“Il dubbio di Paola” di Massimo Messa


Quella baracca lungo il fiume era stata lasciata così dopo la morte del nonno, un pescatore solitario con la passione per le barche: carcasse di imbarcazioni, remi, canne da pesca, lenze e tanti altri ricordi che riconducevano al cuore del vecchio Angelo, quello degli ultimi anni della sua vita. Persino un grande letto matrimoniale, di quelli robusti, con le spalliere in noce spesse qualche centimetro: occupava la parte che dava sulla finestra, verso l’argine. Ci dormiva il vecchio, nelle notti d’estate, quando il caldo di Lodi era più insopportabile dell’insidia delle zanzare. Ed ora che l’avevano ben sepolto sotto una lapide di granito che in una scritta ricordava di lui il suo amore per l’Adda, la baracca era passata di diritto a sua nipote Paola, la quale di barche e di pesci non ne sapeva niente anche se qualche fritto, grazie a lui, se l’era gustato di buon grado numerose volte.

Quando, all’imbrunire di quel giorno di settembre, nascondendosi in se stessa parcheggiò la sua Punto grigia in una via defilata, il tempo d’attraversar il viale e si trovò a fianco l’ingombrante edificio dell’Ospedale Maggiore, dalla parte del pronto soccorso, dove un’ambulanza se ne andava e un’altra veniva, a sirene spiegate. Senza che si avvicinasse, non poté evitar di sentire, pur di lontano, il barelliere della Croce Verde che, perentorio, addestrava l’infermiere che gli si era avvicinato: “Non c’è più niente da fare, se n’è andato … è stato un camion … E’ materia del becchino ormai!”.
Le celle dell’obitorio non per nulla si trovavano adiacenti alle stanze del primo intervento.

Erano da poco passate le diciannove. Davanti alla rampa che i lampioni illuminavano nella sua curva, ampia e solenne, Paola ebbe un momento di tremore. Ma la ragione che la spingeva ad affrettare il passo veniva dal fondo dell’animo. Come ogni volta, per recarsi alla baracca inforcò via Isola di Caprera per poi raggiungere il ben noto ristorante, che della via porta lo stesso nome. Lo accostò senza entrarvi e prese quel sentierino di campagna che nelle giornate di pioggia pareva un pantano che le succhiasse gli stivali di quelle gambe ancora attraenti.

Raggiunse il fiume, carico d’acqua e di corrente. Ecco là la baracca. Gli aveva dato appuntamento lì. Bernardo poteva già esser dentro. Già spoglio e voglioso. Oppure no, era lei ad arrivare sempre in anticipo come la sua ansia le comandava. Prima di aprire la porta della baracca che era chiusa, esitò come se la sicurezza che l’aveva condotta sin lì le fosse svanita un’altra volta. Allora si ritirò nell’ombra, all’interno di quell’alcova da assetati d’amore e cominciò a cercar fuori nel corso dell’Adda, con l’intensità di chi segue la propria salvezza, la ragione del proprio agire. Non era uscita per quello? Dopo tanto tergiversare e contraddirsi, non s’era detta d’aver vinto ogni rimorso? Del resto valeva la pena d’aver rimorsi per uno come il Nicola? Cos’era stata fin lì la sua vita al fianco di lui? Figli no, perché rubano il pane di bocca, mettono pensieri, costringono a raddoppiar le fatiche e basta. Salvo poi, in cambio, metter tutta la sua tenacia nella gelosia, basata più su un principio, su una malattia inguaribile, che su una necessità continua e furiosa, una gelosia senza senso. Lei, ogni sera in casa a far la buona moglie d’uno che la sera la passava dove e con chi voleva e, guai, se rientrando a casa, non l’avesse trovata lì, al suo fianco, in piedi o a letto, pronta a testimoniare, con meschina rassegnazione, la sua immacolata fedeltà e a obbedire ai suoi comandi. Fu così che piano piano, attraverso lo stadio dell’indifferenza, era arrivata a odiare quel marito: un odio silenzioso, ma cupo, l’odio che l’aiutava a tirare avanti, l’odio divenuto l’unica sua difesa possibile. Ciò soprattutto nei momenti in cui rientrando, il fiato che puzzava di vino, le chiedeva di far l’amore. E poco a lei importava constatare che radi erano diventati perché l’amore lui se lo faceva fuori con chi voleva. Perché l’aveva sposato? Era stato facile parlar d’amore e credere che quello fosse tutto! Un lavoro da benzinaio le era sembrato sufficiente per considerarlo autonomo. Così quello che Paola durante tutto il fidanzamento non aveva voluto capire, cinque anni di matrimonio e anche meno erano bastati a metterglielo davanti con la crudele chiarezza della realtà.
