“Inquietudini quantiche” di Rino Casazza


 

 

Pòtrio Remòd non sapeva se crederci o considerarlo un miraggio. Nessuno era mai riuscito a comunicare oltremuro. Su Altra Lasturbe  circolavano addirittura voci, chissà se leggende o rimasugli di un’antica  conoscenza, che fosse un’ invenzione. In tal caso il Muro avrebbe separato Lasrturbe dal nulla.

Pòtrio era convinto che in tutta Lasturbe non ci fossero conoscitori al suo livello dei computer quantici. Possibile che ad Altra Lasturbe  ce ne fosse uno? Eppure sembrava proprio così!

Gli venne da fantasticare dove  Ràfana Luss  si trovasse in quel momento. Il che equivaleva a immaginare l’aspetto della mitica Altra Lasturbe.

Era anch’essa una città fatta di una selva di altissimi grattacieli, come Lasturbe? E Ràfana abitava come lui una ministanza espandibile, fino al raddoppio della sua grandezza, nelle quattro dimensioni arrotolate dello spaziotempo? Una ministanza egualmente in un edificio di gommacciaio riscaldabile?

Non aveva ancora provato a chiederglielo ma gli sarebbe piaciuto che Altra Lasturbe fosse del tutto diversa dalla sua omologa d’oltremuro. Se la figurava come una città bassa, formata da una quantità di piccoli edifici dislocati in un spazio molto più vasto dei miseri 5 chilometri quadrati di Lasturbe. Magari senza nemmeno un campo di forza elettrovravitonucleare a proteggerla dal cielo malato della Terra… Be’, questo era di certo un’utopia: anche Altra Lasturbe non poteva sfuggire ai problemi dell’affievolimento atmosferico …

Più di tutto avrebbe voluto che fosse meno grigia e monolitica di Lasturbe, che lui sentiva come una camicia di forza. La sua organizzazione era così perfetta che non avrebbe saputo come migliorarla, eppure viveva in uno stato di perenne scontento. Non potendo rivolgerlo verso le condizioni di vita cittadine, finiva per sfogarlo sugli altri, tutti gli altri, compresi i suoi genitori. Non sapeva meglio spiegare questa misantropia cosmica se non con l’insopportabile piattezza dei suoi concittadini.

All’orecchio di Pòtrio risuonò l’ultrasuono del comunicatore olografico del padre Nìrmo. La cosa lo sorprese: a quell’ora del mattino il genitore era impegnatissimo al Centro Genodemografico di Lasturbe . Lo sfiorò il dubbio che sospettasse qualcosa ma lo scacciò con un sorriso perfido: il padre era un esperto di “proclonazione” ma s’intendeva poco  di computer quantici e non era nemmeno in grado di  immaginare le loro potenzialità inespresse.

Acconsentì vocalmente al colloquio.

-Pòtrio!- tuonò la voce del padre, prima ancora che la si materializzasse la proiezione della sua immagine  -Il check-up!-

Accidenti! Ecco il motivo della chiamata. Il padre aveva ragione. Si era così appassionato alla sua scoperta che aveva perso la cognizione del tempo. Gli restava un quarto d’ora per presentarsi al Centro Medico di Settore.

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Nella ministanza di Stéffilo Modàt, al seicentoventesimo piano della Sede Miliziana di confine Muro, l’ologramma di Nìrmo Retòc gesticolava animatamente.

-Se non glielo ricordavo, mancava il check-up periodico! No quel ragazzo così non va. Pensa solo al suo computer quantico. Non ha vita sociale. Praticamente ignora i suoi coetanei.-

Da dietro la postazione multimediale Modàt, imponente nella divisa amaranto di Vice Capitano di Settore, lo ascoltava annuendo.

-Stamattina l’ho chiamato anch’io per ricordargli il controllo!-

-Di bene in meglio! Le maniere forti ci vorrebbero. Quel suo maledetto Q.I.!-

Già. Steffilo concordava in toto con il coniuge. Loro figlio approfittava della sua genialità, che costringeva tutti a usargli a un occhio di riguardo. Non vedeva l’ora che il ragazzo finisse il periodo di formazione interdisciplinare, così avrebbe dovuto impegnarsi a fondo per dimostrare quanto valeva.

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Tutte le volte che usava il trasporto virtuale, come quella mattina , Pòtrio non poteva fare a meno di ammirare quella tecnologia, culmine di millenni di progressi nello spostarsi velocemente e col massimo risparmio di energia.

I velivoli individuali erano molto maneggevoli ed economici ma neppure paragonabili.

Il trasporto virtuale era  istantaneo, sia pure con un raggio d’azione ristretto a Lasturbe (oltremuro non si riusciva ad andare), ma a spostarsi  non era il corpo del viaggiatore bensì una “proiezione supertridimensionale” che lo riproduceva, anche negli organi interni!, con approssimazione al miliardesimo di nanometro. Il proprietario del corpo origine poteva comandare a distanza l’immagine  dalla “campana di manovra”, che ricreava al suo interno, in proiezione supertridimensionale ipercompressa, il settore di spazio di destinazione, entro un raggio di dieci metri.

