PARTE QUINTA: LE PORTE DI MARIA
Non sono condivisibili né spendibili con nessuno
Maria racconta:
La spinta verso gli altri è un salto nel buio. Non ho i vostri tempi sono in una situazione lenta. Voi andate incontro alle cose quando correte o camminate, a me le cose vengono tutte addosso. Il mondo del silenzio non ha regole, è più sicuro, sei qualcosa e sei al sicuro. Ad esempio le scale, quei gradini! Sono dei rompicapo non sono tutti uguali sono delle trappole. Sono convinta di saperli salire e scendere tutti allo stesso modo ma non funziona.Davanti alle scale mi irrigidisco sempre, riesco a salire ma poi per scendere devo calcolare con velocità le distanze. Questo mi blocca o mi fa inciampare. Quindi a volte scendo seduta scivolando.
Le scuole medie sono superate e quella scala fatta volando è solo un ricordo. Maria è brava a disegnare fumetti e la scelta cade su una scuola d’arte, un liceo artistico. A proposito le scale del liceo che frequenterà ricordano le scale di un artista che raffigurava scale in situazioni fantastiche collegate in differenti realtà, una sorta di saliscendi senza fine. Quindi, prima della decisione, le proveremo e le collauderemo anche nel senso dell’orientamento.
La prova “scale” è andata bene! Penso che i muri perimetrali di contenimento le inibiscano le vertigini e la facciano sentire sicura. Al limite c’è sempre l’ascensore. Ma l’utilizzo dell’ascensore sarà una via difficile da praticare a causa di orari, bidelli e chiavi. Dopo la prova “scale” mi ripresento in segreteria spiegando di nuovo la situazione. Voglio essere sicura che abbiano capito bene! La risposta è affermativa, possono accettare l’iscrizione poiché “ragazzi come lei” hanno già frequentato questo istituto.
Sì tratta di un liceo privato, l’alternativa a quello statale ritenuto, dopo il sopralluogo, più caotico e dispersivo e dal punto di vista logistico, improponibile. Io penso solo al suo bene ed al fatto che lì sarà più tutelata e sarà più serena e che, se fossero sorti dei problemi, avrei avuto degli interlocutori disponibili e attenti.
Ma non imparo mai! Non ricordo che la mente, mente! Stavolta mi propone un pensiero di speranza di aspettativa che mi porterà poi, alle inevitabili delusioni. Ma il mio entusiasmo arriva dal cuore che supera sempre la mente e trova il coraggio di continuare.
L’iscrizione è stata perfezionata. Sono preoccupata, ma è un lusso che non mi posso permettere.
Sono in ansia perché questi ragazzi sono più grandi anche se il “bestione” delle medie non era da meno. Sono molto prevenuta e la pazienza si è esaurita negli anni precedenti mentre il nervosismo è aumentato. I primi due giorni di scuola sono stati superati abbastanza bene e di problemi, non ce ne sono stati. Maria sta prendendo le misure dei compagni e la classe sta prendendo le sue.
Il terzo giorno il primo conto si presenta e come saluto di benvenuto, qualcuno le lascia sul banco un cellulare acceso con una videata di you tube: “In onda c’è una scena pornografica senza audio”.
Ma l’idiota di turno non conosce Maria e non sa che lei è su di sè. Lei può solo pensare che, così come il cellulare non è suo, non lo sia neppure il contenuto. Tornata a casa mi racconta l’accaduto a modo suo:
– Mamma oggi a scuola ho trovato sul banco un cellulare con scene quasi animalesche, ma non era mio è l’ho spostato.
Ha spostato l’apparecchio dal suo banco, a quello a fianco, senza preoccuparsi molto, dell’infelice proprietario dell’apparecchio e del suo miserabile contenuto, semplicemente l’ha ignorato.
Ho raccontato in direzione l’accaduto e ho ottenuto solo, l’inevitabile ritiro dei cellulari in classe durante le ore di lezione. Verso la fine di ottobre, il corpo insegnante mi invita ad un incontro. Dovevo spiegare meglio a tutti loro, cos’era “il problema di Maria”. Non era bastato il mezzo metro di certificazioni depositate in segreteria. Dopo l’incontro sembra che abbiano capito, ma forse io voglio pensare che sia così. Ricevo anche molti complimenti, qualcuno si emoziona. Maria seguirà un piano di studi personalizzato che va firmato obbligatoriamente, dopo averne preso visione. Ma è un proforma e lo devi accettare se vuoi che la ragazza prosegua gli studi.
Durante i lunghi cinque anni quasi nessuno dei suoi compagni si è mai interessato a lei. Quasi nessuno le ha mai rivolto la parola tranne una coetanea un po’ chiusa, ma solo per un brevissimo periodo.
