Quella mattina era più cupo del solito. Giò Batta lo apostrofò con il solito spirito.
-Che muru! Cumma l’è?
-Lascime perde!²
A casa lo aspettava l’ennesima lite. Giacomo era stanco persino di rispondere a Maddalena. Sentiva sempre più forte il desiderio di metterle le mani addosso, stringere quel collo candido e farla tacere per sempre. Invece se ne andava nella sua stanzetta e cercava invano di prendere sonno.
Girandosi e rigirandosi nel letto una mattina cominciò a fantasticare di come sarebbe stata bella la sua vita senza la moglie. Avrebbe dormito sonni beati nel suo letto comodo e poi avrebbe potuto cucinarsi tutto il pesce che voleva. Nessuno lo avrebbe disturbato. Nessuno sarebbe stato geloso del suo vero e unico amore. Il mare.
Ogni volta che si coricava il sogno ad occhi aperti tornava e si arricchiva di nuovi particolari. Avrebbe preso un gatto. Forse anche un cane. E volta dopo volta si trovò a fantasticare sul modo per eliminare la sua scomoda consorte, fino a che non gli sembrò di avere concepito il piano perfetto.
“Non ne sarò mai capace,” pensò, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

Fu proprio Giò Batta che gli fornì la spinta giusta.
-Io te lo riferisco, perché ti sono amico, e non mi piace che ti prenda in giro, ma guarda che tua moglie ha un amico.
-Ma figurati!
Giacomo si era messo a ridere.
-Padrone di non crederci, ma una notte, prova a tornare a casa prima del solito. Nu te diggu atru³.
Non poteva crederci. Tant’è il dubbio è come un tarlo, lavora, lavora e scava gallerie profonde.
Solo sulla sua barca Giacomo pensava e pensava. Forse il motivo di tanto disamore nei suoi confronti aveva questa semplice spiegazione: la moglie aveva un altro uomo. Alla fine, per togliersi il dubbio, fece quello che si doveva.
Uscì, come al solito per recarsi a pesca, ma non levò l’ancora, non prese il largo, stette seduto nella barca tirata in secca, e tornò a casa dopo qualche ora.
Entrò senza fare rumore. Si avvicinò alla porta della camera e aprì lentamente uno spiraglio, piccolo ma sufficiente per vedere l’interno. Sul letto stava la moglie nuda e addosso a lei un uomo grande e grosso. Le sue grandi chiappe bianche andavano su e giù a ritmo sostenuto. Giacomo chiuse piano la porta, certo che non lo avessero visto né sentito, indaffarati com’erano nelle loro faccende. Il cuore aveva preso un’accelerazione pazzesca, perché la sorpresa era stata grande. Non stette a pensare se gli dispiaceva o non gliene fregava niente. Non si domandò se era geloso o offeso, o tradito. Pensò solo a come attuare il piano che aveva tante volte immaginato. Ora aveva una scusa più che plausibile.