Al Centro Medico di settore avrebbero storto il naso, perché preferivano la presenza fisica dei pazienti, ma non si sarebbero potuti opporre: ai fini degli esami clinici, corpo e proiezione supertridimensionale si equivalevano.

Quanto agli esiti delle analisi, erano scontati: avrebbero trovato un più alto livello di contaminazione rispetto all’ultimo controllo. La schermatura di Lasturbe  attenuava ma non preservava dalle letali radiazioni del sole malato.

Non meno noiosamente scontate, erano le reprimente dei padri. Quelli sapevano solo fare i guardiani delle regole, anche quando, come in quel caso, lui aveva solo sfiorato di contravvenirle.

Pòtrio aveva deciso di ingraziarseli con un contentino: quella sera sarebbe andato in un locale d’incontro per giovani. Niente di più noioso, ma almeno  i genitori si sarebbero rinfrancati al pensiero che lui là avrebbe potuto fare interessanti conoscenze, magari trovarsi un fidanzato. Lo spronavano continuamente, irritati per il suo disinteresse, che contrapponevano alla loro intraprendenza alla stessa età. Potevano star freschi! Le relazioni erotiche lo stomacavano. Verso i coetanei provava al massimo amicizia, e forse nemmeno quella: erano tutti così uguali che mettersi con uno di loro equivaleva a masturbarsi, di più: a fare incesto con se stessi.

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Pòtrio era salito traboccante di malumore sul suo veicolo individuale. Accadeva sempre così quando, all’ora del cibo litigava con i padri. Detestava quell’appuntamento quotidiano. Da quando la nutrizione sintetica aveva soppiantato quella tradizionale, ben prima che lui nascesse, che senso aveva il rito di “riunirsi a tavola”? C’erano molti altri modi per comunicare, per esempio un incontro in proiezione supertridimensionale. Eppoi ci si parlava quando serviva, non per abitudine. Così Pòtrio si presentava nella “stanza del cibo” ( ma quale cibo?) solo per mal sopportata disciplina, sbattendo in faccia ai genitori  la sua insofferenza. Ciò irritava i padri. Nella maggior parte dei casi Pòtrio si sorbiva in polemico silenzio la loro solita lezione sull’importanza delle regole. A volte però non riusciva a fare a meno di contraddirli e scoppiava il litigio. Quella sera si era presentato con le migliori intenzioni,  pronto a ingurgitare senza far storie le barrette colorate insieme a loro. I padri però lo aspettavano al varco. Prendendo spunto dalla visita periodica “quasi” mancata, s’erano prodotti in una filippica contro il suo atteggiamento negativo e asociale. Lui aveva controbattuto rimproverandoli di non capir nulla di lui e delle sue aspirazioni.

Alla malora!, se ne sarebbe andato al locale di svago solo per sbollire l’arrabbiatura.  Ma contava di tornar presto, e dedicare tutta la notte a riprovare  il collegamento con Ràfana Luss.

Appena lanciato l’ovoidale bozzolo in plastimetallo tra i vertiginosi canyon di Lasturbe, come sempre fu colpito dall’aspetto del cielo al di là della cupola elettrogravitonucleare. La memoria storica tramandava il suo colore azzurro sempre mutevole, ora la tenebra dello spazio profondo era rotta dal chiarore puntiforme delle stelle lontane e dal semicerchio abbacinante della stella vicina, in procinto di sprofondare sotto l’orizzonte.

Per fortuna era tutta luminosa, Lasturbe, e percorsa da un vivace traffico di velivoli. Chissà dove andava tutta quella gente, con che illusione di felicità. I locali di svago erano numerosi, e molto frequentati. Luoghi dove si facevano e disfacevano incontri sessuali, qualche volta amori. Tanto era la programmazione demografica a stabilire le coppie, peraltro non tenute alla fedeltà. Pòtrio sapeva benissimo che i suoi due padri si concedevano, all’occorrenza, divagazioni extraconiugali. La cosa lo lasciava freddo perché riteneva fosse la solita minestra riscaldata. Come il loro rapporto con lui, fatto di una durezza che causava continue incomprensioni. Erano totalmente incapaci di cogliere le sfumature, di condividere i suoi pensieri.

I locali di incontro erano grandi stanze spoglie con postazioni multimediali dedicate a giochi competitivi, di combattimento e matematici.

La socializzazione avveniva prima di tutto a quel livello. Si incominciava a parlare dopo aver conosciuto la forza reciproca ai giochi più in voga: “abbatti cupola”, in cui alternativamente si doveva distruggere e  proteggere un campo di forza elettrogravitonucleare simulato e “primo nei numeri”, in cui bisognava trovare nel più breve tempo tutti numeri primi nascosti in una sequenza numerica.

