"La scomparsa di Ivan" di Nicoletta Retteghieri


Ivan non si trova. Oramai sono ventiquattro giorni, li ho contati. Sto facendo i compiti, e la mamma non si accorge che ho un occhio sul quaderno ed un altro fisso là, fuori dalla vetrata, dove c’è il nostro giardino, dove c’è la strada con altre case con altri giardini. Guardo fuori perché c’è ancora la polizia che gira, cerca, fa domande. Ed anche i giornalisti, solo che quelli li fanno avvicinare poco. A me non piace tanto parlare coi giornalisti, ho sentito dire che stravolgono le cose, che non sempre scrivono quello che gli dici. E poi come fai a spiegare al mondo che tu avevi detto tutta un’altra cosa? Invece coi poliziotti mi piace parlare; ti trattano sempre bene, con un mucchio di sorrisi, e rispondono alle tue domande, anche se sono loro che dovrebbero fartele.
Mamma e papà cercano però di farmi parlare il meno possibile con tutti; da quando Ivan è scomparso sono agitati, nervosi, e soprattutto non mi lasciano più uscire solo di casa. A me questo, è normale, dà parecchio fastidio, considerato anche che ho undici anni e non mi caccerei mai nei guai. Ivan ne ha solo nove, quindi non è la stessa cosa. I miei genitori non parlano apertamente con me di certe cose, ma io le ho sentite, so che in questo quartiere adesso pensano tutti che ci sia un “pedofilo”; è così che si chiamano. Veramente io la prima volta avevo capito “perofilo” e la cosa mi faceva un po’ ridere perché mi chiedevo cosa c’entrassero le pere, poi invece ho capito il nome giusto e so che questi uomini fermano i ragazzini e gli vogliono fare delle cose, e poi se sono proprio matti li uccidono anche.
Io per esempio sto alla larga da Morelli, il bidello. Non è che mi abbia mai fatto qualcosa, ma non so… ha una faccia quello lì… non mi piace. La mamma dice sempre che non bisogna giudicare le persone dall’aspetto, ma io questa cosa me la sento dentro, è più forte di me, e poi non mi costa neanche molto starci alla larga.
Anche a scuola l’atmosfera non è allegra e le lezioni sono molto più pesanti. Con i compagni parliamo di quello che è successo e nessuno di noi ha il coraggio di andare vicino alla casa di Ivan, perché non saprebbe cosa dire ai genitori. Una volta sono passato di là in macchina con papà e ho visto la mamma di Ivan in lacrime, che parlava con una tizia. Penso che rimarrei di sasso di fronte ad una scena così, e poi sono solo un bambino, queste cose di andare a consolare le fanno i genitori.
Quello che mi manca di più adesso è andare alla casa Fischer nella zona della discarica. È un posto vecchio e abbandonato, ma è bello andarla ad esplorare. I miei, che comunque mi hanno sempre detto di non andarci, mi hanno raccontato che in passato era appartenuta ad una specie di generale o ammiraglio, uno che era molto ricco e viveva in questa grande villa e che poi è morto mezzo in miseria e senza parenti. La villa è andata in malora e forse l’ha presa il Comune; sta di fatto che nessuno si è più preso la briga di aggiustarla o di tagliare le erbacce in giardino, e così noi ci andiamo a cercare tesori. Federico dice che Fischer non poteva avere perso tutti i suoi soldi o i suoi oggetti preziosi e che qualcosa doveva avere nascosto. Oscar invece viene sempre con noi, ma dice che non c’è niente da trovare, dice che quel posto gli sembra bello solo per avere un nostro quartier generale, una cosa un po’ ufficiale, per così dire. Nessuno di noi lo ha detto ai genitori, altrimenti sai che palle. Ma io poi ci sono andato tante volte anche da solo ed ho scoperto delle cose che non ho detto neanche agli altri.