Nei momenti più difficili, quando era rimasto senza soldi, Nicola s’era presentato ai suoi suoceri perché lo aiutassero a tirare avanti, nonostante sapesse che loro non l’avessero mai preso bene.
“Che voi non possiate veder me, capisco; ma questa volta è vostra figlia a soffrir la fame. E dunque che aspettate ad aiutarla?”.
“Se è vero che nostra figlia patisce la fame, venga lei a chiederci da mangiare!”. Questa era stata la loro risposta.
Presa dalla vergogna, Paola aveva preferito barricarsi dietro la sua dignità e resistere. Questo malgrado le insistenze prima e le sfuriate poi del marito.
“E perché mai sarebbero tuoi genitori se non ti aiutassero adesso che ne hai bisogno? Tutto per il tuo orgoglio e la tua maledetta superbia!”.
L’aiuto dei genitori era tuttavia arrivato sotto forma di duemila euro messi in una busta che Nicola, uscendo di mattina in cerca di lavoro aveva trovato in portineria dentro la loro casella. L’avesse avuta nelle mani lei per prima quella busta, l’avrebbe rimandata senza esitazione, tant’era la sua capacità di soffrire pur di non umiliarsi. Era arrivata al punto di desiderar che la fame, serpeggiando nel suo corpo, riuscisse a darle anche la gioia di morire. Tuttavia non c’era stato bisogno d’aspettar molto: il giorno successivo a quello in cui era arrivata la busta dei genitori, Nicola aveva ritrovato lavoro in un garage di Corso Milano. “Vedi? Basterebbe esser un po’ più umani, come tu non riesci a essere mai. Una fortuna ne chiama un’altra” questo il commento del marito.
E per festeggiar l’avvenimento, quella sera era stato fuori fino alle tre. Il suo ritorno lei l’aveva notato come sempre non solo dai rumori che aveva fatto nel rientrare e nello svestirsi, ma dal respiro pesante e dall’odore profondo, acre e nauseante di vino.

Paola spalancò la finestra della baracca, dirimpettaia dell’isolotto Achilli. Col buio la pioggia si era dileguata. Sull’altra riva dell’Adda, il Circolo dei Canottieri Lodi era illuminato a giorno. La piscina, i campi da tennis, il giardino, la luce della gente benestante. E, alla luce di tutto questo, pensava a quanto avesse subito per difendere la sua dignità, al dolore muto e all’angoscia silenziosa che le erano costati. Ma al pensiero di Bernardo, un sorriso fu sul punto di affiorarle sulle labbra constatando come – dopo essersi tanto trattenuta per non cedere né di fronte a sé, né di fronte agli altri – fosse crollata nelle braccia del cognato. Fratello di Nicola, sì, spavaldo come lui, ma d’altra creanza e d’altri vizi: invece del vino, l’eleganza, la bella presenza, l’istruzione e chissà che altro. Fatto sta che aveva ottenuto un impiego alla Popolare di Lodi. Quasi che venendo dal poco si fosse portato dietro una ventata di fortuna. Quel sorriso le si raggelò subito sulla bocca. Un vuoto improvviso l’obbligò a ripiegar su se stessa e a pensare. Non s’era sempre opposta lei alla proposta di Nicola di far venir su da Corato il fratello?
