"La Regina Bianca" di Fabio Mundadori


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Nella vita, a differenza che negli scacchi, il gioco continua anche dopo lo scaccomatto.
Isaac Asimov

 

Entro da sola, i suoi grandi occhi chiari mi guardano da dietro la frangetta bionda, il resto dei capelli è raccolto sopra la nuca.
Come al solito tocca a me sistemare i pezzi sulla scacchiera.
– Ricorda, i bianchi sono miei.
Ogni giovedì la stessa storia.
– Perché proprio i bianchi, Barbara?
– Perché sono puliti, loro.
– È solo una convenzione. – rispondo io.
Scuote la testa. – Tutto ciò che è bianco è buono e tutto ciò che è nero è cattivo.
– Per esempio?
Alza lo sguardo al soffitto. – Per esempio lo zucchero è bianco, è dolce: è buono; il buio è nero, toglie la luce: è cattivo.
Potrei smontare le sue convinzioni ma mi limito a guardarla.
– E tu, che sei?
– Lo sai bene. – sorride – Sono cattiva. Per questo i bianchi spettano a me: mi rendono migliore. – sorride ancora.
A volte sembra crederci davvero. Forse ci crede davvero. Io però, non sono qui per questo.
– E poi lo sai, per me bianco o nero ormai non fa più differenza. – aggiunge.
Il mio sguardo abbraccia la stanza, le prime volte mi sentivo a disagio entrando qua dentro: oltrepassavo la soglia e l’odore di lisoformio pungeva le mie narici, le pareti imbottite soffocavano la mia vista con la loro falsa sensazione protettiva; ora l’abitudine ha preso il sopravvento, entro qui e penso solo alla partita.
Come succedeva prima.
Lei percepisce che i pensieri mi stanno portando lontano.
– Nadia, non distrarti. Devi restare concentrata o la vittoria sarà mia.
Mi versa una tazza di tè freddo.
– Hai così voglia di uccidere di nuovo?
– Mia cara, che dici. Sono solo pedoni.
– Io non mi riferisco a quelli.
Sorride. – Lo so bene. Ma ormai ti ho lasciato troppe partite, Nadia. Ho dimenticato che sapore abbia vincere.
– La tua vittoria ha il sapore della morte, Barbara.
– In fondo sarebbe solo l’ultima.
Non rispondo.
– Dai, cominciamo.
Mi siedo di fronte a lei. Guardo i pezzi schierati e penso che dovrei finirla di essere così ligia e fedele alle regole.
Penso che Barbara una cattiveria se la meriterebbe.
Un movimento sbagliato e la tazza cade rumorosamente.
– Non darti pena a pulire, gli inservienti vengono a trovarmi almeno tre volte al giorno. Mi vogliono tutti molto bene qui. – le ultime parole traspirano ironia da ogni sillaba, non posso fare a meno di sorridere.
– Tocca a te. – la incalzo – Hai i bianchi.
Barbara dischiude appena le labbra carnose, poi solleva il pedone della torre di regina e lo muove avanti di una casa.
– Anderssen contro Morphy, 1858.
– Eccellente, Nadia! Noto con piacere che hai approfondito lo studio degli scacchi.
– Sono stata costretta a imparare in fretta.
Apro con il cavallo di re.
– Sì, fai progressi di partita in partita. Sei diventata un’esperta scacchista rispetto alla nostra prima volta.

Ricordo bene la prima volta. Una bruciante sconfitta in poche mosse e il prezzo del fallimento fu la vita di Dario Deri, docente universitario di fisica quantistica. Unica sua colpa: abitare all’indirizzo sbagliato. Ma fu solo la prima vittima del killer seriale che già veniva indicato da tutti come La Regina Bianca.

– Mia cara, è il tuo turno.
Mi distoglie da ricordi che vorrei non mi appartenessero.
– Sì certo, sto pensando. – mento, e lei se ne accorge.
– Non alla partita. – ride quasi di gusto, e non ricordo di averglielo mai visto fare prima.
Attende una mia risposta, ma io le concedo solo uno sguardo silenzioso e lei incalza.
– Hai forse dimenticato le regole?
Le regole, certo. Dimenticarle? Come potrei.
Vorrei gridartelo, Barbara: io ricordo ogni cosa.

