“Lame assassine” di Roberto Mistretta


La porta dell’ufficio del maresciallo Bonanno si aprì di botto e il brigadiere Attilio Steppani irruppe con stampata in faccia la mala notizia.
“Hanno trovato a uno macellato!”
“Che t’inventi, Steppà?” disse Bonano.
“In contrada “Tana di volpe”. Preparo la jeep?”
“Chi lo segnalò?”
“Marescià, in quella zona bazzicano solo quelli che acchiappano uccellagione vietata e le coppiette clandestine. Lei che ne deduce?”
“Prepara quella schifiu di jeep”.

Arrivarono sul posto dopo otto chilometri di curve abbordate alla Steppani, con le ruote della jeep che fischiavano e le budella di Bonanno che si pigliavano a sberle da sole per non scantonare dal gargarozzo.
“Steppà, se al ritorno ti avvicini al posto di guida ti sparo in un occhio”.
I carabinieri scelti Cacici e Brandi si presentarono a rapporto.
“Dove sta il morto?” chiese il maresciallo.
“Sotto quell’ulivo, ma non è un bello spettacolo, c’è sangue dovunque. Un macello”.
“Sappiamo chi era?”
“Non abbiamo toccato niente senza l’autorizzazione del magistrato”.
“Ti autorizzo io, Cacì, fammi strada”.

Cosa c’era andato a fare Camillo Zammarano, primario di Ostetricia e ginecologia in contrada “Tana di volpe”? Chi gli aveva teso quella mortale imboscata? E soprattutto chi poteva avercela tanto con lui da spaccargli il cuore e mozzargli le mani?
La rapina era esclusa: sul morto avevano trovato soldi e gingilli d’oro.
Che ci fosse andato per sollazzarsi con una intoccabile? Le mani mozzate avevano un significato tribale ben preciso. L’esito dell’autopsia non aggiunse molto: lo avevano macellato con una lama affilatissima. Gli aveva spaccato il cuore di netto. Forza bruta e costole trinciate. Le mani le avevano mozzate quando ancora agonizzava. Coltello e roncola. Lame assassine.

Quarantotto anni, maritato, padre di tre figli, il ginecologo conduceva vita irreprensibile. Primario in ospedale, gestiva inoltre due studi privati, a Villabosco e Canicattì, dove risiedeva.
Gli studi funzionano a pieno regime e i piccioli circolavano. Zammarano era ricco, taccagno e metodico. Vacanze sempre al solito posto, nel mese di settembre, con la famiglia.
Bonanno non trovò niente in ospedale e neppure nei due studi privati. Una settimana persa senza fare un solo passo avanti. Lo sbirrume lo mozzicava come un cagnolo arraggiato. Stufo di spiaccicare zanzare, decise di darsi una mossa.
“Cacì, piglia una macchina, andiamo a fare un sopralluogo”.

“Tana di volpe”, per i locali ‘Ntana di vurpi’.
Bonanno, andando avanti e indietro, osservava i sassi e il secolare olivo saraceno sotto cui avevano trovato Camillo Zammarano. Cercava qualcosa, ma non sapeva nemmeno lui cosa. Si dissetò alla roccia dove sgorgava acqua fresca e lasciò che lo sguardo spaziasse tra i campi ingialliti di ristoppie, oltre il trecentesco castello e la rocca di san Paolino, fin dove le case di Villapetra si susseguivano aggruppate come agnelle.
La radio gracchiò. Cacici rispose e impallidì.
“Maresciallo, meglio che venite subito”.
“Che succede Cacì?”
“Hanno trovato a uno morto, alla vecchia stazione di Bonanotti”.
“Morte naturale?”
“Non credo proprio”.

