“Il campo di patate – storia di una fuga dal nulla” di Dario Villasanta


 
In memoria di Giovanni V., fratello che mi salvò la vita.
Giò era stufo, quella notte. Notte fonda, inoltrata, silenziosa nel corollario dell’ondulato paesaggio piemontese di quella tarda estate.
Eppure, era certo di averla sempre avuta, una meta, un perché. Una filosofia, una religione: il non averla. Senza ‘se’ e senza ‘ma’. Con questi pensieri, si disse semplicemente: ‘merda!’
Dove cazzo se ne stava andando, si chiedeva?
‘Giò, allora?’
‘Allora cosa?’
‘Allora, che facciamo?’
‘Facciamo che abbiamo fame. Ma non abbiamo niente appresso. Quindi si rimedia.’
‘Io ne ho molta.’
‘Ma porc… Vabbuò, andiamo.’
Allora Giò si alzò deciso, con una scioltezza tale da far sembrare piuma i suoi centodieci chili di muscoli, distribuiti in quasi due metri di altezza. Era un uomo imponente.
‘Dove stai andando? Non mi lascerai così, da solo. Per favore… è buio qui, questo posto mi fa paura!’ piagnucolò Topino, detto così in paese per via della sua ben nota pavidità.
‘Falla finita! Se vuoi mangiare, mangeremo. Anch’io ho fame, che ti credi: avremo quelle fottute patate.’
‘ Va bene, faremo come vuoi tu, Giò. Io mi fido di te, Giò.’
‘Non devi fidarti di nessuno, Topo’ bofonchiò Giò mentre si faceva spazio spedito nelle tenebre notturne.
‘Ma tu sei un amico… l’unico, amico.’
‘Impara: lu megghiu amicu, la megghiu curteddata’, sentenziò Giò. Topino rabbrividì, ma bevve avidamente quel suo ennesimo insegnamento. Erano quasi le tre, la notte aveva portato con sé aria molto fresca, il campo dove stavano giungendo era stretto fra una macchia di bosco e la strada, qua e là erano addormentate nell’ombra delle abitazioni di campagna.
‘Vieni, Topino, guarda quello lì: è un campo di patate!’
‘Mi sembra di averlo già visto, di giorno, ma non ricordo dove…’
‘Avremo quelle fottute patate!’
‘Ma.. e se ci vedono? A me non so se va di andar proprio lì, perché..’
‘Zitto, chi deve vederci? Dormono tutti presto, in campagna. Spero solo che non ci sia qualche cane che faccia casino. Ma poi, scusa, vuoi portare sfiga? Ma guarda un po’, che tipo che sei… Quindi, ora tu vai di là mentre io resto qui vicino: fa’ il ‘lavoro’ e torna. Tieni, prendi questo’ e gli allungò il suo leggero
giubbino di jeans, ‘e mettile qua dentro. Lo userai come sacco.’
‘Però tu mi stai poco lontano, eh?’
‘Sì, sì. Ti starò di fianco, contento?’
‘Va bene’, sorrise sollevato Topino.
‘Bravo.’
‘Giò?..’
‘Che vuoi ancora?’
‘Come faremo a pelarle? Io non ho coltelli, appresso: mi fanno paura…’
‘Non le peleremo, infatti. Faremo un fuoco e le arrostiremo sotto le braci così come sono.’ E dopo alcune ultime occhiate guardinghe intorno, si inoltrarono nel campo. Subito si diedero da fare, con sveltezza, raspando nella terra con le mani e scegliendo i tuberi più grossi.
‘Pensa un po’ brontolò Giò sottovoce, ‘ se in piazza sapessero che uno come me si sta mettendo a rubare patate invece che nelle case, o altro, sai che prese per il culo? Ho un ‘pedigree’, io…’
‘Perché ti preoccupi?’ disse Topino, ‘tanto lo sanno tutti che qui intorno comandi tu.’
‘Appunto. Da comandante, a mozzo.’
‘Certo, però è vero: tu potresti fare ben altro, secondo me.’
‘Cosa intendi dire? Che non conto un cazzo?’ bisbigliò minaccioso Giò.
‘’No, no.. ma sai… io in realtà, vorrei essere come te… ‘
‘E perché mai?’ si addolcì sorpreso l’altro.
‘Perché tu sei forte , coraggioso, e sai fare tante cose… chissà cosa potresti fare! Inoltre, io le vedo, anche solo le donne, come ti guardano, sai? A me, non mi guarda nessuno e non so fare niente, poi mi dicono tutti che sono scemo. A te non osa dirlo nessuno.’
‘Non è per rispetto. È solo per paura.’
‘Forse. Ma è un fatto che tu sei il più intelligente di tutti. Chissà cosa diventerai, tra un po’… magari avrai in mano tutta la valle! È vero , Giò? Sarà così?’
‘Questo lo dici tu. A me non frega niente. ‘
‘Ma Giò.. potresti fare anche qualcosa di diverso, che ne so, un lavoro che…’
‘Non mi parlare di lavoro! Non osare farlo, con me, chiaro? Io non ho mai lavorato, capito? Non ho bisogno di lavorare, non hai capito chi sono io!’
‘Boh, come vuoi, Giò. Ma forse faresti più soldi…’
‘Io non ho bisogno di soldi, ancora non l’hai capito?’ Giò però, stavolta, aveva una voce più incerta. Quello scemotto lo stava mettendo di fronte a pensieri che non amava, che aveva evitato per tutta la vita che quella sera, però, gli tornavano in mente di continuo e lo destabilizzavano, senza motivo.
Forse era stata la lunga permanenza in carcere di quell’ultima volta, forse era la consapevolezza dell’età che avanzava. Chissà.