Ricordo il messaggio in posta elettronica:
“Il game server è www.chessworld.net. Ti aspetto domani sera. Cercami”
Domani sera. Il primo di tanti giovedì.
Ricordo la caccia che ti stavamo dando in quei giorni, dopo aver ritrovato i primi due cadaveri che avevi lasciato. Entrambi privati del cuore, e al suo posto una regina bianca in avorio.

Vorrei gridartelo, Barbara. Invece mi limito a risponderti.
– Le ricordo bene, le regole. È per questo che vincerò anche questa partita.
Scuote il capo. – Nadia, hai studiato tanto per migliorarti, e ti fa onore, ma non basta. Le partite di scacchi si vincono prima di cominciarle.
– Che intendi?
Ride di nuovo, per la seconda volta in pochi minuti.
– Non lo hai mai capito, non lo avete mai capito giù alla centrale.
Lo fa apposta, vuole confondermi. È già successo in passato, ma questa volta so come comportarmi.
Non le offro appigli e la costringo ad affondare il colpo.
– Secondo te, tesoro, io sono pazza? – mi chiede.
– Tu non sei pazza. Sei solo una spietata omicida, sarà un immenso piacere portare le prove della tua sanità mentale davanti a una giuria che ti condanni al massimo della pena.
È la risposta che vorrei darti, ma sento la mia voce mormorare:
– Qui dicono che sei autistica.
Sorride. – A u t i s t i c a – ripete la parola scandendo le lettere una per volta – ha un suono rassicurante, quasi benevolo.
Sorride ancora. – Come ti dicevo, loro sono buoni con me. Ma tu che pensi?
– Sono un investigatore della polizia, non mi pagano per pensare a queste cose.
– Peccato. Peccato, mia cara! Perché invece dovresti proprio pensare a queste cose!
Lo sta facendo di nuovo, manipola le mie incertezze.
Quella che stiamo giocando non è più solo una partita a scacchi. Così, come succedeva prima.
Prima che la catturassimo e lei si facesse rinchiudere qua dentro.
Prima, quando le regole, nella loro assurda ferocia, erano semplici.
Mi rivedo in centrale il giovedì sera della prima partita, seduta davanti al portatile.

Sullo schermo la scacchiera virtuale, con i pezzi disposti ognuno sulla propria casa. I miei, oscure repliche di demoni, creature infernali con corna, ali membranose e arti bestiali che stringono mazze irte di aculei. I suoi, invece, esseri candidi che riescono ad apparire buoni e giusti anche mentre impugnano letali spade e alabarde.
In quella prima chat la Regina Bianca dettò le proprie condizioni.
Regina Bianca: Ho sovrapposto alla pianta della città una scacchiera immaginaria. Ti aspetterò collegata ogni giovedì sera alle otto per sfidarti. Al termine della partita, se se sarò io la vincitrice, ucciderò una persona, a mia discrezione, nella zona della città corrispondente alla casella dove il re nero subirà scacco matto.

Donna di Picche: Se a vincere sarò io? – digitai sulla tastiera.

Regina Bianca: Nell’improbabile caso in cui tu riuscissi a battermi, avrai impedito la morte di nuove vittime e regalato ai tuoi colleghi qualche giorno un più per trovarmi e catturarmi. Semmai ci riusciranno. 🙂

Poteva permettersi quella caustica ironia: aveva messo in atto difese informatiche tali da rendere pressoché impossibile risalire alla sua posizione.
Le uniche speranze di catturarla erano legate alla mia capacità di tenerla collegata il più a lungo possibile, evitando vittime.

Regina Bianca: Come mai hanno scelto te come mia avversaria, Donna di Picche

Come dirle che gli strizzacervelli del dipartimento avevano sentenziato che “l’intelligenza del killer seriale Regina Bianca era oltre ogni ragionevole dubbio di livello medio basso” e che qualunque giocatore con un minimo di capacità avrebbe potuto tenerle testa?
Scelsero me perché io avevo aperto il messaggio di posta che Barbara aveva inviato alla centrale.
Mentii, come da istruzioni:

Donna di Picche: Perché sono risultata la migliore in un apposito test.