Caliddro Scamacca aveva ventisette anni e un avvenire come avvocato se qualcuno che doveva odiarlo a morte non l’avesse macellato come un capretto. Lo avevano fatto a pezzi, letteralmente. Il medico legale, Paternò, fece inorridire Bonanno quando gli elencò tutte le mutilazioni che aveva contato su quel che restava. Per primo un colpo di coltello dritto al cuore e poi lo scempio.
Coltello e roncola.
Bonanno sacramentò: “Steppà voglio sapere tutto di questo picciotto, magari il nome del parrino che ci dette la prima comunione, intesi?”
“Le interessa anche quello che l’ha battezzato?”
Prima che potesse replicare, Steppani si era infilato in macchina ed era partito sgommando alla brucia copertoni.
Il giorno appresso Bonanno trovò sulla scrivania il rapporto di Steppani. Spiccavano due nomi.
“Steppààà” vociò.
“Capperi, va a fuoco la caserma?”
“Che schifio significassero quei due nomi?”
“Sono i nomi dei due preti, come da lei espressamente richiesto”.
“Steppà, porcazza miseria…” s’imbestialì Bonanno.
“Torno subito” disse il brigadiere squagliandosela.
Bonanno restò come una cozza. Steppani rientrò con due fumanti caffè.
“Lo aggiorno a voce o preferisce spararsi quel malloppo?” domandò provocatorio indicando il rapporto.
“Spara”.
“Caliddro Scamacca era orfano e senza altri parenti. Laureato in legge, stava ultimando il praticantato presso lo studio dell’avvocato Micalizzi. Un giovane a posto. Era fidanzato con Marinella Marchisciana, si volevano bene e pensavano di sposarsi, ma poi successe quel guaio…”
“Che guaio?”
“Si è tolta la vita!”
“Minchia, e comu fu?”
“Impiccagione, pare che soffrisse di depressione”.
“E tu accussì me lo dici?”
“Se vuole glielo canto”.
“Parenti ne aveva la picciotta?”
“Padre, madre, fratello gemello e nonno rimbambito”.
“Li sentisti?”
“La jeep è parcheggiata qua sotto, se vuole andiamo subito.”
Tre minuti dopo il gippone filava diretto in contrada “Testa di becco”, dove viveva la famiglia Marchisciana. Lo sbirrume azzannava Bonanno ad ogni curva.
In casa Marchisciana erano addolorati.
“Quel povero figlio!” disse Catirina Paternostro accasciata sul divano. Al petto prosperoso stringeva una foto. Ritraeva Caliddro e sua figlia, Marinella, abbracciati e felici.
“Non c’è pace in questa casa maresciallo, a noialtri la notte di San Lorenzo ci porta male. L’anno scorso mancò Marinella, a distanza di un anno preciso pure Caliddro. Che jattura!” aggiunse Minico Marchisciana, il padre di Marinella, calandosi un rosolio all’ammazza bovini.
I due piangevano lacrime sincere. E se non erano sincere fingevano a meraviglia. Raccontarono a Bonanno di Caliddro e Marinella, dei loro progetti per il futuro. Una bella casa in campagna e almeno tre figli da crescere per la gioia dei nonni. Poi, da un giorno all’altro, la depressione e il suicidio.
“Tre mesi le durò maresciallo! Una mattina non la trovammo nel suo letto. Si impiccò a quell’olivo. Quando ci penso non mi pare vero. E ora quest’altra disgrazia”.
Bonanno adocchiò il fratello gemello di Marinella, seduto in disparte, indifferente a quel trambusto. Poco distante il nonno, abbandonato sulla poltrona, ronfava alla grossa.
“Tu che mi dici giovanotto?”
“Che ci devo dire, maresciallo… se qualcuno lo ammazzò, forse Caliddro non era tanto santo come voleva fare credere”.
“Che stai dicendo?” lo rimbeccò la madre.
“Lo lasciasse parlare signora. Spiegati, giovanotto, che vuoi dire?”
“Non s’ammazza senza motivo!”
“Basta, Alfonso, basta” lo implorò la madre.
“Ora finiscila” gli intimò il padre.
“La vulite finire con ‘sta camurria?” si lamentò il nonno ridestato dalle vociate.

Bonanno fumava peggio di un camino intasato. Gli sfuggiva qualcosa, ma cosa?
E poi quella data maledetta: la notte di San Lorenzo s’era impiccata Marinella e dopo un anno esatto, qualcuno aveva squartato Caliddro Scamacca. Per non parlare del dottore Camillo Zammarano a cui avevano mozzato le mani, sotto un olivo, come quello dove s’era impiccata Marinella.
Coltello, roncola e un olivo: che legame tra le due ammazzatine?
Verificò i ricoveri degli ultimi anni in Ginecologia, il nome di Marinella Marchisciana non compariva. Controllò i due studi privati. Niente. Non tenevano registri delle pazienti e le ostetriche non avevano mai visto Marinella.
Nessuna voce circolava su eventuali relazioni o rapporti illegittimi, niente di niente, nessun punto d’incontro tra la giovane suicida e il ginecologo, né tra Zammarano e Caliddro. Nessuna relazione apparente tra i due omicidi.
Comprò La voce provinciale e si sparò per tre volte di seguito l’oroscopo. Qualcuno potrebbe intervenire a vostro favore ed aprire una porta chiusa. Attenti alla linea. Non fidatevi di nuovi conoscenti. Peggio che appartarsi sotto una mietitrebbia. Altro che porte chiuse e amici che le aprivano, quei due omicidi erano un rompicapo. Con quella canicola poi…
La vide così, per caso, senza nemmeno accorgersi che la stava fissando: la foto di Marinella sorrideva dalla pagina dei necrologi. Sospirò. Com’è difficile vivere, si disse. Arrivò a casa distrutto dal caldo. Gettò il giornale sul tavolo e sedette di schianto.
Sua madre, donna Alfonsina gli allungò una birra ghiacciata e fissando la foto di Marinella commentò: “Povera figlia che pena mi fece quando s’ammazzò, era tanto giovane”.
“Chi lo può sapere quello che gli passa per la testa ai giovani.”
“Parole sante Savè, povera figlia…e dire che quando la vidi quella volta pareva tanto contenta”.
“La conoscevi? E dove l’avessi vista?”
“Nello studio del dottore Zammarano, quello che ammazzarono, pure lui chi mala morte…c’ero andata per un controllo e quella povera figlia stava uscendo, teneva gli occhi che le luccicavano dalla contentezza”.
A Bonanno il sangue schizzò dritto per la criniera. Fece il terzo grado a sua madre: non c’erano dubbi, aveva visto davvero Marinella in quello studio.