Pòtrio era fortissimo a tutti i giochi. Ma si stancava presto, perché giocare diventava un’occupazione meccanica e lui aveva bisogno aprire la mente. Da ultimo, verso la comunicazione oltremuro e Ràfana Luss.

Non parlò con nessuno quella sera. Vinse una raffica di partite e lasciò gli occasionali compagni di svago chi alle chiassose postazioni multimediali, chi agli incontri intimi nelle camere riservate espanse nelle “4 dimar”.

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Pòtrio preferiva le 4 dimar all’universo quadrimensionale visibile: insonore e senza colori, apparivano come uno sconfinato orizzonte trasparente. Lui poteva muoversi solo nel riquadro dilatato della sua stanza. Qualsiasi oggetto materiale che si spingesse oltre, anche il suo corpo, scompariva nel nulla.  Pòtrio adorava galleggiare in sola compagnia della sua mente e degli strumenti preferiti: oltre al computer quantico, la campana di manovra e l’olenciclopedia a consultazione istantanea.

Pòtrio, concentratissimo, dettava secche sequenze numeriche al comando vocale e l’oloschermata del computer quantico si riempiva del bianco brulichio di simboli matematici, pulsanti sullo sfondo nero. Anche la campana di manovra, in funzione, lampeggiava debolmente.

Era la sinergia tra la superproiezione del trasporto virtuale e l’entanglement dei calcolatori quantici a permettere di aggirare il Muro. Pòtrio era orgogliosissimo della sua intuizione, così temeraria. Il messaggi inviati in formato supertridimensionale ipercompresso rimanevano al di qua del Muro ma , appartenendo a sistemi quantistici correlati pur se lontani, si abbinavano alle risposte, e viceversa, nel territorio dell’altra città.

Messaggio e risposta viaggiavano sempre accoppiati. A volte la risposta precedeva il messaggio. Venivano trasmessi e ricevuti dalla campana di manovra, ed erano  leggibili come proiezioni di minisettori spaziali.

Pòtrio entrò nella campana  e indossò il visomanovratore. Si trovò davanti ad una tastiera di un bianco lattiginoso, immersa in un buio totale, una specie di  oloschermo gigante a 360 gradi.

Digitò il primo messaggio. Non era necessario che Ràfana fosse in linea in quel momento. La comunicazione “quantico-superproiettiva”  era asincrona. Bastava solo che il suo interlocutore si fosse messo in contatto in un momento qualsiasidopo l’ultima volta.

Davanti a lui, sul bombato sfondo di pece della campana, si materializzò una striscia chiara.

CHE BELLEZZA RISENTIRTI PÒTRIO! RAFANA CI SEI?

Pòtrio sorrise. Ràfana era molto cerimonioso. Non c’era abituato, e la cosa glielo rendeva simpatico.

TUTTO BENE? NO…

NOIA DI QUESTA VITA SEMPRE UGUALE. PERCHE’?

QUA LA MANO.20! QUANTI ANNI? IO 19

DA DOVE MI RICEVI? DA UN POSTO NON MOLTO CARINO CHIAMATO CAMPANA DI MANOVRA

Pòtrio era eccitato: lo stesso mezzo di trasporto di qua e di là dal Muro!

Gli sarebbe piaciuto sapere come Ràfana era arrivato a capire che  si potevano combinare superproiezione ed entaglement, ma l’altro lo precedette.

HO PENSATO A UNA COMUNICAZIONE RECIPROCAMENTE ISTANTANEA. COME SEI ARRIVATO A COLLEGARTI DALL’ALTRA PARTE?

Pòtrio trovava meraviglioso che quando  l’altro inviava un messaggio  questo, per effetto quantico anticronologico, comparisse insieme alla sua risposta primache l’avesse inviata.

ABBIAMO UN CAMPO DI FORZA ELETTROGRAVITONUCLEARE CHE CI PROTEGGE. COME VA DA VOI L’AFFIEVOLIMENTO ATMOSFERICO?

Un altro elemento in comune tra le due città… Pòtrio incominciava a pensare che non fossero gemelle ma addirittura copie. Lo confermarono le successive -domarisposte-.

PICCOLINA ANCHE SE GRAZIOSA! 5 KM QUADRATI. QUANTO E’ GRANDE LA VOSTRA CITTA’?

ANCHE NOI. ABITIAMO IN GRATTACIELI DI GOMMACCIAIO RISCALDABILE, VOI?

CONOSCETE LE 4DIMAR? CERTO CI ESPANDIAMO LE NOSTRE STANZE PER GAUDAGNARE SPAZIO

La connessione saltò. Be’, poteva dirsi soddisfatto : era durata almeno il doppio dell’ultima volta.

C’era però qualcosa che non tornava.

Questo Ràfana sembrava vivere una situazione identica alla sua. Anche l’ atteggiamento di lui era uno specchio del suo, a parte un’ eccessiva, ma piacevole leziosità verbale.