Regina Bianca: Me lo auguro mia cara. Primo, perché sfidare un’altra donna mi gratifica infinitamente di più che affrontare un uomo. Secondo, perché Donna di Picche è davvero uno pseudonimo adeguato per chi deve affrontare una portatrice di morte come me. Terzo…

Donna di Picche: …sì?

Regina Bianca: …c’è un’altra regola: i giocatori non possono cambiare. Da oggi saremo solo io e te. Se verrai sostituita per qualunque motivo o consigliata da altri io me ne accorgerò e comincerò a uccidere a caso.

Donna di Picche: Nessun altro giocherà al mio posto.
Regina Bianca: 🙂 Bene. Cominciamo.

No, non ero io la migliore, invece La Regina Bianca si dimostrò una giocatrice esperta: massacrò la mia tattica, i miei pezzi, il mio morale. E la prima vita umana di una lunga serie.
La carneficina continuò per le successive quattro partite ingenerando altrettante umiliazioni. Ci provammo a fregarla una volta, ma alla fine di quella partita, proprio la quinta…

Regina Bianca: …non credere che non mi sia accorta che c’erano dei consulenti stasera a guidare le tue mosse. Era previsto che ci provaste, prima o dopo.

Donna di Picche: Io mi sono opposta, ma…

Regina Bianca: Oh… lo so bene. Sei troppo orgogliosa per sopportare un affronto simile. Ma non posso perdonare chi tradisce le regole. Tra breve conoscerete la punizione per questo affronto.

Donna di Picche: NO! ASPETTA!!!

Messaggio dal server: l’utente Regina Bianca ha abbandonato la conversazione.

Quella sera furono ritrovati i corpi senza vita di una intera famiglia: padre, madre e due figli.
Stessa efferatezza, niente più cuore nel petto dei corpi senza vita, ma solo al posto di quello della madre c’era una regina bianca; agli altri era stata lasciata una carta da gioco: la donna di picche.
Il messaggio era chiaro: “Questi li hai uccisi tu”.
Non so se fu a causa di questo episodio, oppure grazie al fatto che la mia esperienza fosse aumentata di partita in partita, ma la sesta, la settima e l’ottava furono appannaggio mio, consentendomi di salvare altrettante vite.
L’euforia ebbe breve durata: la nona sfida segnò per me una nuova sconfitta.
Ma alla fine lo stillicidio morale al quale mi ero sottoposta portò i propri frutti: il luogo di ritrovamento dell’ultima vittima, messo in relazione con quelli dei cadaveri legati alle prime cinque partite perse, ci condusse alla tana della Regina Bianca.
Ero presente quando, nel corso dell’irruzione dei corpi speciali nel suo appartamento, una granata al fosforo esplosa a pochi centimetri dal suo volto privò Barbara dell’uso della vista.

Ancora una volta la sua voce mi strappa ai ricordi.
– Mia cara… ti ho forse messa in imbarazzo con le mie domande?
– No, certo che no, Barbara.
Il mio alfiere sbuca dalle retrovie mettendo il suo re nel cuore della propria diagonale di morte.
– Buon gioco, Donna di Picche.
– Sono mesi che non uso più quello pseudonimo. Sei pregata di fare altrettanto.
– Ti chiedo scusa.
E intanto difende il re con il cavallo, il movimento del pezzo apre un corridoio davanti alla sua regina che da un lato minaccia la mia e in diagonale mette sotto scacco il re.
– Scacco?
Fino a qual momento avevo comunicato io la posizione dei pezzi sulla tastiera, che altrimenti lei non avrebbe potuto conoscere. – Come lo sai?
– L’ho sempre saputo. – pone un accento particolare su quel sempre. – Pensaci bene, mia cara: pur sapendo dove avrei ucciso in base all’esito della partita, voi della polizia arrivavate sempre troppo tardi.

Aveva ragione.
A un certo punto delle indagini gli analisti della questura, presero a sostenere che il killer non fosse un singolo individuo, ma due persone: una alla scacchiera e una sul luogo del delitto.
Tale ipotesi risultava però poco plausibile, e comunque cadde nel momento stesso della cattura della Regina Bianca: Barbara, in base ai riscontri che seguirono, venne identificata come l’unica responsabile di tutti gli omicidi.
Tuttavia nessuno fu mai in grado di chiarire il mistero di come potesse agire con tanta rapidità.