La cosa più eccitante è stata la seconda cantina. Cioè, c’è quella che abbiamo visitato con Fede ed Oscar dove ci sono tutti quei pezzi di legno e avanzi di lattine e insomma un mucchio di schifezze. Ma poi un giorno che ero da solo e che mi ero infilato ben bene tra i cespugli di quella specie di giungla, avevo trovato quest’altra porticina in legno, mezza scassata. Però io non ho mai paura e avevo la mia torcia con me e così l’ho aperta ed ho sceso le scale ed ho trovato quest’altra cantina, o almeno penso fosse una cantina, dove ci sono ancora adesso vecchi mobili puzzolenti, ma sempre mobili. Per esempio una libreria piena di libri ammuffiti. A me hanno detto che se vendi libri antichi ti danno un sacco di soldi ed in effetti ho deciso di informarmi. Poi ci sono anche vestiti pieni di buchi e di bozzoli di insetti. Ho visto anche qualche topo, però non di quelli grossi, di quelli che gli puoi portare il formaggio e cercare di avvicinarli senza che ti portino via la mano con un morso.
Insomma, quello mi sembrava un posto tutto mio ed è per questo che non ne ho mai parlato con nessuno. Peccato che sia quasi un mese che non ci vado. Capisco anche che la gente sia preoccupata e che noi ragazzi siamo tenuti d’occhio. Però è anche vero che Ivan tanto furbo non è; tutti noi abbiamo sempre pensato che non fosse tanto sveglio. Mi ricordo quella volta che abbiamo messo le puntine da disegno sulla sedia di suo nonno e siamo scappati e lui era d’accordo con noi, però poi non è scappato, è rimasto lì, e così il nonno si è incazzato e se l’è presa con lui, e lui è stato capace solo di frignare, senza neanche riuscire a dire che la colpa era anche nostra. Meglio per noi, comunque.
Oppure quando lo abbiamo convinto a fare il bagno nel laghetto nudi e poi Fede gli ha nascosto i vestiti e poi abbiamo chiamato le ragazze. Lui non sapeva più cosa fare e frignava, frignava, poi buon per lui che c’è stata la Alessia che gli ha lanciato i calzoni. Le donne si inteneriscono sempre. Samantha dice che non capisce come mai Ivan sia sempre nostro amico e io rispondo che tanto che altri amici potrebbe avere uno imbranato così? In fondo lo facciamo stare con noi, lo abbiamo anche fatto venire al circo, beh… anche se poi gli abbiamo messo in mano una banana e lo abbiamo cacciato in mezzo alla pista, con tutta la gente che rideva, ma poi qualcuno di loro lo ha tolto di là, sempre frignante naturalmente, e ce ne ha dette di tutti i colori.
A me sembra che tra amici si scherzi, non è normale? Anche a me hanno fatto gli scherzi, ma io mica mi sono mai messo a frignare, neanche quando avevo nove anni, per giunta. Invece Ivan non sa fare altro. Ha cominciato a frignare anche quel giorno, cioè ventiquattro giorni fa. Gli ho ben detto che era uno scherzo e che lo legavo a quello schifoso letto per il suo bene, per farlo stare un po’ da solo e così sarebbe diventato un coraggioso e anzi gli stavo facendo un favore perché poi lui avrebbe potuto raccontare che era stato capace di rimanere al buio e coi topi o con chissà che altro striscia in quella cantina, magari chi lo sa… con un idea geniale si sarebbe potuto liberare… Ma io i nodi li ho fatti belli stretti e poi lui non è stato capace di resistermi neanche tanto, quindi l’ho potuto legare ben bene come un salame. Avrei anche potuto non mettergli il bavaglio, ma non sopporto quando frigna e così peggio per lui. Anche se fosse riuscito a toglierselo, chi lo sentiva?
Il problema è che adesso non so che fare, cioè prima o poi dovrò ritornare in quel posto e non so cosa troverò. Non perché abbia paura, ma non so davvero come sarà ridotto Ivan, magari i topi lo avranno mangiato. Non vorrei neanche che qualcuno scoprisse il mio segreto; quel posto deve rimanere solo mio e anche quello che ci faccio dentro. Solo non sopporto l’idea che ci sia ancora più puzza e ancora più sporco; forse dovrei decidermi a farci un po’ di pulizia.
Appena mi lasciano uscire da solo comprerò scope e detersivi, ma al discount, così non mi mangio tutta la paghetta.


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