E contattarlo stava dimostrandosi persino troppofacile…

Naturalmente lui, ben sapendo che a Lasturbe tutto era sotto il controllo della Milizia, s’era premunito perché l’attività del suo computer non fosse rilevabile.

Ma la Milizia si preoccupava di impedire contatti fisici col Muro, intensamente radioattivo, disinteressandosi di eventuali tentativi di comunicare al di là, relegati al rango di superstizioni, come leggere il futuro o interpellare i defunti, dalla conclamata impenetrabilità fisica di quella barriera.

Tuttavia…

Pòtrio rimase ancora nel prolungamento di stanza a riflettere. Tutte le domarisposte prima della sconnessione avevano confermato che Altra Lasturbe  era una versione  simmetrica di Lasturbe . La stessa città in uno spazio contiguo. In mezzo, il Muro.

Due città speculari, e divise…Perché?

Sull’epoca pre-Muro circolavano leggende ancora più fantasiose di quelle sull’altra città. Eppure qualcuno doveva averlo messo lì, il Muro. E la storia, che il sapere ufficiale di Lasturbe faceva incominciare 300 anni prima, con il gruppo dei sopravvissuti alla Grande Glaciazione, “doveva” aver avuto un passato. Non era possibile che quel nucleo originario si fosse ritrovato in una città di grattacieli protetta dalla cupola del campo di forza e sbarrata dal Muro. In realtà la questione delle origini era scarsamente sentita, a Lasturbe. Prevalevano i problemi di sopravvivenza, su cui si concentravano tutte le energie. Pòtrio era consapevole che avrebbe fatto meglio a imitare i suoi 20.000 concittadini, dedicandosi ai campi di interesse più importanti: le fonti energetiche, la manutenzione della cupola, la produzione del cibo sintetico e la pianificazione demografica. Ma non poteva farci nulla se a Lasturbe lui si sentiva irrealizzato e, pur incapace di dire cosa avrebbe potuto esserci di diverso, stentava ad accettare che il suo mondo fosse racchiuso nei confini del pur straordinario miracolo tecnologico della città. Stava male pensando che, allo scoccare del ventesimo anno di età, finito il periodo di formazione interdisciplinare, l’avrebbero inserito in un ramo operativo e, sopraffatto dagli impegni quotidiani, avrebbe dovuto diventare un provetto lasturbiano, cocciuto, efficiente e ruvido come i suoi genitori. Sapeva già che c’erano grandi aspettative sul suo contributo  nella quantinformatica applicata. La quantinformatica lo entusiasmava ma per motivi diversi da quelli che gli altri immaginavano.

O no?

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Pòtrio aveva avuto parecchie discussioni col padre Nìrmo sulla pianificazione demografica. Pòtrio insinuava che obbedisse a criteri eugenetici e il genitore si spazientiva.

-Vuoi metterti nella zucca che la scelta delle famiglie abilitate è casuale? Volutamente, scientificamente casuale. La selezione guidata dei caratteri produce una super discendenza solo nelle prime generazioni ma alla lunga determina un decadimento irreversibile.-

-Mi rifiuto di credere che quando il Centro Genodemografico ha scelto “casualmente” te e papà Stéffilo non sapesse che avreste procreato un genio.-

-Magari! Ci saremmo opposti alla tua nascita!-

Pòtrio aveva finito per convincersi che i calcoli cambinatori, basati sulla legge del caos, di cui il padre gli parlava guidassero effettivamente la pianificazione demografica. I corredi genetici di papà Nìrmo e papà Stéffilo si erano fusi nella sua proclonazione per puro gioco della sorte.

Questa tecnica riproduttiva era circondata dal segreto, e non c’era da stupirsene visto che rappresentava un pilastro  per la sopravvivenza di Lasturbe. Neppure il padre Nìrmo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, era addentro a tutti i suoi dettagli. Campioni di liquido seminale di tutti gli abitanti finivano nella banca del Centro Genodemografico. Al momento opportuno venivano combinati per formare un nuovo individuo. La fase finale del processo si svolgeva in un’area protetta e riservatissima del grattacielo del Direttorio. I nuovi proclonati venivano affidati alle famiglie quando all’età di un anno e mezzo.

Proprio per questo era poco credibile che il Direttorio, e la sua longa manus, la Milizia, non conoscessero a fondo le caratteristiche di ogni abitante della città.

La Milizia contava su un organico pari a 1/5  della popolazione attiva, ma la criminalità a Lasturbe, fondata sulla distribuzione ampia ed egualitaria delle risorse, era marginale e quanto alla difesa fisica del ( o dal?) Muro non giustificava  un contingente così folto. A cosa servivano tutti quei Miliziani?

Pòtrio aveva più volte affrontato l’argomento col padre Stéffilo.

