"Il circo degli orrori" di Diego Collaveri


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Accadeva ogni anno sempre nel pieno dell’estate. L’afa non allentava la sua morsa nemmeno sotto il fresco della notte. Il frinire dei grilli scivolava via assieme alla luce tremula dei tramonti, mentre il sole spariva nel grano. Il vuoto della sera si riempiva del verso solitario di qualche cicala, insonne per la troppa calura.
Nessuno aveva mai fatto caso che quegli incubi tornavano sempre nello stesso periodo: la settimana prima del plenilunio d’agosto. Forse perché i bambini ne erano così spaventati da non osare farne parola con nessuno. Nell’incoscienza dei loro sonni si faceva largo pian piano una paura sempre più opprimente. La sensazione di angoscia turbava la serenità di un riposo innocente, per poi svanire al mattino, lasciando uno strano sapore sulle labbra.
Nessuno ricordava quei sogni. Immagini di orrore sventolavano confuse nella mente, come panni stesi al filo strapazzati dal vento.
Fu durante uno di quegli incubi che Tom si svegliò di soprassalto. Aveva ancora il fiatone dalla paura, mentre la mente si spogliava degli ultimi brandelli del sonno. Si mise seduto sulle lenzuola inzuppate di sudore e guardò fuori della finestra. I campi giacevano immobili attorno alla fattoria, carezzati dalla luce della splendente luna nel cielo. L’aria era ferma, satura del tempo che galleggiava dentro di lei. Lo sguardo assonnato di Tom cercò di mettere a fuoco l’unica cosa che da lontano sembrava muoversi. Alcuni carrozzoni ondeggiavano nell’orizzonte buio: il circo stava arrivando.
La felicità cancellò in un istante le ultime immagini oscure dalla sua testa. Aveva atteso per tutto l’anno quel momento. I giorni della fiera della contea erano finalmente arrivati.
La piccola carovana si posizionò strategicamente non molto lontano dal paese, al limitare di un boschetto equidistante dai villaggi della valle.
Tom era così eccitato da non riuscire a riaddormentarsi.
Il giorno seguente passò infinitamente lento, nell’attesa di quella serata speciale che alla fine arrivò.
Delle torce accese indicavano che il circo avrebbe dato spettacolo. Le piccole luci tremolanti sembravano attirare le persone come insetti notturni. Intere famiglie, indossato il vestito buono, arrivavano da tutta la valle attraversando i campi.
Tom era con suo padre. Avrebbe preferito andare da solo, ma l’uomo glielo aveva vietato.
Raggiunsero il boschetto aprendosi la strada nel grano, finché non giunse loro, sempre più forte, un’allegra melodia.
I carri erano stati disposti a semicerchio e di fronte a ognuno si esibiva il proprio artista. Uno striscione logoro, annunciante “il circo delle meraviglie”, era appeso in alto tra due pali di legno a rappresentare l’ingresso.
Il direttore, con una grossa tuba polverosa in testa, accoglieva gli spettatori girando la manovella di un carretto musicale e spandendo nell’aria quella musichetta festosa. L’uomo indossava una lunga giacca rossa, molto consumata e rattoppata. Il bianco dei lunghi baffi, tesi e dritti verso i lati della faccia, faceva risaltare ancora di più il giallo dei denti, mostrati nel sorriso ammaliante con cui salutava gli avventori.
Ogni carro aveva affisso un telo, reclamizzante l’attrazione proposta, che fungeva da sfondo per lo spettacolo.
Il cast non era di certo niente di eccezionale. C’era l’uomo forzuto; un energumeno calvo stretto in un costume da bagno a righe bianche e nere, che sollevava pesanti bilancieri d’acciaio. L’antica dama; una ragazza vestita da gran gala, come era in uso all’inizio del secolo prima, anche se i troppi rammendi dello sgargiante abito tradivano la sua reale condizione, ben lontana dai fasti interpretati.
Un prode cavaliere nella sua scintillante armatura, che declamava imprese di guerra vibrando colpi di spada a uno spaurito manichino fatto di paglia.
Il giullare saltellava facendo suonare i campanelli del suo buffo cappello, mentre roteava in aria tre pallette di cencio senza mai farle cadere.
Un mago se ne stava seduto davanti alla sua sfera di cristallo, sotto lo sgangherato cappello a punta, pronto a leggere il futuro. L’equilibrista si destreggiava saltellando sul filo teso tra due carri, per poi fermarsi sulla corda poggiando solo il palmo della mano e lasciando i presenti a bocca aperta dallo stupore.