Aveva preparato tutto e quella sera era finalmente pronto. Madda fu sorpresa della risolutezza con cui l’aveva afferrata per un braccio e la stava portando verso il porticciolo. Per questo non fu in grado di opporsi. Il marito non aveva mai fatto così. Era sconcertata. Non era da lui usare le maniere forti. Tentò solo una debole difesa.
-Non voglio venire in barca con te.
-Invece stasera verrai. Ho deciso che è venuto il momento che tu veda quello che faccio e capisca perché.
-Mi fai male. Lasciami il braccio.
Di mala voglia aveva seguito il marito.
La barca era uscita dal porticciolo e aveva preso velocemente il largo.
-Non andare tanto lontano. È scuro ormai. Tutto questo buio mi fa paura.
-Dobbiamo andare al largo. Non c’è pesce qui.
Un sottile disagio l’aveva colta, non per l’inaspettata gita, quanto per qualche cosa nel comportamento del marito che le sfuggiva e non riusciva a classificare.
-Non puoi accendere la lampara?
-Non ora. Tutto a suo tempo.
Il buio era davvero fitto quella notte. Niente luna. Nuvoloni bassi coprivano le stelle. Si sentiva solo il ronfare del motore entrobordo e lo sciabordio dell’acqua lungo la fiancata. Giacomo ritto al timone non parlava, ma non le toglieva gli occhi di dosso.
La barca tagliò la cresta di un’onda e uno spruzzo colpì la donna seduta a prua.
Come se l’acqua fredda l’avesse risvegliata e resa cosciente di un pericolo che la minacciava, la paura la colse improvvisa, e la donna cominciò a gridare. Pur rendendosi conto che nessuno la poteva sentire continuò a urlare con quanto fiato aveva in gola. Voleva tornare indietro. La portasse subito a terra.
-Stai ferma, o cadrai in acqua.
Allora era questo! Era questo che lui voleva! Nella mente della donna si era fatto strada il terribile pensiero che lui l’avesse portata lì per quello. Per farla sparire. Forse aveva saputo… In preda alla disperazione si alzò in piedi facendo ondeggiare la piccola imbarcazione. Voleva difendersi. E la migliore difesa era l’attacco. Lei era robusta, poteva farcela.
Era quello che Giacomo stava aspettando. Dal fondo della barca prese il remo e colpì forte la moglie alla tempia. Madda cadde svenuta sul fondo della barca e l’uomo come un automa eseguì tutte le azioni che tante volte aveva accuratamente studiato. Prese la sua vecchia cintura da subacqueo, armata di tutti i piombi che era riuscito a trovare, e la mise intorno alla vita della moglie. Le legò accuratamente i polsi e le caviglie e condusse la barca ancora più al largo. Ogni tanto dava un’occhiata al suo corpo. Non sapeva se la botta era stata mortale o se aveva solo provocato uno svenimento. Poco gli importava. Se si fosse risvegliata le avrebbe assestato un altro colpo.
Raggiunse il posto che aveva scelto per lasciare la sua inutile zavorra e, non senza fatica, la buttò nell’acqua. Un piccolo tonfo, qualche spruzzo e l’acqua si richiuse sul corpo che scomparve lasciando sulla superficie solo tante piccole bolle d’aria. La chiazza di schiuma ondeggiò qualche minuto e infine si dissolse. Giacomo sapeva che le correnti avrebbero trascinato il corpo sempre più giù. Lì il mare era particolarmente profondo. Si era spinto molto lontano per raggiungere il posto più adatto. La prospettiva di terminare il carburante non lo preoccupava. Avrebbe potuto fare l’ultimo tratto a remi. Non aveva premura, ora. Aveva il tempo di pensare a una scusa per giustificare la sparizione della moglie. Sarebbe stato facile. La madre era morta qualche anno prima. Lei non aveva nessun parente in vita. Sarebbe bastato dire che era tornata in Francia dove aveva vissuto in gioventù. Col tempo tutti se ne sarebbero scordati. Il suo amante non poteva certo venire a cercarla a casa da lui!

Come aveva previsto il carburante finì prima che la barca fosse giunta in vista del porticciolo. Poco male. Posizionò i remi negli scalmi e cominciò a immergerli ritmicamente nell’acqua. Il gozzo era pesante e in breve Giacomo si coprì di sudore. L’abitudine a quello sforzo l’aveva persa da tempo e la fatica si faceva sentire. Perché non fermarsi e riposare un poco? Nessuno lo aspettava a casa. Nessuno se la sarebbe presa con lui perché aveva fatto tardi. Era ancora buio e un’oretta di sonno lo avrebbe rimesso in forma.
Si stese sul fondo della barca, come aveva fatto tante volte.
Non c’erano le stelle sopra la sua testa e la luna non vegliava su di lui, ma non se ne curò. Ormai non aveva più bisogno della loro protezione.
Si addormentò felice come un bambino. Ubriacato dalla sensazione di libertà che provava di nuovo dopo tanto tempo.
Si addormentò sognando branchi di pesci che baluginavano sotto il pelo dell’acqua e che, in un gioioso carosello, facevano improvvisi guizzi saltando nell’aria.
Si addormentò sordo a ogni stimolo esterno e non vide e non sentì il suo amico delfino, arrivato silenziosamente, come tutte le notti, che nuotava girando vorticosamente intorno alla barca in preda a una crescente agitazione.
Si addormentò e non vide e non sentì la grande nave da crociera, diretta al porto di Savona.
La chiglia possente rovesciò la barca. Trascinò Giacomo sott’acqua e la grande elica lo maciullò.
Il sole sorse illuminando il gozzo rovesciato che galleggiava a pelo dell’acqua. Un delfino continuava a girare senza sosta intorno all’imbarcazione, come se non volesse rassegnarsi a non vedere il suo amico che tutte le notti parlava con lui e che quella notte non lo aveva fatto.

 

1 A bagasce e a düa: Male e continua
2 Che muru! Cumma l’è? Lascime perde! :Che faccia! Com’è? Lasciami perdere!
3 Nu te diggu atru. :Non ti dico altro


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