"Insanity" di Lucio Figini


Fotografie di Gabriele Zucchella

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1.

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– Ti do fastidio?
– Ma no, basta che non inizi a far muovere le sedie. Già m’inquieta quella specie di lettino in corridoio.
– Tranquillo, mica sono un fantasma.
– E cosa sei?
– Una presenza.
– Non è la stessa cosa?
– No… È molto diverso. Prima di essere fantasma. uno deve morire. Io invece non sono morto. Non ho mai vissuto.
– Non ci ho capito molto.
– Ovvio. Tu sei un non morto diverso. Puoi muoverti un po’ di più, ed è per questo che non te ne accorgi.
– Che dici? Io posso fare quello che voglio.
– Non più di tanto, credimi. Hai solo il guinzaglio un poco più lungo.
– Vai a rompere le palle a qualcun altro, io sono libero… Libero…
– Tranquillo. Va tutto bene. Una decina di metri e sei già in macchina. Accendi il motore, un po’ di musica, uno sguardo al tablet nuovo, ti accendi una siga…
– E me ne vado da questo manicomio… Porca puttana, sono libero, sono libero, sono un uomo libero…
– Se lo dici tu…
– Certo che lo dico io…
– Tranquillo. Va tutto bene…

 

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2.

The Insane Place 
Cos’hai da ridere?
– Non sto ridendo, è l’espressione che mi viene quando scatto.
– Pensi di essere al sicuro perché sei fuori vero?
– Diciamo che non mi spiace che le mura siano robuste.
– Certo, le mura. Ti posso svelare un segreto?
– La solita storia che la follia è dentro di noi e che non bastano le mura per proteggerci?
– Sinceramente pensavo più a quanto avrei voglia di spaccarti quella faccia da stronzo.
– Io non ti ho fatto nulla.
– Su questo avrei dei dubbi. Vieni qui tutti giorni, ti pulisci l’anima con qualche scatto, come se ti importasse. Poi chiudi la porta e te ne vai.
– Che ci posso fare? È la vita. Tu sei da quella parte e io da questa, non è colpa mia.
– E pensi che questo per me faccia qualche differenza?

 

 

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3.

The insane Place

– Mi aiuti, amico?
– A parte che non sono tuo amico. Ma cosa vorresti fare?
– Scavalcare. Dammi una mano,

– Che ci vuole. Fammi lo scalino. Un salto e sono fuori.
– E si… E poi che succede? Magari ti gira male e infili un coltello nella pancia di qualcuno.
– Te lo infilerei a te un coltello… Ma non nella pancia, su per il …
– Vedi? Vedi che sei aggressivo? Pazzo e violento…
– No, amico. Mi hai fatto solo arrabbiare. Io sono la persona più innocua del mondo, con tutti i farmaci che ho in corpo.
– Si.. Si… Lo dici apposta per fregarmi. Io comunque non ti do una mano, non voglio responsabilità.
– Stronzo di un fotografo figlio di puttana bastardo.
– Ecco che ti scopri per quello che sei…
– Provaci tu a stare rinchiuso qui per anni.
– Ma io non sono pazzo.
– No, sei solo stronzo. E da quello non si può guarire.

 

 

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4.

The insane Place 
– Spostati che mi copri l’inquadratura.
– Ma che cazzo vuoi?
– E dai, non essere scortese. Fammi fare questo scatto. La luce è perfetta. L’acqua sul pavimento è la tua pazzia che fa da specchio alla nostra. E il caos che fa da padrone. Le finestre che raccontano di speranza. Verrà benissimo…
– Bel pezzo di merda. Ma che cazzo ne sai tu?
– Non credere. I miei amici dicono che anch’io sia un po’ pazzo.
– Non parlo della follia dei fighetti. Ma di quella vera. Della distruzione vera. Di quella che non ti fa cagare se non conti fino a 20. Che non ti lascia fermare un pensiero per più di tre secondi. Che ti brucia il cervello con una nebbia perenne.
– Su dai, non fare il melodrammatico. Non è che nei sempre consapevole.
– Ma bastano pochi secondi di consapevolezza per fare la differenza.
– Oggi proprio non ci siamo. Mi stai innervosendo. Non puoi fare come tutti gli altri e startene al tuo posto?
– No, amico. Mi avrai appiccicato al culo per sempre. È il minimo che possa fare.

 

 

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5.

The Insane Place
– Maria era seduta proprio li.
– Dove?
– Prima sedia a sinistra. Accanto alla finestra. Era bella.
– Ti piaceva?
– Da impazzire. Scusa la battutaccia.
– Stavate insieme?
– Certo. Era la mia fidanzata. Bastava non farsi scoprire.
– Perché? Era vietato?
– No. Ma una volta una ragazza era rimasta incinta, così almeno si racconta, e da allora ci stavano attenti. A noi intendo…
– Quanti anni aveva Maria?
– 24.
– e tu?
– 41.
– Cavolo… Bella differenza di età.
– Qui non conta molto l’età… come si dice…
– Anagrafica.
– Si. Bravo. Era importante quella mentale. Dicevano che più o meno eravamo li. Suppongo volesse dire che io ero un po’ indietro.
– E non ti importava?
– No. Ero felice. Perché ci lasciavano stare insieme.
– E cosa facevate?
– Potevamo sederci vicini alla mensa. O giocare a carte. Ma la cosa che mi piaceva di più era la domenica, quando si andava in giardino.
– In giardino…?
– Potevo tenerle la mano.