-Scemenze! La Milizia oltre a vigilare sul Muro, e sull’ordine pubblico in città (compito non impegnativo, ma la guardia non va maiabbassata) sorveglia i confini extramuro .-

Già. Il campo di forza elettrogravitonucleare era stretto dai ghiacci, contaminati da radiazioni letali, che ricoprivano il pianeta . Il campo di forza, al contrario del Muro, era superabile, e spesso si verificavano fughe dalla città, anche di gruppi consistenti, per sindromi claustrofobico-depressive. Un buon motivo per non lasciare sguarniti i confini.

Con tutto ciò, a Pòtrio pareva che i miliziani rimanessero troppi. Quali erano i loro compiti non apparenti?

Mettiamo che svolgessero una capillare azione di spionaggio interno…

E se si fossero accorti del suo tentativo di mandare messaggi ad Altra Lasturbe con una tecnologia innovativa, di cui magari il Direttorio era già a conoscenza?

La Milizia era la più tollerante delle polizie. Ricorreva alla forza solo in casi estremi, che proprio per questo attiravano l’attenzione. Se volevano sbarazzarsi di lui senza dare nell’occhio dovevano farlo passare per una fatalità. Ciò poteva richiedere tempo; nel frattempo, si trattava di rendere innocui i suoi contatti oltremuro…

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-Pòtrio sta esagerando!- sbottò Stéffilo Modàt. Era l’ora di cena e il figlio aveva fatto sdegnosamente sapere che non sarebbe venuto.

Nìrmo Retòc era esasperato quanto il coniuge dal ribellismo del figlio.

-Comincio a scocciarmi…-

-A chi lo dici…Com’è il livello dei test di formazione interdisciplinare?-

-Sceso un po’, ma non abbastanza per intervenire. Il suo punteggio rimane superlativo anche se non s’impegna…-

Già, pensava Nìrmo. Il problema con quel ragazzo stava tutto lì. Fin da quando l’avevano affidato alla loro potestà genitoriale. Troppo perspicace, troppo avanti. Da bambino faceva andare in tilt il roboeducatore con domande complicate. Imparava a velocità formidabile. Ma era un genio sempre scontento. Eppure le basi scientifiche, tecnologiche e sociali di Lasturbe dovevano essergli chiare più che a qualsiasi altro. Infatti ne riconosceva l’ eccellenza. Ma sosteneva che era un’eccellenza solo funzionale, tutto serviva per raggiungere uno scopo. -Guarda la tua divisa- gli aveva detto una volta. E lui: -Be’? che cos’ha?-. – E’ la solita tuta  in plastimetallo supersottile che si distingue dagli abiti civili solo per il colore.- -Certo: serve a mantenere la temperatura corporea e a difendere dalle radiazioni non filtrate dalla cupola-. -Appunto.- Quell’irritante formula chiudeva spesso e volentieri i dialoghi con Pòtrio.

Fosse per lui e Stéffilo, gli avrebbero vietato l’uso del computer quantico, che oramai era diventato una propaggine delle sue elucubrazioni da straniero in casa propria. Ma se si fosse ribellato a un simile intervento, il Direttorio, in assenza di dimostrabile abuso o di scarso impegno nella formazione individuale, gli avrebbe dato ragione.

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Pòtrio si era autoconfinato nel prolungamento di stanza. Non che si sentisse protetto, lì, ma almeno il suo disagio trovava un po’ di pace.

Le conversazioni con Ràfana Luss gli avevano spalancato la mente, svelandogli cosa non andava in Lasturbe. Il fastidio indefinibile per l’ aridità della sua organizzazione e l’ omologazione dei suoi abitanti era un segnale inconscio.

La città era un subdolo inganno.

Prima di allora, aveva sempre dato per scontata l’alimentazione del generatore sotterraneo di energia elettrogravitonucleare.

Come tutti sapevano, il generatore funzionava a materia oscura riconvertita, una fonte di approvvigionamento inesauribile visto che le particelle  della materia oscura, i “kriptoni”, avevano massa 5 volte maggiore delle particelle visibili.

La conversione dei kriptoni in energia necessitava essa stessa di enormi quantità di energia, che venivano ricavate dal prodotto finale attraverso circuiti a retroazione che sfruttavano (come la comunicazione quantico-superproiettiva!) effetti anticronologici.

Le formule erano complicate e in più non erano disponibili schemi e piante dettagliate del generatore, tuttavia, secondo i calcoli di Pòtrio, sembrava incompatibile produrre in via anticronologica la colossale dose di energia necessaria all’autoalimentazione einsiemequella, altrettanto ingente, indispensabile alle funzioni ordinarie del generatore.

Ma il generatore funzionava, altrimenti addio campo di forza addio cibo sintetico, addio proclonazione, addio tutto: i ghiacci radioattivi avrebbe fagocitato Lasturbe.

Nella mente di Pòtrio incominciava ad affacciarsi l’idea che la spiegazione di questo controsenso stesse nel Muro e in Altra Lasturbe.