Quantunque, prima della sua venuta, l’avesse visto una sola volta, in occasione del viaggio che subito dopo il matrimonio aveva fatto per presentarsi alla famiglia del marito, sapeva bene il pericolo che per lei poteva rappresentare il cognato in casa sua. Due uomini e una schiava! Ma quando conobbe Bernardo era stato come riveder ciò che l’aveva affascinata del marito reso ardente dalla giovinezza e da un’aria ancor più naturale, delicata e timida, tanto che s’era trovata a capire che, nel caso in cui, a quei tempi, a cercar lavoro al Nord, fosse salito Bernardo, lei non avrebbe certo esitato a mostrarsi presa da lui e dalla sua bellezza. E ciò malgrado la differenza d’età si fosse mostrata tanto evidente da farle percepire quel pensiero come una leggerezza e nient’altro. Il sospetto però che Bernardo avesse suscitato in lei qualcosa di più profondo di una semplice infatuazione s’era confermato ogni volta che in seguito erano arrivate a loro sue notizie o, quando fu il tempo del diploma, sue fotografie. L’età che cresceva in Bernardo acuiva in lei il rimorso di non aver saputo aspettare, ancor più aumentato dalla deriva verso cui giorno per giorno la sua relazione con Nicola stava scivolando. Così, quando più avanti Nicola aveva osato insistere nel suo progetto di far salire da Corato e addirittura ospitare nella loro casa il fratello, lei s’era opposta con un rifiuto in cui tutta la sua ribellione e il suo dolore s’erano scatenati con tale forza da impressionare persino il marito.
“No, facciamo già troppa fatica e mangiare in due. Non c’è alcun bisogno che arrivi un altro a toglierci il pane di bocca”.
“Che pane! Se lo faccio venire è perché voglio che trovi lavoro”.
“E allora prima trovagli il posto e, soltanto dopo, chiamalo! E che una casa se la metta in piedi lui, da solo. Non mi va di far la serva agli altri!”.
“Paola!” aveva urlato il marito “Se non vuoi farmi commettere una pazzia, non lasciarti mai più sfuggire dalla bocca una parola così! Bernardo non è un altro, è mio fratello!”. Dopo una pausa, sigillando l’argomento, stabilì: “Verrà! Cercherà lavoro e finché non potrà far da solo si fermerà qui!”. Poi, dopo aver aspettato inutilmente un suo cenno di consenso aveva aperto la porta e se n’era andato. Per tornar quando? Ma in quel momento che poteva importarle supporre dove e con chi il marito si accompagnasse?
Aveva capito anche troppo bene che la sua vita stava per subire un’altra svolta e che da quel momento sarebbe diventata ancor più difficile e penosa. A Corato, appena si era accorta che la simpatia verso il cognato lei non aveva dovuto sforzarsi di rivelarla giacché ad aver capito che loro due avrebbero anche potuto amarsi era stato lui. L’aveva guardata con quegli occhi ardenti e lei, proprio come quella sciagurata della monaca di Monza, aveva risposto.

Era arrivato, sì, alla fine. Erano le dieci di mattino. Lei se ne stava in camera da letto a dar luce ai locali, alle coperte, alle lenzuola, ai cuscini e ai materassi quando aveva sentito il campanello: l’arrivo era per quel giorno, ma proprio perché ne era preoccupata, quel trillo era stato per lei come la punta di un ago che le avesse colpito il cuore di sorpresa. Era andata ad aprire e se l’era visto sulla soglia, vestito con una maglietta azzurra e una valigetta scassata ai piedi. E l’aria sbattuta di chi ha viaggiato per ore. Bernardo aveva cercato di abbracciarla – lei si era scostata pur con un sorriso – senza riuscirci.
“Volevo abbracciarti come cognato” aveva detto allora il giovane “Chissà che cosa hai pensato!”. E si era introdotto dalla piccola anticamera nella cucina.
Avesse Paola potuto prevedere in quel momento il modo in cui neppur di lì a pochi mesi il cognato si sarebbe messo, l’eleganza sfacciata che avrebbe assunto! Ma in quel momento tutto le era passato per la testa tranne quella prospettiva. Anzi, lo vedeva come una tentazione per i suoi sensi e come un peso da mantenere.