 

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6.

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– Che archi, regalano la sensazione di essere in un tunnel.
– Gran bel tunnel, credimi. E che dire delle finestre, proprio di fronte alle porte. Danno un’idea di libertà, vero?
– Si. Di luce. Di speranza.
-Bene. Allora muoviti a fotografare, poi cala la luce.
– Ti ringrazio. Mi stavo abituando a essere insultato.
– Ma no. Alcuni di noi capiscono. Sei un artista. E che cazzo… mica sei l’ultimo degli stronzi…
– Mi stai prendendo per il culo?
– No. Figurati. La gran parte di voi non sa neppure che esistiamo.
– E dai, non iniziamo col noi e col voi. È vecchia come storia
– E sì. Infatti ora siamo un po’ tutti guariti.
– Be, ammetti che prima erano cazzi per voi, però.
– Guarda che perdi la luce. Muoviti. Se diventa buio è finita.
– Tranquillo, ho un obbiettivo fantastico.
– Ma non so se ti piacerà ciò che vedrai.
– Perché?
– Cambia tutto. La speranza si trasforma in buco nero. Un buco che ti porta alla tomba, nelle pieghe di un’anima che non sai interpretare.
– Mi hai rimesso di cattivo umore.
– Mi spiace.
– Allora perché ti sento ghignare?

 

 

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7.

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– La vedi quella porta?
– Quale?
– La seconda. Lì. Proprio lì. Staccati da quella macchina fotografica un momento. Quella di fronte alla finestra. La seconda, ma sei cieco?
– Ok. Ok. Ma non incazzarti.
– Era la nostra stanza. Io e il mio amico Antonio. Un depresso rompicoglioni. Ma mi ci ero affezionato.
– Capisco. Condividere un luogo per del tempo unisce.
-Tu non capisci un cazzo. Ti sei mai fatto una sega di fianco a uno?
– No. Questo no, ma…
– Ma niente. Provaci e poi mi dici. Senti la sua merda che scende mentre va a cagare e lo senti ansimare quando sporca di sperma le lenzuola. Questo ti unisce davvero.
– Mica si masturbava tutti i giorni, non esagerare.
– In effetti non parlava per mesi, coricato sul letto a guardare il soffitto.
– E tu?
– Io me la godevo. Era la parte migliore del nostro rapporto.

 

 

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8.

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-A destra c’è l’infermeria. Invece sulla sinistra la cucina.
– E se proseguo?
– Sempre dritto per l’uscita. Vai bene così.
– Grazie. Finalmente qualcuno gentile.
– Perché non dovrei esserlo? In questa pensione si sta da dio.
– Bè, non è proprio un paradiso…
– Per me lo è. Mangio. Dormo. Guardo la tv. A volte mi portano anche fuori.
– E ti basta?
– Certo che mi basta. Sai io sono malato.
– E cos’hai?
– Non lo so con precisione. Ma così dicono. E poi qui è di lusso. Puoi riposare la testa.
– Cioè?
– Tu, con quella faccia, dovresti capirlo. Sembri uno che non riposa mai.
– Ci provo. Ogni tanto. Ho degli hobby, come questo.
– Bell’hobby, scusa l’ironia. Comunque hai dovuto pensare per arrivare qui.
– Perdonami, ma proprio non ci arrivo.
– Io non devo fare nulla, solo affidarmi. Mi dicono quando è ora di lavarmi e come lavarmi, e io lo faccio. Quando andare dormire, e io lo faccio. Quando svegliarmi, e io lo faccio. Quando mangiare, e io lo faccio. Quando prendere le medicine. E io lo faccio. Cosa devo pensare per stare bene? Mi dicono anche quando masturbarmi, se ne ho voglia.
– E tu?
– E io lo faccio.

 

 

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9.

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– Dai. Chiedi.
– Ma no…
– Su. Ti si legge in faccia che vuoi farmi quella domanda.
– Ok. Beccato.
– Spara.
– Ma tu ci stavi bene? Qui, intendo.
– Benissimo.
– Ma come?
– Non essere meravigliato. Io non avevo nessuno.
– Ma proprio nessuno nessuno? Una madre ce l’hanno tutti. Non dico un padre, ma una madre…
– Sì. Ma era una… Una troia insomma.
– Ti trattava male?
– No, quello no. Ma era proprio una puttana. Per lavoro intendo. È morta e io sono rimasto solo.
– Ma non ti è mai venuta voglia di uscire?
– Sì. Qualche volta. Ma avevo paura.
– E di cosa?
– Non di cosa, ma di chi.
– Ok. Rifaccio la domanda. E di chi?
– Di quelli come te, credo.

