Quel giorno di settembre pareva che il cielo di Magenta straripasse di luce. Non una nuvola in cielo, aria fresca con un venticello noioso e poco traffico per le strade. Alle 18 avrebbero chiuso le pre-iscrizioni. Mancavano soltanto dieci minuti. Monica De Sanctis accelerò il passo, ma s’imbatté in una rampa di gradini granitici che mettevano in difficoltà il suo incedere ondulatorio. Le scarpe rosse con tacco venti, indispensabili per non sentirsi umiliata dalla propria statura, non le consentivano di salire con agilità. Si aggrappò al corrimano e, in quel momento, le saltò un bottone alla camicetta cremisi che le conteneva il petto in apparenza ancor più prosperoso per via della costrizione impostale proprio da quel bottone. Era di madreperla ed era caduto giù nella tromba delle scale. Monica tornò indietro con fatica, considerata la gonna stretta che le mostrava sì le cosce, ma la stringeva in basso: altrimenti come avrebbe fatto a mettere in mostra le sue natiche così ben conservate per via dei continui massaggi e degli esercizi in palestra?
Sì chinò di lato, come un centometrista alla partenza, per raccoglierlo. e se lo mise in borsetta.
Risalì. Si trovò all’ingresso di una stanza a vetri con la scritta Sala Colloqui. Piegò la maniglia di ottone con la mano destra ed entrò. Al cospetto dell’insegnate di danza classica, Lara Bush, di cui aveva sentito parlare gran bene dalle sue amiche, ma che non aveva mai conosciuto di persona, le disse con un po’ di fiatone: “Buon giorno, signora Bush, vorrei che mia figlia Camilla frequentasse il suo corso di danza classica. Cosa c’è da fare?”.
“Prima di risponderle, vorrei chiederle alcune informazioni su sua figlia, signora. Vogliamo sederci?”.
“Oh, mi spiace, sono di fretta, sa ho un appuntamento dal mio coiffeur e sono già in ritardo. Non vede che capelli mi ritrovo? Con questo vento i miei colpi di sole se ne sono andati dove han voluto”.
“Va bene, parliamo in piedi. Quanti anni ha sua figlia?”.
“Cinque”.
“Non ha mai frequentato dei corsi di danza?”.
“No, mai”.
“Ma lo desidera, le ha chiesto lei di iscriverla?”.
“No, sono io che desidero che si avvicini a questa disciplina, ma sono sicura che le piacerà. Quante lezioni ci sono alla settimana?”.
“Lei consideri un anno scolastico, dalla fine di settembre alla fine di maggio, due ore alla settimana, lunedì e giovedì, dalle 17 alle 18”.
“Oh, credevo di più, comunque va benissimo, dove si paga?”.
“Oggi può preiscrivere sua figlia, ma entro venerdì della settimana prossima dovrà portarci dei documenti e dei moduli firmati…”.
“Benissimo, mia figlia si chiama Camilla De Sanctis”.
“Aspetti, soprattutto è necessario un elettrocardiogramma e un certificato di buona salute sottoscritto dal suo medico”.
“Va bene… Entro venerdì, d’accordo, la saluto…”
“Per l’iscrizione si potrà rivolgere alla segreteria” e indicò una scrivania vuota dove solitamente sedeva la signora responsabile della parte amministrativa che quel giorno, data l’ora tarda, era vuota. “Chieda della Signora Rossi”.
“Bene, allora verrò la settimana prossima dopo l’esame e con il certificato”.
“D’accordo, ma dovrà poi parlare con me, per l’abbigliamento, strettamente rosa, il tutù per i saggi e altri aspetti di natura disciplinare. E’ gradita la puntualità”.
“Oh, se è per questo non si preoccupi, sarò puntuale come una cambiale… Allora vado, sa sono di corsa, alla settimana prossima allora” e già una scarpa rossa stava indirizzandosi verso l’uscita.
“Arrivederci, Signora De Sanctis, prenda questa: è la nostra locandina. L’aspetterò per parlare con lei con più calma ed entrare nei particolari. Ora entrambe non ne abbiamo il tempo, a quanto pare”.
“Certo, certo, è stata molto gentile, arrivederci”.
In un batter d’occhio la Signora De Sanctis scomparve al di là della porta a vetri tenendosi strette tra indice e pollice la camicetta scollata e la locandina.
Lara Bush ne aveva già inquadrato il tipo: una mamma fashion, di quelle che iscrivono i figli ai vari corsi più per liberarsene e fare i propri comodi – come lo shopping o la palestra o, magari, gli incontri extraconiugali – che per la salute e l’inclinazione dei figli.
Poco dopo, dal parrucchiere, Monica aprì di fretta la porta del negozio e gli disse “Scusami per il ritardo, Lucio, ma sai, alla scuola di danza per mia figlia mi hanno fatto perdere un mucchio di tempo”.
Lucio non fece una piega e le indicò una poltroncina davanti allo specchio.
Lei depose la borsetta per terra e si sedette a gambe accavallate tenendo la locandina tra le dita.
“Che bel seno che metti in vista oggi, Monica”.
“Sporcaccione, non devi guardare, mi si è staccato un bottone, mettimi la mantellina”.