Infine c’era il teatrino delle marionette, dove era il direttore in persona ad animare i burattini, muovendone i fili.
Tom trascinò il padre verso quello spettacolo. Lo guardò in faccia e lo vide sorridere: evidentemente alla fine si stava divertendo anche lui.
L’uomo era sempre molto nervoso in questo periodo della stagione. Era apparso preoccupato, quando il figlio gli aveva detto di aver visto il circo fermarsi non lontano. Per il piccolo rappresentava una fortuna, ma il padre non la pensava alla stessa maniera.
Il vento aveva portato molte brutte voci riguardo quel gruppo di ambulanti. Si diceva che nei luoghi dove la carovana si era esibita fosse sempre accaduto qualcosa. I più parlavano di furti, di ombre nella notte che si muovevano vicino alle fattorie più isolate.
Due anni prima, però, qualcuno aveva evidenziato un inquietante collegamento. Nei mesi successivi al circo erano state registrate strane sparizioni: un bambino da un orfanotrofio, un eremita che viveva in un bosco… Altri casi simili saltarono fuori scavando nel passato. Tutte persone solitarie o senza particolari legami, motivo per cui la loro mancanza veniva notata solo dopo tempo. Si diceva che le autorità locali avessero frugato spesso tra i cenci di quei carrozzoni, senza trovare mai alcun indizio.
Per questo il padre di Tom aveva insistito tanto per accompagnarlo: meglio esser prudenti.
Una campanella squillante annunciò l’inizio dello spettacolo dei burattini. I bambini si misero seduti davanti al piccolo palcoscenico. Il direttore fece un grande inchino e presentò le sue creature, prima di svanire accasciandosi dietro la struttura.
Il sipario si aprì e le marionette presero vita.
Tom guardava estasiato quei pupazzi che saltellavano, mossi dalle corde attaccate alle articolazioni. Era davvero sorprendente come il burattinaio riuscisse a fare tutte quelle voci diverse.
Il ragazzo era immerso nella messa in scena quando qualcosa cominciò a distrarlo.
C’era un ché di angosciante nelle voci falsate di quei pupazzi, qualcosa di già sentito. La mente si sforzava di tornare ad un ricordo che non riusciva a riaffiorare. D’un tratto gli sembrò che una di quelle marionette lo stesse guardando, con gli occhi di vetro carichi di pietà. D’improvviso sentì nitida nella testa una voce: «Aiutami, ti prego!»
Tom spalancò gli occhi, incredulo.
Il burattinaio saltò fuori del suo nascondiglio e chiuse frettolosamente il sipario sulla scena ancora in movimento, tra lo scontento dei presenti. Poi salutò invitando a tornare la sera successiva per la seconda parte della rappresentazione, come se quella interruzione fosse prevista dalla scaletta.
Tom fu trascinato via dal padre, ma per tutto il tempo che restò al circo notò che non ci furono altri spettacoli di burattini: l’attrazione era stata cancellata.
Tornati a casa il padre sembrò sollevato, ma lui continuava ad arrovellarsi. Quella voce era reale, non era stata la sua immaginazione. Era sicuro: l’aveva già sentita prima, ma dove?
La madre attribuì lo strano atteggiamento del figlio alla stanchezza dovuta all’onda di adrenalina per l’evento tanto atteso, ma Tom era tutto meno che tranquillo.
Si coricò a letto, ma non riuscì a prendere sonno. Guardò ripetutamente fuori della finestra verso quelle torce che, a tarda ora, si spensero.
Qualcosa lo tormentava. Perché non riusciva a capire cosa stava succedendo?
Puntò ancora gli occhi in direzione del circo: qualcosa sembrò muoversi nei prati, come un’ombra.
No, doveva essere la sua immaginazione.
La stanchezza di tutte quelle emozioni alla fine vinse e Tom cadde in un sonno profondo. Passò poco prima che, negli antri dell’incoscienza, qualcosa di familiare s’insinuasse nella sua mente.
Tra i sogni un rumore, una specie di melodia sgraziata, si fece strada dal silenzio fino a divenire nitida. Eccola: quella voce!
Le immagini si materializzarono nella nebbia del sonno. C’era sangue, ovunque. I corpi di alcune persone erano ridotti a brandelli, divorati da qualcosa di indefinito. Uomini, donne, bambini, che urlavano straziati, affogando nel loro sangue. Le voci di quelle grida… così simili a quelle fatte dal burattinaio.
Il volto di un bimbo, della stessa età di Tom, si affacciò tra tutto quel mare rosso.
«Aiutami! Aiutami, ti prego!» supplicava.
