“La perizia” di Marvin Menini


 

 

La guardia bloccò la mano del suo collega: stava per girare la chiave della porta elettrica e permettere alla psicologa l’ingresso nel carcere.
”No, aspetta. Lasciamela guardare ancora un po’, dai.”
Attraverso la telecamera di sorveglianza, poteva togliersi lo sfizio di farlo senza provare imbarazzo.
”Cazzo quanto è figa”
L’altro si liberò dalla presa, con un “piantala, insomma” girò la chiave. La dottoressa  Sabina Romei entrò nel penitenziario. Percorse il corridoio con passo lento e movenze gentili da felino mansueto, lasciando ondeggiare i fianchi generosi ma proporzionati. Nell’aria, esplose il suo profumo: dolce ma non stucchevole, con note di muschio bianco e bergamotto. Si aggiustò i lunghi capelli neri portandoli dietro all’orecchio e salutò il secondino più giovane con un sorriso timido.  Lui non perse l’occasione di tirare indietro la pancia e sfoderare il miglior sguardo guascone possibile.
”Buongiorno dottoressa. Bella come sempre eh?”
Sabina sorrise ancora e ringraziò. Pensò che gli uomini erano proprio prevedibili, non serviva una laurea in Psicologia. Guardò il secondino.
”Mi vuole perquisire?”, chiese, mostrando tutto l’impaccio dei suoi trent’anni scarsi in quella frase.
Oh, quanto lo vorrei, pensò il poliziotto. Quanto lo vorrei…
”Ci mancherebbe dottoressa, lei ormai è di casa qui.”
Sabina sorrise. Aprì la ventiquattr’ore ed estrasse una stilografica della Mont Blanc nera ed oro. Il secondino rimase a guardare la mano di Sabina mentre firmava il registro, e fantasticò su che cosa avrebbero potuto fargli quelle lunghe dita dalla carnagione chiara ed unghie ben curate lucide e smaltate color fango.
”Chanel 505, Particulière”, disse Sabina.
”Scusi?”
”Il colore del mio smalto. Ho notato che lo stavate fissando.”. Terminò la frase spalancando un altro sorriso. Il secondino arrossì, l’altro gli rifilò una gomitata nel fianco.
”Lo scusi, dottoressa. Non siamo abituati alle visite di belle ragazze come lei.”, commentò. Poi, folgorò il collega con uno sguardo elettrico.
”L’avete già messo nella saletta?”
Il giovane si schiarì la voce e si ricompose.
”Si dottoressa, la sta aspettando. Le faccio strada”
Percorsero un lungo corridoio bianco ed umido: era illuminato a giorno da plafoniere al neon che vomitavano una luce algida e sterile. Il puzzo di chiuso e marcio, che veniva dal controsoffitto ammorbato dalla muffa, prendeva alla gola.
Il secondino pensò che avrebbe voluto starle dietro, altro che farle strada. Avrebbe potuto guardarle il culo qualche secondo in più. Arrivarono in prossimità di una saletta. La guardia girò la chiave e lasciò passare la dottoressa. Il suo paziente la stava aspettando. Nella stanza c’erano solo una scrivania di metallo e due sedie.
Su una di esse sedeva, ammanettato alla scrivania, un uomo dai capelli cortissimi e bianchi a cui non era facile dare un’età. Aveva un fisico muscoloso, teso ed asciutto, due braccia piene di vene gonfie ed in rilievo. Le rughe e le cicatrici sul viso gli gettavano sulla schiena molti più anni di quanti ne avesse. Sul collo, proprio sotto all’orecchio destro, aveva tatuato il numero 88. Sollevò la testa per guardarla e la avvolse con occhi nocciola, luminosi e roventi.

Lei congedò il secondino, chiuse la porta ed attese che la guardia si allontanasse. Controllò dallo spesso vetro sulla porta che nessuno li guardasse. Nella stanza, destinata ai colloqui con i periti e la difesa, non c’erano telecamere.  Posò la valigetta e si tolse la giacca del tailleur. Da sotto, la camicetta bianca faceva fatica a trattenere il seno, che spuntava tra le pieghe dei bottoni assieme ad un reggiseno a balconcino. Si avvicinò al detenuto, fissandolo in silenzio. Di colpo gli si gettò a cavalcioni, iniziando a baciarlo con avidità sulle labbra e sul collo. Lui ricambiò, chiudendo gli occhi per il piacere e mordendole il labbro. Le mani di lei gli aprirono la camicia, posò le labbra su uno dei capezzoli dell’uomo e lo tirò.
”Quanto mi sei mancato amore mio”
”Anche tu piccola. Vorrei avere le mani libere…”
Lei rise.
“Solo le mani?”
”Se il nostro piano andrà in porto, se te la sentirai, avrai tutto.”
Sabina lo strinse forte e si lasciò scappare un mugolio di approvazione.
Rimasero in silenzio per qualche istante, che ad entrambi parve non finire più, e continuarono a baciarsi come se non potesse più accadere in futuro.
Dopo poco Sabina si alzò e si mise a sedere di fronte a lui, sistemandosi capelli e camicia. Prese un lungo respiro.
”Lo farò. Scriverò nella mia perizia che sei incapace di intendere e di volere. Questo ti permetterà di evitare il carcere. Finirai in un ospedale psichiatrico.”
Gli occhi del detenuto si accesero, come se dentro ai suoi occhi fosse esplosa una tanica di benzina.
”Da lì mi sarà facile uscire, e scapperemo assieme amore mio”
La dottoressa Romei si alzò, mise le mani sui fianchi e gli diede le spalle.
”Però ho bisogno di sapere perché l’hai uccisa.”
Si girò di scatto. L’uomo la stava guardando.
”Vuoi davvero la verità?”
”Sì. Ho bisogno di saperlo. Perché hai ucciso Monica Piana?”
L’uomo ghignò, quasi con sadismo, scoprendo un canino d’oro e socchiuse gli occhi. Sembrava una bestia feroce, immobile e placida prima della furia. Prima dell’attacco alla sua vittima.
”Perché era una fottuta lesbica”
”Tutto qui?”
”No, hai ragione. Una fottuta lesbica ebrea. Ma tu mi capisci amore mio, lo so. Odi anche tu quella gentaglia, me l’hai sempre detto. Fin da quando abbiamo capito che per te non era solo lavoro”.
Sabina aprì la borsa, iniziò a rovistare con nervosismo ed estrasse ancora la sua Mont Blanc e dei fogli.
”Già,  per me non è mai stato solo lavoro.” disse.
Si sedette di nuovo a cavalcioni su di lui, gli passò le mani tra i capelli a lungo. L’uomo chiuse gli occhi, si rilassò. La psicologa spalancò gli occhi, dilatò le narici.  Scoperchiò con un gesto rapido la Mont Blanc ed infilò il pennino nell’occhio destro del carcerato. Affondò la stilografica finché non sentì l’osso della nuca grattare sulla punta. Tenne premuto ancora. L’uomo sussultò, provò a dimenarsi per un istante, tentò di urlare. Sabina retrasse la penna. La testa ed il cervello di Nick Manfredi, stupratore seriale e neonazista, scivolarono in avanti.
”Questo è per te, Monica. Ti ho vendicata, amore mio.”


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