‘Nessuno si ricorderà di me se dovessi sparire, capisci cosa voglio dire? Di te, invece , sì.’disse Topino.
‘Giò non rispose. Era poi vero? Sì, comandava il ‘giro’ della valle, andava ovunque e dettava legge, con le buone e spesso anche con le cattive, nessuno osava contraddirlo nei dintorni. Ma che cosa stava costruendo, che sarebbe rimasto a memoria d’uomo se e quando gli fosse capitato qualcosa?
Che ricordo avrebbe lasciato? Chi gli era veramente amico? Ma soprattutto, a che valeva il suo potere, se non sapeva se era davvero felice e doveva ricorrere puntualmente a chimici additivi per
esserlo?
‘Vaffanculo, Topino. Lasciami scavare. E fallo anche tu. Comunque, ricordati una cosa’
‘Cosa, Giò?’
‘Che la vita non è un orto, dove vai e ti prendi quello che vuoi. Puoi raccogliere solo quel che c’è, quel che cresce. Punto.’
‘Che vuol dire?’
‘Niente. Scava.’
In quel mentre, echeggiò il latrare di un cane, poi una voce non molto distante: ‘Chi c’è lì? Eh? Chi c’è?’
‘Cazzo! Corri, corri Topino, che arriva qualcuno!’ Topino ebbe un attimo d’indecisione in cui guardò allarmato l’amico, lo vide scattare come una molla a raccogliere il fagotto con le patate e mettersi a correre. Lo imitò a quel punto senza indugio. Uscirono dai campi e si rifugiarono nella vicina macchia boscosa, fecero un fuoco e abbrustolirono le patate sotto alle braci. Topino era assorto, mentre mangiava lentamente.
‘Che hai?’ chiese Giò.
‘… la vita non è un orto… la vita non è un orto…’
‘Ancora con ‘sta cosa? Ma perché ci pensi tanto? Questa hai di vita, questa ti tieni, no? È facile. È tutto qui’, cercò di rassicurarlo, ma neanche troppo convinto.
‘E se invece si potesse seminare un po’ di tutto, per vedere almeno se qualche volta, invece di
patate, si riuscisse a raccogliere anche altro? A casa mia lo facciamo, sai?’
Giò non rispose. Lui tanto, aveva sempre pensato che la vita era una colossale merda.
Terminate le patate e fumate le ultime sigarette, si avviarono quasi all’alba fuori dal bosco per tornare a casa loro, ognuno alla sua vita e, dal giorno dopo chi s’era visto s’era visto, come sempre. Fu al limitare degli ultimi alberi, stravolti di sonno e di sfiducia nel domani che, senza rendersene conto, si trovarono di fronte , immobile, un uomo panciuto con un cane al fianco, attento e vigile.
‘Giovanni, ma che stai facendo?’, chiese benevolmente l’uomo, con un sorriso stanco.
‘Ermanno?’ si stupì Giò nel riconoscerlo, ‘e tu che ci fai qui?’
‘Ti ho seguito e aspettato, non ti ho trovato subito. Mi stavo preoccupando e anche tua madre…’
‘E perché? che avete da preoccuparvi?’
‘Beh, è stato strano vederti nel campo a quell’ora, a raccogliere le patate: non l’avevi mai voluto fare, a casa tua.’
‘Beh, basta che non lo dici a nessuno , Ermanno. Per favore… Vero?’
‘Non ci sarebbe niente di male, in fondo: è pur sempre roba tua, sai?’
Giò non capì subito.
‘ Come sarebbe a dire che è roba mia?’
‘Perché, quel campo là in fondo non è il vostro?’ disse, indicando una direzione che nell’alba si fece più netta e distinta, conosciuta, famigliare. Poi Giò di colpo capì: merda!
Aveva rubato le sue stesse patate. Nel suo stesso campo.
Si voltò furibondo verso Topino.
‘E tu, scimunito, tu lo sapevi! Per quello non volevi venire, vero?’
Topino non disse nulla.
‘Oh, porca puttana! Ma ho rubato patate, e per di più in casa mia! Cazzo, se penso che siamo addirittura scappati…’ esclamò, battendosi una mano sulla fronte.
L’uomo sorrise. Conosceva Giovanni sin da bimbo e aveva sempre fatto marachelle, fino a quando non era stato più in tempo per correggersi. Ora, per l’abitudine di scappare, aveva rubato anche le patate di casa sua.
‘Giovanni’ disse la sua voce paterna, ‘vieni con me, ti accompagno a casa. Tua madre sarà in pensiero. E anche quella di Topino.’
‘Giò, disse Topino, ‘hai ragione: scusami se non te l’ho detto, ma avevamo così tanta fame che andavano benissimo anche le tue patate. Tra l’altro, so che ci sono dei begli orti con tanta roba buona, di fianco al tuo.. . ma sono contento lo stesso. Grazie, Giò.’ Intanto Giò, che si lasciava guidare ormai esausto verso casa dall’uomo, non poteva crederci: era stato così affamato e così distratto dai pensieri, che aveva rubato a casa sua. Sarebbe bastato andare alla luce del sole, scegliendo più serenamente la direzione e non avrebbe avuto bisogno di scappare per aver ben più di qualche patata. Ma in fondo forse era davvero così la sua nemesi, scappare. Però, sulla via del ritorno, le sue stesse parole, che Topino aveva continuato a ripetere , gli ridondavano ora nella mente. E iniziava a chiedersi se la sua vita fosse stata per caso , davvero, un orto, incolto, da guardare e godere alla bella luce del giorno, in cui invece stava rubando lui stesso qualcosa.
I campi intorno, intanto, cominciavano a rifrangere mille e più schizzi di colori vivaci, mentre lui pregava in cuor suo di non dover scoprire mai la risposta a quella domanda.

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