«No! Fuggite!» ripetevano gli altri, sovrastando con i propri lamenti l’implorante appello del piccolo. «Non avvicinatevi! Fuggite dal male!»
Tom aprì gli occhi all’improvviso, scattando seduto sul letto. Il suo volto era completamente bagnato dal sudore. Guardò fuori e vide che tutte le torce del circo erano ormai spente.
I ricordi tornarono e tutto gli sembrò chiaro. Gli incubi che lo tormentavano erano sempre gli stessi e comparivano nel medesimo periodo d’agosto.
Era la prima volta che ne aveva memoria.
Qualcosa sembrava attirarlo; voleva saperne di più.
Scivolò silenzioso fuori della porta di cucina, svanendo tra le messi immobili, alte quanto lui. Il suo incedere silenzioso creava un’onda nel grano, agitando quel mare di quiete.
Raggiunse velocemente le vicinanze del circo e cercò rifugio tra gli alberi del boschetto. Sembrava non ci fosse anima viva. Sgattaiolò nei pressi del carro del direttore. D’un tratto lo vide uscire da dietro una tenda nera, ancorata tra il carrozzone e un albero.
L’uomo borbottava qualcosa innervosito; aveva un secchio di latta in una mano, ma non si riusciva a capire cosa tenesse nell’altra. Il burattinaio si avviò nel buio del boschetto.
Quello era il momento giusto. Tom corse più silenziosamente che poté verso il carro e ci si infilò dentro.
L’interno era completamente avvolto dalle tenebre. Prese di tasca un fiammifero e lo strusciò sul legno delle pareti, incendiandolo, illuminando fiocamente l’ambiente. Cercò di distinguere cosa avesse intorno: un pagliericcio che fungeva da letto, dei vestiti sparsi sul pavimento, qualcosa appeso al soffitto.
Tom allungò il braccio in alto per fare più chiarezza. Da sopra penzolavano delle gabbie, in cui erano ammassati i burattini. Tentò di capire il perché di quella insolita ubicazione, ma mentre se ne stava completamente immerso nelle sue domande d’improvviso una marionetta girò la testa di scatto.
I suoi freddi occhi di vetro si incrociarono con quelli attoniti del bambino. D’un tratto tutte bambole si voltarono nella sua direzione e nella testa voci diverse cominciarono ad urlargli impaurite: «Scappa! Scappa!»
Tom fu preso dalla paura e si precipitò fuori, appena un attimo prima che il burattinaio tornasse col secchio carico di sterpaglia e legnetti.
L’uomo si fermò a pochi passi, poggiando l’oggetto per terra, dopodiché con un fiammifero dette fuoco al contenuto secco, che s’infiammò scoppiettando. Alla luce di quella fiamma fu ben visibile cosa tenesse nell’altra mano: una marionetta, proprio quella che si era rivolta a Tom durante lo spettacolo.
Il burattino sembrava provare a divincolarsi, ma il direttore lo teneva saldo, ridendo maleficamente. «Questo è quello che succede a chi non obbedisce» gli ringhiò in faccia, prima di gettarlo in quel braciere.
Il legno scricchiolò. Mentre la bambola si contorceva Tom sentì distintamente la sua voce implorare pietà. Poi il silenzio. Una nuvola di fumo, denso e verde, si sollevò dalla fiamma che, ben presto, si estinse lasciando solo cenere inanimata. L’uomo dette un calcio al secchio, spargendo ovunque il contenuto. Tom si tappò la bocca, inorridito, mentre le lacrime gli salivano agli occhi.
Il giullare si avvicinò al direttore.
«Avete trovato ciò che serve?» chiese l’uomo all’altro che annuì, facendo tintinnare i campanelli appesi alle punte del cappello. «Dovremo anche cercare un rimpiazzo» aggiunse ancora il burattinaio, prima di rientrare nella tenda seguito dal compare.
Le gambe di Tom tremavano come foglie al vento. Avrebbe voluto correre via e dimenticare tutto.
Vide l’uomo forzuto e il cavaliere apparire dal nulla con un sacco, che si agitava convulsamente. I due portarono il fardello dentro il tendone.
La curiosità vinse la paura.
Tom fece un largo giro per arrivare all’altro lato senza essere visto. S’infilò in un cespuglio a ridosso della struttura e sollevò il tessuto finché non riuscì ad infilare il busto all’interno.
