“Le note scomparse” di Massimo Tallone


Mio zio, che è un tipo bizzarro, suonava il flauto in un’orchestra. Anche il suo flauto era un tipo bizzarro, curioso come uno scoiattolo e ficcanaso come una pulce. State un po’ a sentire cosa accadde, una volta, a questo flauto.
Il flauto di mio zio era molto amico dell’oboe.
Una sera, poco prima che giungessero i musicisti per il concerto, l’oboe apre furtivamente il suo spartito e – corbezzoli! – le note sono sparite.
“Son morto,” geme l’oboe, “senza le note nessuno potrà suonarmi. E se non suono mi cacceranno, mi getteranno nel fuoco. È la fine. Fra poco arriveranno i musicisti, il direttore. Do, re, mi, fa, sol, la, si, dove siete? Dove siete? Se non tornate sono rovinato.”
A queste parole, il flauto di mio zio si avvicina all’oboe e dice:
“Ci penso io. Manca ancora un quarto d’ora all’inizio. Corro a cercare le tue note. Aspettami qui.”
E via. Il flauto corre come il vento tra gli strumenti dell’orchestra e raggiunge il pianoforte, che da qualche minuto stava facendo la voce grossa.
“Ehi, pianoforte,” dice il flauto, frenando proprio sulla tastiera del pianoforte, “hai forse visto passare le note scomparse dallo spartito dell’oboe?”
“Ah, sono loro dunque,” esclama rabbioso il pianoforte, “guarda, guarda il mio spartito: non si capisce più niente. È pieno di note non mie. Senti che succede, con quelle note in più.” E il pianoforte inizia una strampalata melodia che fa turare le orecchie degli altri strumenti.
“Evviva, ci siamo,” esulta il flauto, “evviva, evviva, abbiamo ritrovato le note. Ora le riunisco e le riporto sullo spartito dell’oboe.”
Detto fatto, saltellando sui tasti del pianoforte, il flauto chiama una per una le note, che però non ne vogliono sapere di venir via dal foglio. Il pianoforte, allora, fa la voce ancora più grossa, per spaventare quelle note importune. Ed ecco che a un tratto, al suono di quella voce, le note si muovono, si spostano, ballano, saltellano.
“Da quando in qua le note saltellano?,” dice stupito il flauto.
“Mi cadessero tutti i tasti!, quelle non sono note. Sono pulci!” sbotta il pianoforte, mentre le pulci, terrorizzate, si rifugiano in uno dei fori del flauto, che ha sempre amato gli animali.
“Suvvia, non è il momento di pensare alle pulci,” dice il flauto in un fiato, “dobbiamo ritrovare le note scomparse. Fra poco inizia il concerto. Riprendiamo a cercarle, a chiamarle.”
E mentre il pianoforte continua a brontolare, il flauto corre come un matto in lungo e in largo ripetendo:
“Note, note, dove siete?,” e al flauto si unisce il clarino, e poi il fagotto, e poi il corno inglese e poi la tromba, e tutti insieme corrono, e sollevano la polvere e fanno svolazzare i fogli, e urtano le sedie e i leggii, e ripetono:
“Dove siete?”
“Dove siete, dove siete?”
“Dove siete, dove siete, dove siete?”
“Dove siete, dove siete, dove siete, dove siete?”
E proprio in quel momento, dal fondo dell’orchestra, si leva la vocina sottile delle note dell’oboe.
“Siamo qui, siamo qui,” piagnucolano le note. Ma d’improvviso si abbatte come un tuono la voce tremenda del timpano, che dice:
“Ora basta! Silenzio! Silenzio! Ho rapito io le note dell’oboe, e le ho disposte sul mio spartito, che ne aveva così poche. E le terrò fino alla fine del concerto. Così potrò far sentire di più il mio suono. E guai a voi se cercate di riprendere le note dell’oboe, perché se soltanto ci provate io le uccido con un colpo di mazzuolo. Anzi, vi dimostro subito che non sto scherzando.”
