Millenovecentonovanta 24 dicembre, la vigilia.
Trebbi stava aiutando Nilde nella preparazione dei tortellini e non essendo in grado di chiuderli l’unico modo di rendersi utile era quello di mettere il ripieno sopra il lembo di pasta che poi lei con precisione e velocemente provvedeva a richiudere. I tortellini di Nilde erano piccoli, irregolari e consistenti come piacevano a lui. Nilde diventava durante le feste sua madre, oltre che la sua donna, perché era in grado di ricostruire pezzi della sua vita di fanciullo con una precisione che possiedi solo se sei nato a Bologna. Nilde era una delle ultime espressioni di femminilità bolognese che Trebbi avrebbe mai incontrato nella sua vita, ma alla fine dl 1990 non lo sapeva ancora e un poco la dava per scontato, amandola con la leggerezza e l’incoscienza della giovinezza nella quale non cogli sempre l’esatto valore di ciò che possiedi, e Nilde era preziosa, come perfetti erano i suoi tortellini nella loro evidente irregolarità, ognuno diverso dall’altro, ognuno riconoscibile perché coniato intorno al mignolo della sua donna.
In televisione stavano trasmettendo Una strega in paradiso dove una seducente Kim Novak, strega annoiata, con la complicità del gatto Cagliostro, faceva innamorare un non più giovane James Stuart. Trebbi guardava il film e depositava il ripieno, spostando continuamente l’attenzione dal vecchio Mivar incastrato nell’angolo del tinello al tavolo dove cercava di stare dietro alle mani veloci di Nilde. Trebbi era in quello stato quasi soporifero di una serata prefestiva invernale, fuori scendeva lenta la prima neve di quell’inverno e anche le auto erano meno rumorose perché la strada si stava imbiancando e contribuiva ad attutire il consueto trambusto delle auto in movimento la sera della vigilia. Trebbi stava pensando che non sarebbe stato necessario un filtro o una magia per farsi sedurre da Kim Novak, chiaramente da quella Kim Novak che nel 1958 aveva appena venticinque anni, poi però pensava che Kim non sarebbe mai stata in grado di fare i tortellini di Nilde e neanche tutte le altre prelibatezze che lui amava e quindi dopo un’attenta riflessione concluse che fra le forme prorompenti di una Kim Novak giovane e Nilde, lui avrebbe sempre scelto Nilde, il suo viso dolce e pallido d’inverno, le mani sottili, con quelle dita lunghe da pianista e soprattutto l’ infinita pazienza che le permetteva di sopportare uno sbirro bolognese integerrimo e cocciuto come lui.
Fu in quel pensiero che squillò il telefono di casa, il vecchio duplex che condividevano con l’anziana signora del piano sottostante.
Nilde lo guardò e Trebbi ancora non sapeva che quello sguardo sarebbe rimasto inciso nella sua memoria nei secoli dei secoli, perché chi sposa uno sbirro o ne condivide tutti i momenti accettando con pazienza le conseguenze o presto sarà destinato a pentirsi della scelta fatta, e Trebbi sapeva che Nilde non si sarebbe mai pentita.
– Trebbi – mormorò piano nella cornetta grigia, quasi con timore.
– E tanti auguri – rispose allegro Vincenzi.
– Che accade? –
– Mi sa che ti tocca andare in chiesa questa sera – rispose il collega.
– In che senso? –
– Ci vediamo alla parrocchia di Santa Maria In Duno –
– Dove? – chiese Trebbi che poco conosceva le parrocchie e sicuramente non sapeva dove fosse Santa Maria In Duno.
Ci fu un secondo buono di silenzio e poi Vincenzi scoppiò a ridere.
– Certo che te Trebbi fuori da Bologna sei perso, sarebbe ora che scoprissi il mondo intorno alla tua città, sai magari potresti allargare i tuoi orizzonti –
Trebbi sbuffò nella cornetta, e guardò Nilde con occhi supplicanti.
– Mi passi a prendere che facciamo prima? – chiese Trebbi.