Se , come risultava dalle confidenze di Ràfana Luss, Altra Lasturbe era identica a Lasturbe, il suo generatore a materia oscura, analogamente a quello della città gemella, non sarebbe riuscito ad autoalimentarsi e, nel contempo, a far fronte alle richieste di energia necessarie alle condizioni di vita lasturbiane.

Così, uno dei due generatori doveva compensare l’energia dell’altro, riducendo in modo drastico quella che poteva fornire alla sua città. Non c’era scampo: il tenore di vita degli  Altralasturbiani doveva essere di gran lunga inferiore a quello dei Lasturbiani.

Pòtrio avrebbe voluto tenere a freno l’immaginazione, ma non ci riusciva.

Altra Lasturbe doveva essere un città sotterranea, perché non poteva permettersi un campo di forza protettivo.  Per gran parte doveva essere occupata dal generatore, attorno a cui si stipava la popolazione, distribuita non in stanze ma in anguste similgrotte mal riscaldate. A parte la Milizia, i tecnici genodemografici  e quelli dedicati al controllo di processo, gli abitanti dovevano essere adibiti al funzionamento quotidiano e alla manutenzione del generatore.  Il cibo doveva essere razionato. Nessun ausilio tecnologico diffuso. Nessuno svago. Vita media ridotta, intorno ai cinquant’anni, perché le radiazioni penetravano nel sottosuolo. Poiché simili condizioni non potevano venir accettate spontaneamente, la Milizia doveva esercitare un ruolo oppressivo, di controllo militare. Il rapporto miliziani abitanti doveva essere vicino all’ 1 a 1.

Ràfana Luss non esisteva. Era uno specchietto per le allodole.  I  messaggi di Pòtrio in comunicazione quantico-superproiettiva non trovavano sponda oltremuro. Era la Milizia di Lasturbe a rimbalzarglieli  per fargli credere alla favola della città identica.

Era in pericolo. La sua nuova tecnologia minacciava l’equilibrio tra le due città. Per poter continuare in quel rapporto parassita/parassitato, dovevano rimanere ignare l’una dell’altra.

Se la comunicazione quantico-superproiettiva fosse divenuta pubblica c’era il rischio che qualche lasturbiano riuscisse a stabilire un contratto oltremuro.

Ad Altra Lasturbe, bene o male, doveva esistere  un’aristocrazia,  in possesso di cognizioni quantinformatiche. Qualche suo membro, magari un tecnico giovane e inquieto come Pòtrio, avrebbe finito per rispondere.

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-Suo figlio- disse il Comandante di settore.

Ci siamo!,  pensò Stéffilo Modàt.

-Trascorre troppo tempo nel prolungamento di stanza.-

Il Comandante l’aveva convocato per un colloquio di persona, cosa che accadeva rarissimamente. Di solito tra loro c’erano contatti olografici. Già questo era indicativo di grane.

-Già… Ha messo lì il computer quantico e ci passa ore e ore davanti. Ma la permanenza nel prolungamento di stanza è libera …-

-E’ una battuta?- L’ umorismo non era di casa, a Lasturbe. Veniva considerato un segno di mollezza. Erano in voga solo grezze spiritosaggini a sfondo sessuale.

-Naturalmente no.-

-Sappiamo bene cosa fa. L’uso del computer  è tracciato. E non risulta nulla di anormale. Ma è strano che passi tutto quel tempo a giocare o studiare. Potrebbe fare altro sotto schermatura.-

Ci mancherebbe pure questo!,pensò Stéffilo..

-Le procedure prevedono un controllo in superproiezione coperta.-

La superproiezione coperta… La Milizia ricorreva eccezionalmente a quel dispositivo segreta.  Pòtrio doveva aver davvero esagerato col computer quantico per attirare su di sé simili attenzioni.

Ma perché il comandante stava informandolo preventivamente? Un gesto di riguardo?

-Deve farlo lei-

-Come??-

-Lei è il miliziano che più facilmente, senza dare nell’occhio, può trovarsi in coordinate dell’universo quadrimensionale vicine al prolungamento di stanza di suo figlio.-

Ah, ecco! La “criptosuperproiezione” nelle 4 dimar era più efficace in prossimità del punto d’intersezione con l’universo visibile.

Molto bene. Era meglio che, se Pòtrio stava davvero combinando qualcosa di scorretto o pericoloso, fosse uno dei suoi genitori a scoprirlo. E se il ragazzo fosse risultato passibile di misure correttive, come previsto per i giovani in età formativa, lui e Nirmo le avrebbero salutate con soddisfazione!

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Se stesse sbagliandosi? Pòtrio era tormentato. Le formule per la conversione della materia oscura in energia erano complesse fino all’astrusità. Piccoli scostamenti nei risultati potevano garantire, o meno, l’equilibrio dei circuiti a retroazione su cui si fondava l’autonomia del generatore di Lasturbe. Pur potendo avvalersi della potenza di calcolo del suo computer quantico, oltre che di un innato talento matematico, il margine di errore era troppo elevato.