Ora è diverso, le partite continuano perché lei dice che ha ancora una vita da prendere, e io devo difenderla.
La verità è che in questura siamo tutti convinti che la sua follia sia solo una commedia e giocare a questa sciarada ogni giovedì porterà a provarlo.
Ma adesso le sue parole stanno gettando squarci di luce negli ultimi angoli oscuri dei suoi delitti – Mi stai dicendo che avevi una talpa in centrale?
Ride. – Tesoro! Tu mi offendi, mi giudichi dunque così prevedibile?
Il suo sguardo spento sembra volermi trafiggere.
– Non lo so se si chiama autismo. Da bambina vincevo qualsiasi sfida, mi veniva naturale. Riuscivo a calcolare tutte le possibili combinazioni di uno scenario di gioco, qualunque esso fosse e negli scacchi questa mia capacità raggiungeva il proprio culmine, donandomi il massimo piacere della vittoria.
E poi, mia cara, i pezzi degli scacchi non tradiscono mai. Hanno movimenti preordinati su sentieri definiti da crocevia bianchi e neri. Spazi delimitati. Se sai come guidarli, sanno esserti fedeli sempre. Pronti a dare la loro vita per te.
Sì, Nadia, crescendo ho capito che potevo spingermi molto oltre nelle mie capacità, fino a giocare nella mia mente tutte le varianti di ogni possibile partita, per poi ripeterle a mio piacimento.
Ho capito che ero in grado d’indurre sulla scacchiera le mosse dell’avversario che di volta in volta avevo di fronte.
Questa volta resto in silenzio perché ogni parola mi è venuta meno. Difendo la mia regina.
– Cominci a capire ora, Donna di Picche?
– Quindi, ancora prima di ogni nostra sfida tu sapevi già chi sarebbe morto… – ma proprio mentre lo sto dicendo mi rendo conto che non è esattamente così. – No, tu pilotavi la partita in modo che noi ritrovassimo coloro che tu avevi già ucciso.
La sua torre prende in un’imboscata la mia regina, il mio re cade.
– Matto!! – la voce di Barbara è trionfante.
Ho perso.
– E ora – chiedo come se fosse ineluttabile – puoi dirmi dove si trova la vittima o devo arrivarci interpretando la posizione del mio re sulla scacchiera?
– La vittima è la tua regina. Raccoglila.
Sorride di quel sorriso che voglio strapparle per sempre dal volto.
– La vittima è la Donna di Picche. – respira a fondo – Sai, questi scacchi sono i miei da una vita, in ogni pezzo ho messo un segreto e la regina bianca è l’unica a essere pura, vedi?
Lo dice mentre svita la corona dal corpo. – Apri la tua come sto facendo io.
So che non è una buona idea ma obbedisco.
– La mia è pura, la tua invece…
All’ultimo giro di corona il pezzo svela una cavità nascosta. Come un ombra appena percettibile qualcosa schizza fuori dalla regina, ora aperta, e va a conficcarsi nella spalla di Barbara.
Lei prima mi guarda stupita, poi ride, ride e ride ancora. La vedo impallidire sotto il mio sguardo.
– …invece la regina nera contiene un dardo avvelenato. Ma avresti dovuto averla tu. Avresti dovuto essere tu a morire, a porre fine a ogni sfida.
Le sue ultime parole contengono una domanda implicita alla quale non vedo l’ora di rispondere.
– Sì, Barbara. Ho infranto le tue regole: prima, quando è caduta la tazza, ho girato la scacchiera.
Il suo respiro si fa affannoso; forse dovrei chiamare gli infermieri e invece no: continuo a spiegare.
– L’ho fatto perché ti odio. Tradirti e prendermi gioco della tua menomazione mi ha dato un piacere ancora più grande che sfidare la tua supponenza.
Sento la mia voce velata da un dubbio sottile. – Non potevo immaginare che con quel gesto stavo rivolgendo contro di te l’arma con la quale intendevi uccidermi.
Barbara sembra leggermi ancora una volta nel pensiero.
– Sei davvero sicura, Nadia, che lascerei mai a te l’ultima mossa?
Sono queste le ultime parole che pronuncia, prima di lasciarmi.
Sola, con la mia sconfitta.


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