 

 

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10.

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– Ma mi vieni a rompere le palle anche in bagno?
– Scusa, ma la finestra in fondo da una luce perfetta. E che dire delle foglie verdi nell’angolo destro, che sembra intenzionato a entrare, quasi titubante, per non invadere.
– Voi artisti mi state proprio sul culo. Ma almeno lo sai cosa vuol dire invadere?
– Ma sì… In sostanza vuole dire entrare in un luogo senza essere invitato.
-Vuol dire fottersene di un cazzo di privacy. Ecco cosa vuol dire.
– Ti ho chiesto scusa. Ma non dirmi che non ci sei abituato.
– Che qualcuno mi guardi mentre mi lavo l’uccello?
– Eh… Si.
– Me lo scappellavano anche, per pulirlo meglio.
– Grazie. Hai dato l’idea.

 

 

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11.

The Insane Place
– Puoi cortesemente andartene fuori dai coglioni?
– Chissà che disturbo una foto…
– Sto dormendo. Lo vedi?
– Onestamente no.
– Perché non vuoi vedere. Zittisci le voci nella tua testa da microcefalo e stai in ascolto. Mi senti almeno?
– Sento il vento che entra dalle fessure della finestra.
– Non è il vento, è il mio respiro. Sto dormendo, lasciami tranquillo.
– Ok. Ok. Scatto ed esco.
– Ma come, non imbratti un po’ il muro?
– Ma no… Non sono venuto qui per questo.
– Neanche uno sfregio?
– No. Non sono quel tipo di persona.
– Ah, capisco. Tu mi fotti con la vasellina. Fai l’artista. Pubblichi qualche foto fingendo di averci capito qualcosa. E magari ci guadagni anche.
– Non ho questa presunzione. Credo che le immagini abbiano una storia da raccontare. Io sono solo lo strumento.
– Cazzo, se mi state sul culo voi artisti. Preferivo i ragazzini che sono passati la settimana scorsa.
– Perché?
– Una lisciatina sul mio letto e via. Non senti l’odore?

 

 

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12.

The Insane Place
– Portami una birra, quando torni a trovarmi.
– Non posso, lo sai.
– Non si può mai fare nulla. Una birra, cazzo vuoi che sia. Mica sono minorenne.
– Dai, non insistere. Lasciami scattare qualche foto in tranquillità.
– Una birra, amico. Una birra. Che diamine.
– Non posso, lo sai.
– Che palle. Va be, una puttana me la porti?
– Eddai. Non si può.
– Guarda che mi tira ancora.
– Ci sono delle regole. E poi mica la trovo facilmente una puttana che viene con te. Mi tocca pagarla una cifra.
-Va bene, sto buono. Una siga almeno… Cazzo una siga non la si vieta a nessuno.
– Non fumo più, mi spiace.
Non bevi, non fumi e non vai a puttane. Che cazzo vivi a fare?

 

 

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13.

The Insane Place
– Vuoi che ti apra di più le porte?
– Si bravo. Così entra un po’ di luce.
– Inizi ad abituarti?
– A dire il vero si. A volte m’inquietate, ma ci sto facendo l’abitudine.
– Viene bene?
– Cosa?
– Il servizio fotografico. Sei qui per quello no?
– È più una scusa.
– Una scusa?
– Si. Per entrare qui. Un pretesto con il mondo e con me stesso.
– Alla fine, mi stai dicendo che ci stavi cercando?
– Non lo so. Ma vi ho trovati. Si dice che si trova solo ciò che si cerca no?
– Non chiederlo a me, sono pazzo. Lecco le pareti perché non sono mai riuscito a riconoscere la differenza tra il tatto, l’odore e il gusto. E se invece fossimo solo nella tua testa? Magari ti stai inventando come noi dovremmo essere, ma siamo tutto il contrario.
– Dai, questa non è tua.
– No, credo il rimasuglio di qualche seduta psicoterapeutica. Pensa che stronzate mi dovevo sorbire…
– Be, dai. Ci si provava.
– Me ne è venuta in mente un’altra…
– Dimmi.
– Forse devi stare più attento a ciò che trovi d’inaspettato, senza che tu l’abbia cercato. Forse è la cosa più autentica, perché priva di aspettative.
– Cazzo. Questa è buona.

 

“C’è un luogo e un tempo.
Noi siamo il luogo dove pensieri, istinti, emozioni, trascorrono il proprio tempo.
Vi sono parole che non possono bastare. Non possono raccontare i silenzi e spesso non possono mostrare la distruzione.
Perché di questo si tratta, di caos. Io ero già così.
Ci è voluto tutto il tempo dell’abbandono,
perché un’immagine di chi non mi ha mai conosciuto mi rappresentasse.
Fotografato nell’anima”.

 


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