Ed infatti eccolo lì, in casa, a viver sulle loro spalle, tanto che lei aveva dovuto raddoppiar le ore di servizio che prestava in una famiglia di Via Marsala. Già! La sua vita, con l’avvento di quel cognato disoccupato ma impetuoso in quanto a voglia di vivere, che cosa era diventata se non un cedere progressivo di tutta la sua dignità? Che cosa le rimaneva ancora da accettare? Che una mattina, come poi difatti avvenne, a furia di vederselo girar tra i piedi, prima che si decidesse a vestirsi, lui le si avvicinasse e, prendendola di sorpresa, le facesse trovar sul collo la bocca già aperta per baciarla?
“Che fai?” aveva esclamato di scatto.
“Non ti spaventare. E’ da tempo che ho capito.
Proprio così, sapeva di esser trasparente e di non aver potuto nascondere che anche lei lo desiderasse.
“Non illuderti di poter scappare, Paola. E’ da quando t’ho vista a Corato che non vedevo l’ora di arrivare qui. Allora ero poco più di un ragazzo, ma adesso …”. E prese a palparle le natiche.
“Bernardo!” aveva gridato lei per difendersi da quegli occhi azzurri che si ostinavano a star fissi su di lei. “Non aggiunger parola, perché sarei costretta a parlare con tuo fratello”.
“Tu non parlerai, tu non mi fai paura. So troppo bene che ciò che chiedo lo desideri anche tu”.
Dunque era impossibile salvarsi? E il cognato da che aveva derivato quella sicurezza? Dalla freddezza, talvolta addirittura dall’ostilità cui anche in pubblico erano giunti i rapporti con Nicola?

Che importava rispondere a quelle domande? In quel momento era lì, nella baracca dove finalmente gli aveva dato appuntamento, già si era tolta le scarpe perché alle mutandine forse ci avrebbe pensato lui. Lo aspettava perché ormai resistere non era più possibile, né tantomeno coricarsi a fianco del marito, dormigli a lato, sapendo che di là, nella branda in cucina dormiva chi l’aveva fatta palpitare. Sulla riva dell’Adda, lontana dagli sguardi dei vicini e ben distante da quel letto diventato per lei una prigione, dove era un inferno resistere e sostenere l’ingombro del marito, con la sua indifferenza e la sua puzza di fumo e di vino. Forse quel tradimento che stava per compiere le avrebbe sciolto ogni inibizione, le sarebbe stato meno insopportabile accettar da lì in avanti quella condizione. Forse … Ma dopo quel debutto che stava per iniziare, avrebbe potuto poi fermarsi? E se il sospetto si fosse insinuato nella mente del marito? Cosa sarebbe successo a lei e a quello che stava per diventare il suo amante? Ma cos’era quel timore se non la conferma di essersi innamorata di Bernardo? E perché mai non ripagare il marito, che l’aveva tradita di continuo con donne e donnacce, una volta tanto con la stessa moneta? E perché sopportare che Nicola, quelle sere in cui, non avendo trovato con chi sfogarsi, ritenesse un suo diritto chieder la prova della sua fedeltà di moglie penetrandola in tutti i modi? Era stato dopo una di quelle odiose costrizioni che Paola capì che il suo corpo avesse sofferto l’ultimo insulto e aveva preso la decisione di fissare a Bernardo quell’appuntamento alla baracca del nonno. Sì, nelle braccia del cognato l’aveva spinta lui: prima imponendole d’accettarne la presenza, poi riservandole quel trattamento sempre più disgustoso e degradante. Era giunto il momento per Paola di salvar la sua vita.

In quel preciso momento Paola percepì il sentore di un passo sul terriccio bagnato che s’accompagnava al fruscio della corrente.
Dischiuse la porticina della baracca e si trovò Bernardo, un figurino in un abito scuro, con camicia azzurra e cravatta blu come si conviene a un impiegato bancario uscito dal lavoro.
“Hai fatto tardi” gli si rivolse Paola, accennando a un sorriso.
Anziché rispondere, Bernardo le si strinse alla vita e cominciò a baciarla.