– Sarò lì fra dieci minuti, preparati, dovrai rimandare il cenone –
– Niente cenone, noi festeggiamo il giorno di Natale –
– Meglio così –
Trebbi rimase con la cornetta in mano, gli sembrava pesante e quasi rovente, Nilde intanto continuva il suo lavoro di fabbricatrice di tortellini, aveva un sorriso stanco sulle labbra pallide e Trebbi si alzò, l’abbracciò da dietro e le baciò il collo lungo e delicato.
– Non aspettarmi alzata –
– Devi andare in chiesa? –
Trebbi fece di sì mentre infilava i piedi, riscaldati da calzettoni di lana, dentro le Timberland marroni.
– Io comunque ti aspetto, guardo un po’ di televisione –
Trebbi si strinse nelle spalle larghe.
– Mi dispiace –
– Di cosa? Fai il tuo lavoro, fossero tutti come te –
In macchina Trebbi non aveva voglia di parlare, fuori la neve cadeva lenta e le auto si muovevano piano, quasi al rallentatore.
Il viaggio di circa una ventina di chilometri terminò davanti a una chiesetta sicuramente antica,
Davanti alla chiesa c’erano un paio di carabinieri e un maresciallo.
Ci furono alcuni scambi di convenevoli e strette di mano, mentre la neve continuava a cadere .
– Adesso posso sapere perché siamo qui? E soprattutto perché siamo stati chiamati noi e non il nucleo investigativo dell’Arma – chiese Trebbi curioso.
– Ti presento il maresciallo Marotta, un vecchio amico, abbiamo lavorato insieme a Bologna, qualche anno fa –
– Piacere Trebbi … cosa ci facciamo qui?-
Il maresciallo era un tipo segaligno, con due baffi curati e lo sguardo buono, fece un mezzo sorriso e un cenno ai due poliziotti per invitarli a seguirlo.
– Voi due – disse con tono secco ai due carabinieri che stavano fermi davanti alla parrochia con la divisa ormai imbiancata – nessuno deve entrare in canonica.
I due militari annuirono scattando sull’attenti e il piccolo drappello entrò in una vecchia canonica dove aleggiava un profumo di legno bruciato e minestrone, una luce giallognola e fioca illuminava una cucina spoglia che oltrepassarono per entrare in una sacrestia, dentro, al centro di una stanza dove erano appesi alle pareti i classici costumi di scena di un prete e i paramenti, c’era un uomo disteso a terra con il corpo rivolto al pavimento, una macchia scura di sangue si stava asciugando intorno al cranio, e a poca distanza dal corpo c’era un grosso calice color oro di quelli usati per servire messa.
Trebbi spalancò gli occhi e si fermò quasi sulla soglia della sacrestia.
– Bisogna chiamare la scientifica – affermò quasi sottovoce, perché la chiesa a lui faceva sempre quell’effetto ereditato da un’educazione cattolica, in chiesa si sussurra o al massimo si canta.
Vincenzi e il maresciallo si guardarono.
– Vedi Galeazzo, non è così semplice, tu sei nuovo della squadra e sei un puro, a te crederanno. Noi stasera avevamo deciso di venire a trovare un vecchio amico, il maresciallo Marotta, avevo deciso di mostrarti un piccolo paese, una frazione di Bentivoglio, ma arrivati sul posto la tragica scoperta e abbiamo deciso di iniziare subito le indagini. Abbiamo scoperto che qualcuno, probabilmente un disperato, magari uno straniero dell’est entrato nella sacrestia per rubare qualche cosa, è stato sorpreso da padre Luigi, ne è nata una colluttazione e il ladro gli ha spaccato il cranio con quel calice di ottone placato oro ed è fuggito verso la campagna facendo perdere le sue tracce –
Il racconto di Vincenzi sembrava una di quelle fiabe da raccontare intorno al camino la sera tanto per spaventare i bambini e Trebbi guardò i due uomini scuotendo piano la testa.
– Non capisco – disse candidamente.
Vincenzi sorrise e si diresse verso un altra stanza collocata nella parte della canonica che non avevano ancora visitato, era la camera da letto di qualcuno, probabilmente del morto, sopra al letto erano disposte in ordine sparso delle fotografie polaroid.
Le immagini erano inequivocabili, erano ragazzini, quasi tutti a petto nudo, o distesi su quel letto, fotografati in varie pose, sembravano tutti in imbarazzo come se non capissero il loro ruolo in quelle immagini.