In più lui non era sereno in quel momento.

S’era fatto troppo condizionare dalle risposte “a specchio” di Ràfana Luss.

Eppure, doveva essere molto più sicuro sul funzionamento della comunicazione quantico-superproiettiva, parto dei suoi sforzi appassionati, che del generatore a materia oscura, concepito e realizzato da altri.

Captare e manipolare messaggi in modalità quantico-superproiettiva, per quanto organizzato fosse lo spionaggio della Milizia, richiedeva conoscenze molto raffinate. Nei suoi contatti con Ràfana Luss lui non aveva notato nulla di anomalo. All’ipotetico ”gioco di rimbalzo” c’era arrivato per deduzione. Possibile che fossero riusciti a ingannarlo così bene?

C’era un’altra considerazione. Lui lavorava alla messa a punto del suo congegno da un paio di mesi, ma ne aveva studiato e sviluppato i presupposti fisico-teorici da più di un anno. Se la Milizia era così onnipresente e onnisciente, come mai non si era mossa nella fase iniziale del suo tentativo?

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Anche se era un’indubbia meraviglia tecnologica,  il prolungamento di stanza nelle 4 dimar metteva i brividi a Stéffilo Modàt. Quel piccolo parallelepipedo sperduto in mezzo al nulla assomigliava ad un loculo incassato nel cuore inerte della materia.

Meno ci andava, meglio si sentiva. Per lui era solo un utile ripostiglio. Preferiva mille volte rimanere nell’universo quadrimensionale. Si stava un po’ stretti, ma si potevano godere i benefici di Lasturbe, spocchiosamente schifati dal figlio.

Ma questa volta gli toccava. I membri della Milizia dovevano tenere la campana di manovra per la superproiezione coperta in un’ extrapropaggine nascosta del prolungamento di stanza.

Pòtrio aveva appena finito la seduta giornaliera all’olomisuratore di apprendimento e si era ritirato nel suo.

Stéffilo aspettava quel momento per entrare nella campana segreta. Indossò il visomanovratore e fornì le coordinate del figlio.

La superproiezione coperta funzionava, dal lato del viaggiatore, come quella normale: nella campana di manovra compariva il settore di spazio di destinazione, nel quale il super proiettato poteva muoversi come se fosse lì. Ma chi vi si trovava realmente non si accorgeva di lui. Le regole della Milizia imponevano l’oloregistrazione del viaggio, per scoraggiare resoconti infedeli, ammesso che qualcuno fosse tanto pazzo da non riferire puntualmente l’ andamento della missione.

Pòtrio stava davanti al principale, lo si poteva ben dire!, amore della sua vita. Sull’oloschermo comparivano rapidissime sequenze numeriche, dettate dal ragazzo al comando vocale.

A giudicare dall’aria accigliata, Pòtrio, incurante dello scenario deprimente delle 4 dimar. Pòtrio stava cimentandosi in un arduo problema matematico,

Tutto normale, per il momento: la matematica era una passione del figlio.

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Pòtrio era prigioniero in un labirinto di equazioni senza uscita. Più raffinava i calcoli, e più aumentava la quantità di incognite da risolvere. L’equilibrio energetico del generatore di Lasturbe si presentava in stato quantico “stabileinstabile”. Senza osservarne direttamente il funzionamento, era impossibile stabilire se reggesse o avesse bisogno di energia aggiuntiva.

A meno che… Una intuizione fulminea attraversò la sua mente.

Forse l’instabilità dei generatori,  lasturbiano e altralasturbiano, era reciprocamente compensativa. I loro circuiti a retroazione, insomma,  potevano essere inseriti in un sistema integrato, capace di risolvere le insufficienze di auto ed etero alimentazione che i due generatori, singolarmente, presentavano.

Stéffilo colse immediatamente quella luce ispirata nello sguardo del figlio. La conosceva bene. Pòtrio aveva un carattere chiuso, ma si trasfigurava quando i suoi pensieri agganciavano qualche idea entusiasmante. Salvo poi, per non smentire la sua musoneria, tenerla per sé …

Stéffilo si concentrò nell’osservare cosa stava facendo Pòtrio.

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Pòtrio era smanioso di calcolare le condizioni di equilibrio di un sistema integrato di due generatori a materia oscura, ma si avvide subito che avrebbe incontrato  difficoltà esponenzialmente maggiori di quelle in cui fino ad allora si era incagliato.

Ma l’ipotesi della reciproca compensazione gli pareva, oltreché fondata, molto suggestiva. Era in un certo senso, sia pure dal punto di vista scientifico, la quadratura delle sue confuse aspettative.

