La pungente brezza della notte sbattè sulle guance accaldate dell’ispettore, non appena uscì fuori del locale. Con ancora il sapore di birra sulle labbra imboccò il viale deserto che lo conduceva verso casa.
I residui di fumo stagnante, che gli erano rimasti sui vestiti, si dissolsero velocemente nel buio.
Le ombre degli alberi spogli si allungavano sul tappeto di foglie secche che ricopriva la strada, vigilando il suo incedere sicuro. Lo scricchiolio dei suoi passi sembrava venir inghiottito dal silenzio intorno, che come un manto avvolgeva la città dormiente.
Quetti si fermò per accendere una sigaretta. Al violento incendiarsi del cerino il suo volto abbattuto si rivelò per un istante alla pallida luna, che quieta sembrava osservarlo. Aspirò avidamente il fumo per poi soffiarlo via in un profondo sospiro, facendo salire lentamente il suo alito caldo verso il cielo.
Un groviglio di pensieri contrastanti gli si contorcevano nello stomaco. Risolvere quel caso non aveva dato pace al suo spiccato sesto senso che, ora più che mai, sembrava agitarglisi nel profondo dell’anima.
Quetti riprese a camminare verso casa tentando di scrollarsi via i dubbi, abbandonandoli nella scia di fumo che gli usciva dalla bocca e, a tratti, gli avvolgeva la faccia.
Mesi prima il vecchio collega Marchiori, ora capitano, l’aveva reclutato per un’elitaria sezione investigativa, in sostituzione di un collega ucciso nel corso di un’indagine.
Quetti stimava molto Marchiori.
Il capitano era stato il suo primo partner dopo l’accademia e da lui aveva appreso i segreti del mestiere. Quell’uomo aveva trasformato uno spaventato novellino pieno di passione nel poliziotto che era oggi e per questo si sarebbe sempre sentito in debito con lui.
Il rumore dei passi divenne più sordo, una volta che le foglie sul viale alberato svanirono lungo il marciapiede.
Quetti imboccò un vicolo angusto, incuneandosi nelle viscere della città.
Al fioco vigore dei lampioni, che si alternavano in quelle strette mura, la sua figura sembrava dissolversi nel nulla per poi riemergere dall’oscurità, illuminata da una luce sbiadita.
Aveva accettato di buon grado l’invito di Marchiori, vista la profonda stima che riponeva nella sua professionalità e pensando di ritrovare lo stampo del vecchio mentore nella squadra, ma non era andata così. La rapida risoluzione dei casi, a cui tanto risalto dava la stampa, l’aveva messo sulle difensive, anche se non aveva mai riscontrato niente che potesse generare il minimo dubbio sulle procedure seguite dagli agenti. Eppure quella sensazione alla base del collo, quel formicolio strano riflesso del suo sesto senso sempre in guardia, proprio non voleva abbandonarlo. Questo suo atteggiamento sospettoso aveva generato attriti coi colleghi, in particolare con due di questi. Spalloni e Ricci erano gli unici due membri della squadra che aveva già sentito nominare, in quanto avevano lavorato allo stesso caso in cui era morto il poliziotto che andava a sostituire e di cui aveva letto l’incartamento.
La diffidenza e l’atteggiamento burbero gli erano anche costati una sospensione durante l’ultimo caso.
Marchiori, da amico, aveva preferito allontanarlo per qualche giorno, dandogli l’occasione di staccare un po’ la spina per vedere le cose con più “lucidità”. Quetti non l’aveva presa bene e non si era peritato a manifestarlo al vecchio mentore, ma quando Marchiori, al momento di reintegrarlo, gli aveva motivato a quel modo la sua scelta, restituendogli arma e distintivo, non poté che essere d’accordo.
L’atteggiamento del capo era risultato ancora più valido quando poche ore più tardi, alla luce di nuovi indizi venuti fuori durante la sua assenza, l’ispettore era riuscito a risolvere finalmente il caso.
Una birra annacquata nel solito bar era il modo di Quetti di festeggiare l’ennesima vittoria, anche se stavolta non c’era la stessa rilassata sensazione ad accompagnarlo.
D’un tratto sentì un brivido corrergli lungo la schiena e il secco scattare del cane di una pistola che si armava inchiodò i suoi passi all’asfalto umido.
Quetti sorrise senza voltarsi. «Sarei un bugiardo se dicessi che non me l’aspettavo».
«Dovevi startene buono» rispose una figura nascosta nell’ombra.
«Colpa del mio istinto» rispose Quetti sotto tiro. «C’era qualcosa che continuava a non tornarmi, ma non riuscivo a capire» frugò in tasca ed estrasse una sigaretta. «Compreso la morte di quel poliziotto» dette fuoco a un cerino per poi aspirar avidamente il fumo. «Così mi sono messo a riesaminare tutti i vari casi “brillantemente” risolti, ma non ho trovato niente. C’è voluto parecchio per rendermi conto che era proprio quel “niente” l’indizio principale, quel qualcosa che stonava. Tutto era così lineare e chiaro da non far sorgere alcuna domanda, come se quei casi fossero stati studiati a tavolino. Nessun dubbio, nessuna possibilità di mettere in discussione l’operato della squadra. Omicidi efferati risolti con estrema professionalità con tempistiche impressionanti. Risultati così rilevanti, enfatizzati su tutti i giornali per cavalcare l’onda del successo».