Paola si adagiò nella branda alzando la gonna e osservò Bernardo mentre pian piano si spogliava, riponendo in ordine sulla prua di una barca i suoi abiti. Quella sera Paola si sdraiò nel letto come una puttana e vi si alzò come una vergine. Dopo tanto tempo era stato bello. Per entrambi. A malincuore si lasciarono con un ultimo bacio. Se ne andò mentre Bernardo si rivestiva.

Erano le dieci quando Paola aprì la porta di casa. Allungò la mano verso lo stipite per accendere la luce, ebbe paura che il marito fosse già in casa. Era stata all’ospedale, dalla zia malata. La scusa era pronta e, se fosse stato il caso, se ne sarebbe servita. Temeva che Nicola fosse già rientrato e di trovarlo sprofondato nel letto a chiederle il motivo dell’ora tarda. Ma più ancora temeva che Bernardo, il quale abitava ancora con loro, rientrasse troppo presto ad alimentare il sospetto che fossero usciti insieme. La promessa con cui lasciandosi l’aveva scongiurato era che rientrasse il più tardi possibile. Tuttavia le richieste, prima mormorate tra un bacio e l’altro, poi pronunciate con la forza di un’adultera, affinché continuasse a restar lì, nella baracca, almeno per un po’ di tempo, le martellavano la testa. E se le parole d’amore avevano avuto su di lei la loro importanza, più ancora ne aveva avuta quel dubbio, sussurratole prima quasi per caso, poi con l’insistenza di una condanna. E cioè che forse di stare insieme, dopo quella sera, non avrebbero dovuto più avere l’occasione. “A meno che tu” le aveva detto Bernardo “non voglia arrischiare, come può arrischiare ogni donna pur di assecondare il proprio amore”.
Arrischiare? Arrischiare la gelosia e la violenza del marito che, se mai avesse avuto sentore della loro tresca, sarebbe stato il coltello e solo il coltello che avrebbe usato? Arrischiar la vergogna d’esser messa fuori di casa? E non sarebbe stata quella la conseguenza più grave, tanto ormai vivere in quel modo le era diventato pesante. Ma avrebbe potuto prospettarsi che Bernardo fosse disposto a tenerla con sé in una nuova casa e per sempre, nonostante la differenza di dodici anni di età. C’era anche il dubbio che, finita la passione del momento, lui se ne sarebbe andato al suo destino in quanto spirito libero che libero sarebbe rimasto con il diritto di rimpiazzarla con una donna molto più giovane di lei.
Infine entrò in camera e prese a fissare il letto così come le stava davanti, intatto cioè e vuoto. La fortuna l’aveva favorita! “Svestiti, su” si disse “in fretta, prima che dal ballatoio arrivi il suo passo e col suo passo il suo odore acre e insopportabile”.
Aveva cominciato a slacciarsi la camicetta senza neppure curarsi d’accender la luce della stanza, ma servendosi di quella che, oltre la porta, menava la lampada della cucina. Si sarebbe coricata accanto al vuoto, dove di lì a poco un’ombra avrebbe gettato in qualche modo le ginocchia, si sarebbe svestita, facendo scricchiolar tutto come se ogni volta volesse violare la pace e così affermare la propria autorità. Lui, che da quella sera in poi avrebbe dovuto sorvegliare perché la gelosia non glielo armasse. Quando di lì a poco si decise a entrare nel letto, s’interrogò sul come comportarsi, sul come fingere quando sarebbe arrivato. Poi si sentì vinta dalla stanchezza, serrò gli occhi e si predispose a riviver ogni gesto di ciò che poco prima, nuda e fremente aveva fatto con Bernardo.