Maria continua il suo percorso scolastico affiancata da una educatrice molto gentile che a tratti è riuscita ad avere faticosamente un minimo di scambio verbale con lei. A volte frustrata mi chiede il perché di una certa chiusura improvvisa, non riesce a capire quale sia stata la parola od il gesto sbagliato. Le spiego che, non ci sono parole o gesti sbagliati. Al contrario, ci sono piccole porte che conosce solo lei e che sa raggiungere in brevissimo tempo. Porte che ti chiude in faccia senza che tu la possa raggiungere. È il mondo del silenzio un mondo sicuro, dove gli scocciatori vengono messi alla porta, per tutto il tempo che lei vorrà stare in viaggio.
Non sono mai riuscita a spiegarlo né a lei né ad altri ma forse non è il mio compito.
Non lo nego, questi cinque anni sono faticosi. La mattina mi armo di pazienza, scendo dalla macchina parcheggiata vicino ad un marciapiede in divieto di fermata ma vicino alle strisce pedonali. Scendo le apro la portiera dell’auto, lei è seduta nel sedile posteriore. Alzo il baule prendo lo zaino e la cartelletta ingombrante che contiene i disegni ed i fogli bianchi. Quando mi fermo lei non esce spontaneamente ma attende l’apertura della portiera. Una volta scesa dall’auto, le infilo lo zaino e le metto in mano la cartelletta. È il momento di attraversare la strada le prendo la mano, ma le auto le fanno paura.
Penso a quello che mi ha confidato. Immagino che se le cose ferme le vengono addosso non posso pensare a che effetto le debbano fare quelle in movimento come le auto. Nell’attraversare le strisce pedonali accenno un passo in avanti, ma lei non mi segue. Allora torno indietro e lei va avanti. Qualcuno ci manda a quel paese, allora lei si spaventa e corre avanti ed io con lei. Un’automobilista sopraggiunge e vedendoci arrivare frena, una moto arriva e supera un’auto che ci nasconde, ci blocchiamo. La moto non ci investe e passa superandoci, anche questa mattina siamo salve!
Arrivate dall’altra parte c’è il marciapiede che non è libero, una cinquantina di ragazzi sostano stanziali. Aspettano le otto fumando e spingendosi. È difficile passare. Nuotiamo tra gli studenti trascinando la cartelletta, che manovrata da Maria è come un’arma che fende gli arbusti di una foresta che tra l’altro non vede. Nessuno dei ragazzi si muove, al limite passando, ti alitano del fumo fetido lamentandosi se inavvertitamente toccati. Ogni tanto si guardano complici sghignazzando.
Nei cinque anni ho sostenuto molte discussioni specialmente, se occupavano le scale dove il più delle volte è inciampata su zaini e lacci. Oppure quando gli zaini, lasciati mollemente incustoditi sul pavimento, impedivano il passaggio a ragazzi in carrozzina. Mi sono lamentata nessun risultato!
Anche per oggi siamo arrivate all’entrata ora c’è solo la scala e non è poco!
Questa situazione è durata per tre anni dal quarto in poi c’è stata concessa la possibilità di entrare con l’auto. Entro con l’auto fino alla porta antipanico situata nel retro della scuola. È tutto sotto sopra poiché stanno ristrutturando l’edificio. Lei all’entrata evita lo sguardo degli studenti. Un giorno mi fermo poco lontano a controllare che tutto vada bene. Visto le esperienze trascorse è meglio farlo ogni tanto, così per sicurezza. Ma guarda! Casualmente proprio oggi che controllo ci sono dei ragazzi che vedendola arrivare, le si piazzano davanti per impedirle di aprire la porta antipanico e quindi di proseguire. Questo atteggiamento la manda in confusione, io intervengo e i due sono in direzione.
Nel corso degli anni scolastici l’attenzione verso le sue problematiche è stata superficiale, attuata solo da qualche insegnante e da due compagni, le cui imprese mi sono state raccontate da lei.
Maria racconta:
Sono a scuola, frequento la quarta liceo ed ora c’è un nuovo professore di chimica. Non sopporto come si relaziona con la classe, perché ci dà del “Lei” ed io devo attuare nel cervello una traduzione mentale simultanea “dal lei al tu” e sono sempre in ritardo con le sinapsi del cervello. Quando chiama dalla sua cattedra con il “lei” penso che chiami una compagna di classe da qualche parte, ma lontano da lui. Invece sta chiamando un compagno vicino a lui. Le lezioni consistono in una serie di frammenti di notizie così incomprensibili e poco interessanti che mi portano ad allontanarmi dalla classe a modo mio. Nessuno osa lamentarsi poiché è almeno quarant’anni che insegna in questa scuola. Questo sarà il penultimo anno per lui e quindi: “Dica quel che dica, insegni quel che voglia, e ci anestetizzi con il suo metodo”. Inoltre è ripetitivo e mi ricorda mia nonna che da qualche anno ha l’Alzheimer.