Vincenzi dopo avere indossato dei guanti in latticce afferrò alcune di quelle fotografie e le mostrò a Trebbi che con una smorfia di disgusto le guardò da vicino.
– È stata una disgrazia, i carabinieri stanno battendo la campagna e anche i nostri uomini, ma per ora con nessun risultato – mormorò Vincenzi a un Trebbi che non sapeva più da che parte guardare.
– Mi aiuterai a scrivere il rapporto congiunto con il maresciallo?-
Trebbi si sedette sul letto, in un angolo, aveva una sensazione di vuoto allo stomaco e una leggera nausea.
– Mi state chiedendo …-
– Di fare la cosa giusta – rispose Marotta sempre con quel sorriso rassicurante – prima di chiamare la scientifica, chiaramente –
– E se decidessi di fare diversamente? –
Marotta e Vincenzi si guardarono.
– È una delle possibili opzioni, nessuno ti obbligherà a fare nulla, nessuno tranne la tua coscienza –
– Siamo poliziotti e carabinieri, siamo al servizio dello Stato e soprattutto della legalità e della verità – rispose Trebbi.
Vincenzi scoppiò a ridere.
– Direi che è giunto il momento dell’ultimo passaggio – affermò con voce allegra.
Tornarono tutti sui propri passi ed entrarono in chiesa da una porta laterale che collegava la canonica con la sala attigua all’altare. La chiesa era ancora chiusa, avrebbe ospitato più tardi i cattolici per la messa di mezzanotte, ma quella sera non ci sarebbe stata la consueta messa per festeggiare la nascita di Cristo.
Davanti, in prima fila, era seduto un giovane, poteva avere una ventina d’anni, teneva il capo fra le mani, sorvegliato a vista da un carabiniere che stava in piedi a un passo da lui.
Il giovane indossava un vecchio eskimo, sulla manica spiccava una macchia di sangue e aveva schizzi scuri anche sugli scarponcini.
– Ciao Giacomo – disse Marotta rivolto al giovane che alzò lo sguardo spento verso i tre uomini, aveva gli occhi bagnati di pianto e bei lineamenti morbidi e leggermente effemminati.
– Fra questi giovani delle fotografie riconosci qualcuno? – chiese Marotta allungando il piccolo malloppo di fotografie a Giacomo.
Giacomo annuì.
– Sapevo che stava ricominciando anche con mio fratello, lui me l’aveva confidato, e sono tornato a casa dalla Germania, questo natale, proprio perché volevo parlare con il Don, non volevo che a mio fratello capitasse ciò che era accaduto a me –
– E cosa è successo? –
– Il Don mi ha detto la nostra relazione era inevitabile, che quella è la mia natura e che lui aveva il merito di averla fatta emergere, e aggiunse che non avrebbe fatto niente di male al mio fratellino … niente di male – poi tornò a incuneare il viso fra le mani lunghe e ricominciò a piangere silenziosamente.
I tre uomini uscirono nella neve, i due carabinieri erano ancora là, fra poche ore ci sarebbe stata la messa e qualcuno avrebbe dovuto dirottare i fedeli verso la chiesa di San Giorgio.
Marotta e Vincenzi guardarono Trebbi che si accese un toscanello e rimase a rimirare la facciata giallognola della vecchia chiesa.
– Allora? – chiese Vincenzi accendendosi una ms.
Trebbi diede un paio di boccate al toscanello e si avvicnò alla porta della chiesa per leggere le indicazioni storiche dell’edificio, risaliva al quindicesimo secolo e probabilmente sarebbe rimasto lì anche dopo la sua fine e questa certezza gli diede un nuovo senso di pace.
Si voltò verso i due uomini.
– Certo che non si può più stare tranquilli neanche in chiesa, questi slavi sono terribili, non hanno rispetto nemmeno dei preti –
Vincenzi e Marotta sorrisero.
La neve continuava a cadere lenta ma apparentemente inarrestabile, era la sera di Natale e Trebbi pensò alla possibilità che in una qualsiasi porzione di cielo ci fosse qualcuno in grado davvero di giudicare e perdonare, si strinse nelle spalle e pensò che se davvero c’era avrebbe deciso lui e non un tribunale di esseri umani, da che parte stava la giustizia.