E così, come niente fosse, il timpano sferra un terribile colpo sullo spartito. Un povero ‘sol’ dell’oboe, colpito in pieno sulla testa, lancia un breve grido a scivola a terra, morto.
“E ora tutti via di qua,” conclude il timpano.
Il fagotto, che non è mai stato molto coraggioso, non si fa ripetere l’invito e torna di corsa al suo posto. Anche il clarino e il corno inglese si allontanano, dicendo che i musicisti stanno ormai per arrivare, e non possono perciò farsi trovare a zonzo per l’orchestra. La tromba vorrebbe rimanere, cercare di liberare le note prigioniere, ma davvero non può, dice. In fondo, lei, è sempre stata molto amica del timpano, e non vuole mettersi contro di lui.
E il flauto rimane dunque solo, poco lontano dal timpano, ben nascosto dietro un leggìo. Che fare? A chi chiedere aiuto? Soltanto il pianoforte è capace di far paura al timpano, ma è così permaloso che non ha ancora finito di brontolare per la storia delle pulci, e chissà quando la finirà.
“Bisogna trovare una soluzione,” dice fra sé il flauto, “e in gran furia, perché mancano pochi minuti all’inizio…”
Il flauto di mio zio non è soltanto bizzarro, è anche molto furbo. Ora vi racconto come ha salvato le note dell’oboe, e vedrete se non ho ragione. State a sentire, dunque.
Quatto quatto, zitto zitto, lemme lemme, il flauto si nasconde proprio sotto il timpano e comincia a emettere dai suoi fori un suono leggero e dolcissimo. È la ninnananna magica che mio zio suonava per farmi addormentare e per farmi fare i più bei sogni. Forse non ci crederete, ma al suono di quella ninnananna i temporali svaniscono, il buio scompare e chi urla si interrompe di colpo. Poi, si comincia a sognare.
E anche il timpano, a un certo punto, proprio nel bel mezzo della ninnananna, comincia a sognare. Il flauto, vedendo che il timpano ha ormai gli occhi chiusi, si rivolge senza perdere tempo, e sottovoce, alle pulci, ancora nascoste nell’ultimo foro. Ma anche le pulci si sono addormentate al suono della ninnananna.
“Psst, psst, pulci, svegliatevi, venite fuori,” dice il flauto, ma quelle dormono della grossa, e ce ne vuole a svegliarle. Allora il flauto comincia a dimenarsi come un matto, fino a che le pulci si svegliano.
“Psst, pulci, volete aiutarmi a liberare le note rapite?”
“Ma certo,” dicono le pulci stropicciandosi gli occhi, “che dobbiamo fare?”
“Dovete correre sullo spartito del timpano. Poi, ognuna di voi si carica sulle spalle una nota dell’oboe e la porta qui da me.”
“Ma se il timpano ci colpisce con il mazzuolo ci uccide,” replicano le pulci.
“Non dovete aver paura. Il timpano sta dormendo.”
E così comincia l’avventura delle pulci. Una dopo l’altra, in fila come fossero formiche, risalgono lungo il leggo, raggiungono lo spartito e si caricano in spalla le disperate note dell’oboe.
“Brave, brave pulci,” dice il flauto, “avete fatto un buon lavoro. Ora ascoltate: prendete posto sullo spartito del timpano, e così sia il timpano e sia il musicista vi crederanno note e tutti saranno contenti. Sarà contento il timpano, che suonerà come non mai, sarà contento il musicista, che farà valere il suo talento, e sarete contente voi, pulci, che alla fine del concerto potrete balzare sul suonatore di timpano, che è bello grasso e gustoso. Su, andate, andate.”
Le pulci, voi sapete come sono, non si fanno ripetere l’invito, e, pregustandosi il pranzetto, corrono sullo spartito del timpano, proprio nel momento in cui i musicisti e il direttore d’orchestra si presentano sul palco. Il flauto, a questo punto, non può più perdere un secondo. Più veloce di un pensiero si avventa sullo spartito dell’oboe e vi depone le note rapite. Poi, corre al suo posto, proprio nell’attimo in cui mio zio sta per impugnarlo.
E ha inizio il concerto.


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