Le compagne le chiama “signorine”, i compagni “giovanotti” e questo mi infastidisce! Abbiamo diciassette anni e non siamo nell’ottocento! Spiega con modo indagatore, scrutandoci in attesa di un movimento brusco. Sento il disagio della classe che aspetta ogni volta una sua richiesta immotivata. Fissando uno di noi dice: “Ci accomodiamo fuori signorina?” O “giovanotto”. A quel punto, la fila nella quale c’è il prescelto comincia a mormorare e nessuno si muove poiché nessuno si riconosce nel motivo per il quale verrà sbattuto fuori dall’aula. Poi si avvicina ed indica il malcapitato che cerca di difendersi prima di arrendersi, alzarsi e uscire dalla porta. Per due anni ho avuto paura toccasse anche a me. Mi sono vista titubante uscire dalla porta. Fuori avrei perso il senso dell’orientamento e sarei caduta nuovamente dalle scale e questa volta da sola. Non avrei saputo davvero dove andare. Ho sempre sperato che a me non toccasse mai. Se facendomi uscire, mi fossi fatta male o mi fossi persa per la scuola sarebbero stati problemi grossi! Mia madre è una guardiana e mi protegge sempre.
Ci sono stati tre compagni della sua classe che l’hanno fatta sorridere, che hanno vissuto la classe e gli insegnanti con ironia.
Maria ha il dono di poter ascoltare per qualità e quantità discorsi diversi e voci distinte contemporaneamente anche bisbigliate. Quindi tutto ciò che è stato detto in classe lei lo ha sentito. Alcuni di questi compagni nel corso degli anni con il loro comportamento, senza volerlo l’hanno fatta sorridere. Per lei sono state presenze leali ed io li ho ringraziati alla fine del corso scolastico. La salutavano come una di loro, non la ignorano come tutti gli altri dei quali, ha ascoltato per cinque anni, voci e discorsi vuoti. Nel secondo quadrimestre del quinto anno, mi preoccupo del suo percorso universitario. La porto all’università e le presento la direttrice. Maria è molto attenta a quello che viene detto in quell’incontro. È molto divertita dalla voce della direttrice e una volta uscita la imita perfettamente, anche nella sua eRRe moscia. Comunico alla scuola la conferma dell’intenzione di iscriverla all’università. Ma questa volontà, sempre espressa verbalmente nel corso degli anni è disattesa. Mi rispondono che forse questa decisione è un problema in quanto mia figlia non avrebbe potuto conseguire il diploma di maturità. Al suo posto avrebbe ricevuto “Il certificato delle competenze”. Lo dicevo io! Ecco la risposta al “PEI annuale”, quello prontamente sciorinato con disinvoltura anno dopo anno, scala dopo scala, visto! Ha dato i suoi frutti. Nel febbraio del quinto anno, con un frettoloso Consiglio di classe, annunciano che si erano sbagliati, il percorso scolastico non è completo.
Io insisto, ma lei all’università non ci potrà andare.
Torniamo dalla direttrice dell’università, infatti l’ateneo mi vuole convincere ad iscriverla come uditrice. Lei ascolta attentamente le sue parole specialmente quelle con la “eRRe moscia”, che cercano affannosamente di convincerla a frequentare i corsi come uditrice. Come al solito dovremmo sostenere il massimo sforzo per non ricevere neppure un pezzo di carta che attesta che ha frequentato!
Maria dopo l’incontro mi parla di quanto discusso imitando la direttrice:
– CaRa, devi decideRe quale coRso pRefeRisci frequentaRe come uditRice, nella vita non tutti devono fRequentaRe l’univeRsità, tanti la fRequentano ma poi vanno a faRe i bibliotecaRi, se sono foRtunati! Io volevo faRe la pasticceRa e come vedi diRigo una scuola! La vita è una soRpResa!
Maria inoltre continua dicendo:
– Io nell’avataR della scuola pRecedente non ci metto piede! Hai capito? È la Ripetizione dell’altRa scuola, Rivisitata e coRRetta solo che quì, te lo dice la mancata pasticceRa che peR faRe la bibliotecaRia devi fRequentare la finta univeRsità per cinque anni!” Poi sorride silenziosamente e torna nel suo mondo.