Lasturbe era un mondo troppo graniticamente autosufficiente. Era bello pensare che, invece, per sostenersi avesse bisogno di dare e ricevere da un altro soggetto. E forse lo scambio con Altra Lasturbe avrebbe potuto avvenire su altri piani, dopotutto l’altra città era un’ entità distinta e al di là delle somiglianze doveva avere caratteristiche proprie, diverse da quelle di  Lasturbe.

Stava entusiasmandosi. Sorrise al pensiero di quanto sarebbe risultata indigesta ai padri quell’esaltazione basata sul niente.

Una cosa era certa: aveva commesso un errore a considerare Ràfana Luss un inganno.

Certo non poteva escluderlo, e per scoprirlo doveva rischiare un altro contatto, tuttavia  sentiva, irrazionalmente ma con altrettanta convinzione, che quell’ altralasturbiano non l’avrebbe deluso.

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Stéffilo era sbalordito.

Pòtrio a un certo punto si era infervorato, incominciando una sequenza di azioni, una specie di rituale che vedeva per la prima volta.

Riavviato il computer, il ragazzo aveva acceso la campana di manovra, che emetteva deboli bagliori a un ritmo che pareva accordarsi col succedersi sull’oloschermo buio delle formule dettate dal ragazzo al comando vocale.

Stéffilo si era avvicinato, cercando di interpretare le stringhe numeriche che affollavano l’oloschermo.

Incomprensibili.

Inequivocabile, invece, era l’ impazienza di Pòtrio. Ma per che cosa?

Ad un certo punto la campana di manovra aveva smesso di baluginare, rimanendo pervasa di una tenue lucentezza, che veniva da una fonte luminosa rettagolare.

Pòtrio aveva tralasciato il computer per indossare sbrigativamente il visomanovratore ed era entrato nella campana.

Stéffilo l’aveva seguito.

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Pòtrio non stava più nella pelle. Nel buio della campana in modalità di superproiezione quantica il suo viso, rischiarato dal riverbero dell’olotastiera, aveva un’espressione che lasciava trasparire speranza mista ad ansia.

Sullo sfondo scuro comparve la prima scritta bianca.

PÒTRIO! FINALMENTE ! COMINCIAVO A STERE IN PENSIERO! RAFANA SEI LI’?

HO PAURA CHE MI SCOPRANO. TU NO? BE’ SI’, PERO’ E’ TROPPO FANTASTICO PARLARE CON TE!

NON LO SO! CHE T’IMPORTA? GODIAMOCI QUESA EMOZIONE! SECONDO TE PERCHE’ SIAMO SEPARTI DAL MURO?

I TUOI GENITORI CHE COSA NE PENSANO? LE MIE MADRI NON VOGLIONO NEMMENO SENTIR PARLARE DELL’ALTRA CITTA’

CHE PER LORO E’ ARGOMENTO TABU’. COME HAI DETTO??

PERCHE’?? NON QUESTO! COME HAI CHIAMATO I TUOI GENITORI?

Stéffilo leggeva con incredulità quelle frasi appiccicate che si disegnavano sullo sfondo della campana.

Ma c’erano pochi dubbi: erano le battute di un dialogo. Uno degli interlocutori era lo stesso Pòtrio ma l’altro? Ràfana era un nome che gli suonava totalmente nuovo. Sembrava inventato. Magari era effettivamente tutta un’invenzione di Pòtrio, una specie di videogioco.

Ma che diamine voleva significare “madri”?

Stéffilo si sentì invadere da improvviso terrore. Quella definizione non sembrava un divertimento linguistico ma la parola di una idioma sconosciuto.

Il Direttorio aveva visto giusto. Pòtrio stava scherzando col fuoco, la sua smania di conoscenza l’aveva portato a sfiorare segreti da cui avrebbe dovuto tenersi alla larga.

Tutti, anche lui, avevano spesso il dubbio, per quanto confuso, che sull’origine e la struttura di Lasturbe ci fosse una zona grigia, su cui si esercitava un superiore livello di sorveglianza.

La situazione era molto più grave del previsto. L’importante era che Pòtrio fosse distolto al più presto dalle sue insidiose curiosità.

All’improvviso gli sembrò che i confini del prolungamento di stanza stessero svanendo.

Dio mio. I collassi nelle 4 dimar!

Ogni tanto ne accadeva qualcuno, per malaugurati guasti tecnici. Il campo di forza del prolungamento di stanza si indeboliva fino a cedere, provocando la dispersione nelle 4 dimar di chi vi si trovava.

La registrazione automatica delle missioni in superproiezione coperta!

Poteva escludere che non venisse trasferita in tempo reale ad un centro di controllo? Sebbene la Milizia fosse un organismo in apparenza trasparente, al fedele servizio dei cittadini di Lasturbe, di sicuro la misteriosa istituzione sovrastante la influenzava.

Poteva sbagliarsi ma il nulla sterminato delle dimensioni arrotolate stava smangiando le pareti della stanza di Pòtrio. Doveva fare qualcosa. Quel ragazzo era suo figlio.

 


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