Il rumore della porta che s’apriva … Trattenne il respiro. Non poteva che essere lui, Nicola. Bisognava dunque tener gli occhi ben chiusi e finger di dormire. Ma s’era sbagliata. Doveva essere Bernardo. Fin lì, per cinque anni Nicola, entrando, aveva sempre acceso la lampadina della cucina. Ora invece la luce che attraverso lo spiraglio della porta finiva nella stanza era quella del piccolo paralume posto di lato alla branda della cucina. Di Bernardo seguì i passi e i gesti, ne sentì le scarpe cadere una dopo l’altra sulle piastrelle, poi il fruscio della camicia che veniva tolta, poi quello dei calzoni. Quindi ne avvertì il passo avvicinarsi, cauto e ovattato e, giunto alla porta, fermarsi. Poi lo scricchiolio della maniglia che si fletteva e, a una certa altezza, due occhi chiari che la osservavano.
Quantunque avesse ben compreso cosa sarebbe accaduto, rimase dov’era e solo quando il cognato le venne vicino e le si strinse addosso sussurrando “Ti voglio ancora”, tentò d’alzarsi.
“Che fai” mormorò con la voce strozzata dal terrore “Va’ nella branda!”.
“No, Paola, lasciami qui, Nicola sarà all’osteria. Tarderà ancora …”.
Ormai Bernardo le aveva preso la testa tra le mani e cercava di tenerla ferma così da poterla baciare. A un certo punto, con un colpo le tirò indietro le coperte.
“Mi vuoi bene?” le chiese mentre cominciava a baciarla attorno al collo e sulle spalle.
“Torna nella tua branda, disgraziato! Qui non è possibile!”.
“Non aver paura” aggiunse, mentre con desiderio continuava a stringerla “Basta esser scaltri e nessuno saprà niente. E adesso promettimi che quando te lo chiederò verrai ancora con me. Perché se non verrai, sarò io a parlare”. Paola esitò un momento, poi, comprendendo che solo così sarebbe riuscita a mandarlo via, fece: “Sì, te lo prometto Ma adesso va’, va’ nella tua branda!”.
Il suono del citofono sigillò il loro colloquio.
“Chi sarà mai?” si allarmò Paola e corse a piedi scalzi verso il ricevitore.
“Sì, pronto!”.
“Sono il maresciallo Gasparri, lei è la Signora Paola Montardi?”.
“Sono io”.
“Bene, mi faccia salire, ho da consegnarle un documento”.
Paola fece scattare l’apriporta della palazzina e disse, scandendo le parole: “Terzo piano, scala a sinistra!”.
Si diresse verso la porta d’ingresso mentre Bernardo, che si era infilato un pigiama, la seguiva.
Due uomini in divisa da carabiniere, si presentarono sull’uscio. Paola li fece entrare.
“Signora Montardi, le devo comunicare una notizia infausta, sono dispiaciuto, ma fa parte del mio mestiere”.
“Mi dica, Maresciallo, che cosa è accaduto?”.
“Purtroppo, suo marito Nicola e deceduto questo pomeriggio in garage mente un camion faceva manovra. E’ rimasto schiacciato… Il conducente non l’aveva visto. Un incidente e una fatalità!”.
Paola sgranò gli occhi e si mise le mani alla bocca appoggiandosi a Bernardo che pure era sbiancato.
“A che ora è accaduto?”.
“Poco prima delle diciannove. E’ stata subito chiamata la Croce Verde di Tavazzano, che l’ha portato al Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore di Lodi, ma si è capito subito che non c’era più niente da fare. Abbiamo cercato di rintracciarla, ma suo marito non aveva documenti con sé e abbiamo dovuto aspettare il rientro del suo datore di lavoro per identificarlo e risalire a lei. Ecco il motivo dell’ora tarda”.
“E dove si trova ora?”.
“E’ all’obitorio dell’ospedale, proprio accanto al Pronto Soccorso”.
Il Maresciallo le fece firmare un verbale di cui depose una copia sul tavolo.
I due carabinieri se ne andarono così come erano venuti.
“Paola tremava e si strinse forte a Bernardo”.
“Non ti affliggere, Paola!”.
“Perché dovrei? Ora sarai solo per me, il destino ci è venuto incontro”.
“Non hai alcun dubbio?”.
“Ne avevo, Bernardo, ne avevo … Ma ora il dubbio più grande è … svanito”.
25/06/2017​IL DUBBIO DI PAOLA​Pagina 7


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