Maria racconta:
Nelle vostre parole ho sentito spesso la frase: “Ma io credevo che tu fossi”. A questo punto devo pensare che anche Voi avete una “teoria della mente fragile”. Io mi dimentico che gli altri hanno un pensiero mentre voi, tendete ad indovinare quello che pensa il vostro prossimo. Per non parlare del tempo profuso nel cercare di piacere agli altri. Quando tornate ad essere voi stessi gli altri vi pensano dei mostri degli sconosciuti, dei bugiardi! Allora meglio il silenzio! In tutti gli anni passati da sola sui banchi di scuola ho sentito di tutto. Ho capito che la parola non è capace di rendere felici! Per lo più è un’arma per colpire e per difendersi dal nulla dei pensieri. Sì! Dal nulla perché i pensieri non esistono in realtà sono solo proiezioni della mente che credete verità.
Nel mio silenzio nella mia possibilità di assenza di pensieri, ho la tranquillità di vedere che esisto! Ho ascoltato inizi di discorsi dei quali avrei voluto ascoltare la fine, interrotti in fase iniziale di racconto da colui che avrebbe dovuto essere il principale ascoltatore. Di solito i ruoli si capovolgono e il malcapitato farà la fine di una spugna quando incontra l’acqua.Ho dovuto imparare ad interpretare i discorsi finché ho capito che nessuno vuol dire “all’interessato” quello che pensa di lui. Quindi ho dedotto che se tutti gli attori presenti, avessero avuto le mie orecchie, credo che non si sarebbero nemmeno più salutati, ed avrebbero fatto molta fatica a condividere lo stesso banco.
Ho ascoltato più discorsi negativi che positivi! Sono stata sollecitata per anni ad avere amicizie scolastiche, ma non sono mai riuscita a spiegare che con quelle orecchie che mi ritrovo, non me lo posso di certo permettere. Quello che ho sentito su di me ve lo risparmio, e poi non mi ha mai veramente toccata! Ho letto da qualche parte che Dio ci ha muniti di orecchie proporzionate al nostro cervello. Quello che possiamo sentire e sopportare è proporzionato alla nostra “materia grigia”. Con me qualcosa è andato storto dato che sento senza volerlo qualsiasi bisbiglio lontano! In cambio sono stata dotata di quel qualcosa: “una speciale indifferenza” una capacità istintiva di “stare su di me” di essere spettatrice senza rimanere coinvolta da ciò che sento o che vedo!
In tutto questo tempo non sono stata ferma e ho continuato a cercare risposte diverse, piccole vie di speranza, ed è arrivata “L’Età dello Zinco”. Sì avevo visto una trasmissione televisiva che raccontava attraverso alcune testimonianze, la storia di alcune famiglie italiane che erano partite per l’America per provare un metodo innovativo. Bisognava seguire una dieta specifica. Se hai notizia di una cura così innovativa cominci a sperare e qualche illusione te la fai. Inizio a sognare che un giorno potrò lasciare Maria sulla porta di casa mentre rincasiamo. Lei scenderà dall’auto da sola, guardandosi nello specchietto di cortesia. Mi saluterà prendendo le chiavi di casa. Parleremo dei suoi progetti dei suoi incontri e delle sue serate. Discorsi fatti di cose semplici, mentre lei si ritoccherà il trucco con aria civettuola.
Le stampelle verbali le potrò bruciare, avrà voglia di uscire, di conoscere il mondo e le persone. Camminerà a testa alta e cercherà di laurearsi. Sarà piena di vita e di sogni, conseguirà la patente di guida e avrà un sacco di amici.
Sono sogni ad occhi aperti e ritorno alla realtà.
Attraverso le informazioni televisive, riesco ad avere la mail di un genitore che coordina gli appuntamenti dello specialista che applica la cura americana. Molto gentile ma diretto, mi spiega che anche lui ha una figlia con problematiche simili e che la cura nel suo caso, non ha prodotto gli effetti sperati. Mi spiega come funzionano gli appuntamenti che ci verranno confermati via mail. Il metodo parte dal principio che la malattia è curabile o che può migliorare in modo considerevole. Portato avanti da un movimento formato dai migliori esperti dell’Autismo: medici, scienziati, ricercatori e genitori che si sforzano di capire le vere cause dell’Autismo e di trovare le cure più adatte per guarirlo. Sono convinti che sia causato da disfunzioni e danni dell’organismo, in particolare nel sistema digestivo, immunitario, metabolico. Inoltre sono convinti che, vaccini, antibiotici, metalli tossici (mercurio, piombo) non riescano ad essere espulsi dall’organismo.