«Tu non puoi capire» sussurrò l’uomo stringendo l’arma con rabbia.
«E’ vero, non capisco e mi dispiace. Mi dispiace che tu possa aver pensato che me ne sarei stato zitto divenendo complice di tutto questo… E mi dispiace che tu mi abbia sottovalutato al punto di credere che non avrei scoperto il vostro gioco» rispose Quetti prima di voltarsi verso l’uomo e soffiar una boccata di fumo. «Ma che ti è successo, Marchiori?»
Il capitano fece qualche passo rivelandosi dall’ombra. «Tu non capisci! Con questi risultati avremmo ottenuto le sovvenzioni necessarie per istituire altre sezioni e rendere più sicura la città» disse.
«Ma a che prezzo?» ribatté Quetti.
«Quello necessario per avere libertà di azione e una forza necessaria che potesse agire al di sopra dei soliti cavilli burocratici» rispose.
«Con te al comando» sentenziò l’ispettore.
«Un aspetto secondario» sorrise.
Quetti lo guardò con disprezzo. «Un collega morto non lo è».
«Dovevo farlo» si spazientì Marchiori. «Aveva capito e rischiava di far saltare tutto».
«Proprio come me adesso, vero?» chiese Quetti.
«Mi dispiace» si rattristò il capitano. «C’è in ballo qualcosa di più importante».
«Sei troppo scaltro per non capire che il tuo gioco è finito comunque» disse calmo Quetti aspirando l’ultimo tiro dal mozzicone. «Se mi risparmi e confessi di aver organizzato ad arte tutti quegli omicidi la sezione sarà sciolta. Se mi uccidi il numero dei poliziotti morti salirà a due e sai bene che è un prezzo troppo alto per il dipartimento. Qualsiasi decisione prenderai la sezione verrà sciolta» lo fissò dritto negli occhi.
D’un tratto in lontananza il suono delle sirene che si avvicinavano cominciò a farsi più nitido.
Quetti sorrise. «Giusto; c’è sempre bisogno di un pubblico quando si mette in scena qualcosa».
La mano, che prima stringeva sicura l’arma pronta a uccidere, sembrò tremare un istante, attorniata dai dubbi.
Il tempo era sembrato fermarsi e quei pochi attimi che passarono apparvero ore di silente attesa.
L’ispettore aspirò lentamente dalla sigaretta. «Sai che ho ragione e conosci bene le possibili conclusioni di questa storia, quindi ora ti chiedo» soffiò via il fumo «Che pensi di fare ora?»
Marchiori non batté ciglio; disarmò l’arma e la porse all’amico.
L’ispettore allungò la mano per prenderla, ma quando le sue dita toccarono il ferro l’uomo, con un gesto fulmineo, le agguantò con l’altra mano stringendole sull’impugnatura.
«Quello che devo» disse prima che lo sparo balenasse negli occhi di entrambi.
Il volto di Quetti s’impietrì.
Il corpo di Marchiori cadde agonizzante. L’uomo aveva rivolto a sè il colpo fatale.
Quetti si precipitò da lui. «Idiota, che hai fatto!»
«La mia parte» rantolò il vecchio mentore nei suoi ultimi istanti. «Adesso tu dovrai fare la tua».
Quetti si sentì attraversare da un brivido.
Gli occhi si fissarono sulla pistola ancora fumante: era la sua.
Prese dalla fondina l’arma che Marchiori gli aveva restituito. Era in tutto e per tutto identica alla sua, ma guardando attentamente si scorgeva che il numero di serie era stato modificato.
Quetti s’infuriò. «Noi eravamo amici! Perché incastrarmi?»
«Per un ideale più alto» tossì. «Sembrerà che mi hai ucciso per aver scoperto il tuo piano: prendere il mio posto a capo della squadra. A quel punto tutto quello che dirai sarà visto solo come un mezzo per cercare di sfuggire alla galera. La sezione ne uscirà pulita e gli altri continueranno il mio operato».
«Eravate tutti d’accordo» sospirò l’ispettore.
«Gli altri continueranno… » rantolò le sue ultime parole.
Quetti si alzò tristemente dal cadavere e si accese una sigaretta.
La polizia irruppe nel vicolo armata, intimando di arrendersi.
Quetti alzò le mani, rassegnato.
«Tutto a posto, è l’ispettore» disse un agente rassicurando la squadra.
L’uomo abbassò le braccia. «No, ragazzo, non c’è niente a posto in tutta questa storia» sospirò. «E’ andata come previsto?»
«Sì. Marchiori ha fatto spiccare un mandato di arresto contro di lei poco fa dicendo che aveva prove che la incastravano ed indicandoci dove trovarla» rispose.
«Tieni» Quetti gli lanciò un registratore acceso che aveva nella tasca del giaccone dove teneva le sigarette. «Domani la disciplinare avrà il rapporto completo».
«Alla fine aveva davvero ragione, ispettore» sorrise l’agente. «Quelli degli affari interni sono in debito con lei».
Quetti guardò il ragazzo negli occhi. «E’ un debito che non mi rende fiero» disse prima d’incamminarsi, svanendo inghiottito dalla notte, senza rivolgere nemmeno un ultimo sguardo al corpo dell’ex collega.