Lo spazio dentro sembrava magicamente più grande di quanto si vedeva da fuori. Al centro un tavolaccio di legno con delle catene, attorno al quale stavano il direttore e gli altri ambulanti. I due scagnozzi aprirono il sacco e scaraventarono sopra il banco un uomo. Il malcapitato fu subito immobilizzato, nonostante la sua resistenza.
Tom lo riconobbe. Si chiamava Henry, era un giovane cacciatore che nel periodo invernale viveva sulle montagne, procurandosi il pellame per poi rivenderlo nei villaggi a primavera, quando scendeva a valle. Durante l’estate era solito accamparsi vicino al fiume e farsi vedere ogni tanto per qualche lavoretto nei campi, in attesa di una nuova stagione di caccia.
Il burattinaio guardò in alto, verso la grande luna che troneggiava nel cielo dall’apertura sul soffitto della tenda.
«Il plenilunio è completo. Questo è il momento» disse, prima di cominciare a cantilenare una strana nenia in una lingua sconosciuta.
Gli occhi dei presenti cominciarono a brillare di un acceso giallo innaturale. Il corpo del prigioniero fu avvolto da uno strano alone di luce. In un lampo tutti si avventarono contro il poveraccio, cominciando a divorare brandelli della sua carne, tra i fiotti di sangue che schizzavano ovunque e le sue grida strazianti.
Tom si sentì rivoltare lo stomaco. I cannibali sbranarono con gusto il vivo banchetto. Alcuni strappavano via con le mani carne, muscoli e interiora, mentre gli altri preferivano affondare i denti direttamente nella preda scalciante. Ci volle poco prima che del giovane cacciatore rimanesse solo lo scheletro.
Il direttore, ancora recitando quella strana lingua malefica, alzò le mani al cielo e d’improvviso le ossa ancora insanguinate si mossero, come se il malcapitato fosse ancora vivo. L’uomo tirò fuori di sotto la giacca logora un’antica fiaschetta. Fece scivolare della strana polvere verde su di una mano, prima di soffiarla nell’aria, nel raggio di luce lunare che dall’alto illuminava l’orrida scena.
Quel pulviscolo prese a danzare nell’aria, prima di raggrupparsi in un turbinio e posarsi sullo scheletro.
La reazione fu immediata. D’improvviso le ossa presero a restringersi, divenendo al tempo stesso di un altro colore. Bastò un attimo perché lo scheletro si trasformasse in una marionetta. Il direttore l’afferrò con una stretta decisa, avvicinandosela al volto. «Benvenuto tra noi» sentenziò.
A quelle parole e sentendo nella testa ancora il cacciatore strillare Tom ebbe un brivido.
Gli occhi incandescenti del direttore si puntarono di scatto nella sua direzione. Era stato scoperto.
Sgusciò via veloce, mentre sentiva la malefica voce dell’uomo ordinare: «Prendetelo!»
Cominciò a correre nel buio, senza rendersi conto di dove fosse o dove stesse andando. D’improvviso quel boschetto divenne un labirinto infernale. Sentiva dietro di se i passi dei suoi inseguitori e non sapeva dove nascondersi.
D’un tratto inciampò in una radice e cadde. Il rumore attirò l’attenzione del giullare che si avvicinò alla sua preda.
«Vieni con noi, bambino» disse tendendogli la mano, con gli occhi brillanti di una luce infernale e un sorriso accattivante tra le labbra ancora sporche di sangue.
Si sentì disperato: afferrò una grossa pietra e la scagliò contro il braccio del suo aggressore. Il colpo aprì uno strappo nel costume colorato e lo ferì.
Tom rimase a bocca aperta.
Il braccio dell’uomo, subito sotto la pelle, si era scheggiato come se fosse di legno. Non c’era traccia di sangue, nonostante la ferita fosse profonda. Il giullare guardò la spaccatura e scoppiò in una malefica risata stridula.
Tom si sentì perso, quando all’improvviso tutto divenne buio.
Quando la luce tornò il ragazzo era stordito e con uno strano senso di nausea.
Il carro si muoveva, facendolo dondolare proprio come se fosse in barca sul fiume. I contorni si schiarirono e si accorse di essere rinchiuso in una gabbia. Afferrò le sbarre e cominciò ad invocare aiuto con tutte le sue forze, ma le parole sembravano non uscirgli dalla bocca.
Sentì una voce triste nella testa, come già gli era capitato. «E’ inutile. Adesso possiamo solo cercare di allontanare chiunque voglia avvicinarsi».
Tom si voltò e vide, in gabbie penzolanti dal soffitto, alcune marionette imprigionate che lo stavano fissando.
Guardò con terrore le sue mani che stringevano il ferro delle sbarre: erano di legno.


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