Solida e rigorosa, Mela Fiaccabrino aveva assistito per anni Zammarano nel suo studio a Villabosco. Bonanno si presentò con due occhi parati a caccia grossa. L’ostetrica capì che era venuto il momento di vuotare il sacco.
“Ha scoperto ogni cosa vero?”
“Se non canta subito le faccio passare un guaio. Perché non mi disse che Zammarano conosceva a Marinella Marchisciana?”
“Se ci rispondo segreto professionale, che succede?”
“Che la porto in caserma e la denuncio. Allora?”
“Aborti clandestini, marescià. Io non volevo, ma Zammarano mi disse che potevo cercarmi un altro travaglio. Io sono vedova e mantengo quattro figli all’università, che potevo fare?”
“E questo che c’entra con quella povera ragazza?”
“La picciotta era tutta contenta quando aveva saputo che aspettava un picciriddo, ma il giorno appresso era tornata: voleva abortire. Aveva sganciato tremila euro e Zammarano procedette. Poi forse s’era pentita e fece quella fesseria, cose che succedono…si pigliasse un biscotto riccio marescià, è la vita” disse l’ostetrica offrendogli un dolcetto.
“Si strafogasse” replicò Bonanno.

Il disgusto lo divorava mentre guidava e fumava.
Era lampante: a distanza di un anno esatto, il fratello aveva vendicato la sorella. Aveva letto qualcosa sui fortissimi legami tra fratelli gemelli, ma dov’erano le prove? Non seppe mai quanto tempo aveva perso, indeciso sul da farsi, prima che Steppani lo abbordasse alla sua maniera.
“Marescià, hanno sventrato l’ostetrica Fiaccabrino”.
Ogni indecisione fu cancellata all’istante: “Andiamo a pigliare ad Alfonso Marchisciana”.

In Centrale, il giovane giurò e spergiurò: “Di quale minchia d’aborto parlate? Mia sorella certe cose non le avrebbe mai fatte prima di maritarsi”.
Bonanno e Steppani si squadrarono: o era all’antica o era un minchione.
La donna scompigliata irruppe nell’ufficio di Bonanno.
Era la mamma di Alfonso e Marinella. Fornì l’alibi al figlio e raccontò al maresciallo di quando sua figlia, al culmine dello sconforto, le aveva confidato che aveva abortito, convinta dalla mammana. Per interesse.
“Troppe ne aveva combinate quella grandissima zoccola e qualcuno le fece la festa. Era ora!” disse sputando per terra.

Mentre Bonanno non si raccapezzava, un vecchio dallo sguardo acquoso si soffermò davanti una foto sorridente. Con delicatezza adagiò sul marmo una magnifica lama di Toledo e una roncola. Erano lorde di sangue.
Manuele Paternostro, nonno materno di Marinella lacrimava e nel silenzio del cimitero quei singhiozzi soffocati si perdevano tra i cipressi immobili.
Quel lontano pomeriggio di un anno e tre mesi prima, aveva sentito Marinella confidare le sue pene. Le era andato dietro e aveva raccolto l’altra parte di verità, quella che non aveva avuto il coraggio di dire a sua madre.
Uscendo dal ginecologo, Marinella era corsa da Caliddro per dargli la bella notizia, ma l’aveva trovato nello studio con la segretaria, impegnati a curare tutt’altre pratiche. Il giorno appresso era tornata dal ginecologo e aveva abortito, lasciando anche il suo cuore tra i ferri insanguinati di quel macellaio prezzolato, obiettore di coscienza in pubblico e abortista in privato.
Tre mesi era durato il suo Calvario. Poi, s’era data la morte.
Tutti erano colpevoli, tutti dovevano pagare. Tutti avevano pagato.
Zammarano lo aveva sistemato sotto l’olivo, come un maiale.
Con Caliddro era stato diverso, gli aveva voluto bene. E pure Marinella gliene aveva voluto: aveva pagato coi dovuti interessi. E pure la mammana era stata servita: sbudellata!
Il vecchio tira fuori un fazzoletto. Lucida il portaritratti di Marinella, lei pare sorridergli. Solo a lui. Il vecchio cambia l’acqua ai fiori, butta via quelli secchi e ne mette di nuovi, poi si siede e aspetta. Un raggio di sole guizza sui suoi occhi spenti e sulle lame.
Brillano fredde, fino a quando il guizzo dorato si sperde tra le fronte indifferenti.


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