“Ok, ma controvoglia!”.
“E sistemami questi colpi di sole”.
“Sìssignora”.
La seduta dal coiffeur era iniziata. Monica guardò intorno a sé nel mucchio delle riviste di gossip disponibili, ma si accorse di averle consultate già tutte.
Con un movimento delle dita aprì allora la locandina, titolata CleverArt Factory e vi lesse qua a là i contenuti:
La nostra associazione promuove l’arte coreutica… Saper essere nasce dal saper fare… Le attività di CleverArt valorizzano il talento di ciascuno rigenerandone la spontaneità. Dall’incontro di arte e pedagogia deriva l’originalità e l’efficacia dei corsi… Il gymnasium offre l’opportunità di coltivare l’espressione corporea… L’arte del movimento affida alla danza classica un ruolo sostanziale inducendo all’equilibrio.
La mamma di Camilla si era imbevuta di quelle parole, pur non sempre afferrandone il significato, e durante la seduta, ripeté a Lucio alcune di quelle farsi.
“Sembra una scuola ben organizzata, Monica, se devono mettere in atto tutte quelle virtù! D’altra parte ne ho sempre sentito parlare bene anche da altre mie clienti”.
Monica si sentì rinfrancata, temeva di non aver azzeccato il corso di danza classica per sua figlia. “Evidentemente usano questi termini ambigui per darsi un tono” concluse tra sé e sé “Lo spiegherò a Camilla. L’importante è che faccia danza”. Poi pensò alla festa di compleanno che la sua amica Maddy avrebbe dato il giovedì pomeriggio nella sua villa sul Ticino. “Camilla non la posso portare con me” si disse.
“E poi ci vorranno i documenti e il certificato medico” riprese Lucio.
“Ah, sì, e anche l’elettrocardiogramma”.
“Fanno bene a pretenderli, Monica, ciò dimostra la loro correttezza”.
“Sì, deve essere così, anche se è un po’ una scocciatura”.
“Vedrai che Camilla riuscirà bene”.
“Ne sono sicura e spero che sia la volta buona per vincere la sua timidezza”.
“Oh, le gioverà senz’altro”.
“E’ una bambina intelligente! Pensa, Lucio, Camilla l’altro giorno stava guardando alla Tv, con la nonna, S.O.S. Tata, sai quella trasmissione sui bambini”.
“Sì, la conosco”.
“Beh, lei ha detto alla nonna… spegni un attimo il Phon, Lucio!”.
E Lucio lo spense.
“Sono tutto orecchi”.
“Le disse: Guarda, nonna, quel bambino, assomiglia a Gesù”.
“E gli assomigliava davvero?”.
“Certo, il sabato prima eravamo stati qui a Magenta per il matrimonio di una mia amica, nella Chiesa di San Nicola, e lei aveva notato accanto all’altare una nicchia con la madonna che teneva in braccio Gesù bambino e così si è ricordata della somiglianza. Non tutti ci arriverebbero”.
“Ciò denota attenzione, Monica, hai una gran brava bambina”.
“Lo so, lo so, si merita davvero il corso di danza”.
Il venerdì della settimana successiva, Monica aprì la porta del CleverArt tenendo sottomano una cartelletta con certificato medico ed elettrocardiogramma. Si mise in attesa di parlare con la Signora Rossi, considerato che la precedevano due mamme per lo stesso motivo: l’iscrizione al corso. Arrivò il suo turno e con un sospiro di sollievo si accomodò in una sedia e posò sulla scrivania la cartelletta.
“Sono qui per iscrivere mia figlia Camilla al corso di danza classica, quanto devo pagare?”.
“Sono 60 euro per l’iscrizione più 60 euro per ogni mese sino a maggio. Si paga mese per
mese, perciò fanno 120 euro sino alla fine di ottobre”.
“Le posso staccare un assegno, Signora Rossi?”.
“Certamente. Lo intesti a CleverArt Factory Magenta”.
“Benissimo”.
Mentre Monica stava compilando l’assegno, la sua interlocutrice aprì la cartelletta e le disse: “Ma signora, non è lei a frequentare il corso, ma sua figlia”.
“Certamente! Qualcosa non va?”.
“Purtroppo sì, mi ha portato un certificato medico e un elettrocardiogramma che riguardano lei, non sua figlia, a noi servono gli esami di sua figlia”.
“Oh, no, questo non mi è stato detto. Era naturale pensare che tutto ciò mi fosse richiesto soprattutto per validare il mio stato di salute”.
“Ma no, il contrario, Signora De Sanctis, a noi serve verificare che sua figlia sia in condizioni di salute idonee a seguire il corso. A noi sembrerebbe scontato”.
“Guardi, la vostra organizzazione non è affatto chiara e trasparente. Sa che io ho dovuto pagare per avere questi certificati? E ora che cosa me ne faccio? Mi dica lei che cosa me ne posso fare”.
Monica se ne uscì al massimo del risentimento. Scese le scale granitiche dell’edificio e s’infilò nel negozio di profumi dirimpettaio della scuola di danza. Vi entrò e chiese alla commessa: “Signorina, vi è arrivato il nuovo profumo La vie est belle di Lancôme?”.