"L'agenda del prete" di Susanna De Ciechi


 

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«Voglio parlare con un prete. Lo voglio.»
«Calmati, mamma!» Giacomo rivolse al fratello uno sguardo angosciato. «Io non ce la faccio più. Quando torna la badante?»
«Stasera alle otto. Lo sai.» Luca rispose in tono vago, era impegnato in una chat su Whatsapp.
«Perché è giunto il mio momento… voglio un prete…» Il tono lamentoso della donna era come una lima sui nervi scossi di Giacomo.
***
Una domenica sì e una no, la badante prendeva la libera uscita e toccava ai figli stare dietro alla madre. La vecchia viveva sulla sedia a rotelle da anni, ma aveva un fisico bestiale e la testa che funzionava a intermittenza. Giacomo aveva sessantacinque anni ed era convinto che non sarebbe sopravvissuto alla genitrice. A meno di trovare il coraggio per sopprimerla in tempi brevi. Suo fratello Luca aveva dieci anni meno di lui, era scapolo e si godeva la vita.
Giacomo, invece… Sua moglie Lina passava da un torneo di burraco all’altro e lui sospettava che oltre le carte si concedesse anche altri svaghi. Del resto Lina aveva liquidato subito la questione delle cure alla suocera; lei ci era già passata con sua madre e non avrebbe replicato.
Però dopo l’ictus, la madre di Lina aveva liberato la scena in soli sei mesi. Al contrario, lui erano otto anni che diventava matto con la sua, di mamma, da quando era diventata invalida per una brutta caduta. Se la badante era in ferie o c’erano delle emergenze, toccava a Giacomo curarsi di ogni cosa; suo fratello si limitava a fare da assistente muto. Al massimo assolveva qualche piccola commissione “in esterni”, andando in farmacia o al supermercato.
***
«Il preteee… Voglio il preteee…»
«Basta!» L’urlo fu simile al colpo di un’ascia. Giacomo zittì mamma e fece sobbalzare Luca, intento a controllare le notifiche di Facebook.
«Sei diventato matto?» Luca era scosso. «Hai fatto spaventare mamma. Cosa ti è preso?»
«Mi è preso che non ne posso più» rispose Giacomo mentre obbligava il fratello ad alzarsi, stringendogli il braccio come in una morsa. «Adesso tu trovi una soluzione. Subito!» Scandì le parole, ma più di tutto dicevano gli occhi: torvi, cattivi, quasi animaleschi.
«Va bene, calmati!» Luca riuscì a liberare il braccio mentre con l’altra mano picchiettava il cellulare sulla spalla di Giacomo, per tranquillizzarlo. «Non fare così. Adesso mi faccio venire un’idea.»
«Sì. Fatti venire un’idea. È meglio.» Intanto guardava la madre che, per effetto della sfuriata, aveva abbassato il tono, ma continuava a biascicare di preti e confessioni.
«Ci sono! Ho la persona giusta. Un mio amico. Adesso lo chiamo» disse Luca.
«Conosci un prete disposto a venire qui, ora?»
«No, ma… Lasciami fare. Risolvo. Intanto tu porta la mamma nella camera della badante e accendi il computer. Avvia Skype.»
«Ma cosa…»
«Fidati, Giacomo. Per una volta.» Sparì in cucina e chiuse la porta. Giacomo spinse mamma fino alla camera di Valentina, la badante bulgara, e la sistemò davanti alla piccola scrivania su cui troneggiava il PC. Accese e subito vide una bella immagine di Sòfia.
«Sì, ma la password?»
«Valentina59» rispose Luca che nel frattempo era ricomparso raggiante alle sue spalle.
«Come mai la conosci? Lascia stare, non dirmelo.» Mamma continuava a biascicare le sue richieste come un rosario.
«Ecco!» Luca aveva avviato Skype. «Tu non dire niente. Non fiatare.»
***
«Buongiorno, signora Giovanna! Sono don Marco. Si ricorda di me?»
Sullo schermo era comparso un tizio, uno riccio con gli occhi neri, forse sessant’anni, portati con successo. Indossava un collare per la cervicale. Luca vide l’espressione incredula del fratello e fece cenno a Giacomo di restare in silenzio.
«Un mio amico» sussurrò. «È anche il mio dentista e qualche giorno fa ha avuto un incidente d’auto. No, niente di grave» precisò vedendo lo sguardo perplesso di Giacomo. Gli passò una sedia e prese per sé uno sgabello. Si sistemarono alle spalle di mamma, ciascuno a un lato della sedia a rotelle. Come angeli custodi.
«Don Marco!» Giovanna si era illuminata.
«Sì, Giovanna. Sono proprio io. La trovo bene! Cosa posso fare per lei?»
«Vorrei confessarmi, don Marco. Devo fare l’elenco.»
«Di cosa?»
«Dei peccati. Scriva!» Lo incitò la vecchia. Lui recuperò una penna e l’agenda degli appuntamenti della sua assistente, che poi era anche sua moglie, abbandonata sulla scrivania. Era l’agenda che usavano diversi mesi prima, quando ancora non avevano inserito il programma per la gestione delle sedute nel PC. In effetti era parecchio che non la vedeva in giro.
Aprì una pagina a caso e la mostrò a Giovanna attraverso lo schermo. «Ho da scrivere. Se vuole può cominciare.» Adesso a Marco veniva da ridere e assunse quell’aria da don Abbondio tonto e pacioso che voleva dare a intendere serenità e disponibilità oltre misura. Anche Giacomo si era calmato. Per una volta suo fratello aveva avuto un’idea geniale.
«Scriva, don Marco! Ho mangiato troppa pastina.»
«Non è grave…»
«Ma non scrive?»
«Sì, certo.» Marco girò le pagine indietro, all’inizio dell’anno. Scrisse “pastina” tra l’appuntamento della signora Pieretti e quello della Tanzi. Un bel lavoro quello lì, un impianto con i fiocchi. Alzò di nuovo gli occhi su Giovanna, invitandola a proseguire.
«Sputo nei bicchieri quando non mi vedono. Soprattutto quello di mio figlio, quello vecchio che ogni tanto mangia qui ed è sempre agitato…» Giacomo si mosse sulla sedia mentre suo fratello faticava a soffocare una risata. Luca non restava mai a mangiare con mamma e la badante.
Marco abbassò la testa per ridere sotto i baffi mentre scriveva “sputo” tra una riga e l’altra, con i riferimenti degli appuntamenti vergati dalla grafia sottile ed elegante di sua moglie. Mentre lo faceva, senza averne l’intenzione, decifrò poche parole scritte a matita: Luca, hotel Bristol. 12-cam.102 e un fiore stilizzato. Sollevò la testa di scatto, oltre lo schermo, al di là della spalla della vecchia, ad arpionare gli occhi dell’amico Luca.
«… e poi mio marito e quella puttana…» Giovanna era vedova da vent’anni. I due figli drizzarono le antenne, incuriositi.
«Sì, dica. Quella puttana…» Marco sfogliava le pagine dell’agenda e tra un appuntamento e l’altro trovò qui e là delle piccole note, sempre sul Bristol e la 102.
Una volta perfino cerchiata dentro un cuoricino storto.
Due volte di lato c’era scritto Luca, in un morbido corsivo. “Possibile? Luca e sua moglie?” rifletteva in fretta ripercorrendo percorsi dentali e visite d’urgenza. Dall’inizio dell’anno sua moglie era stata più distante, ma anche più gentile, perfino servizievole.
«Ho scritto puttana, signora Giovanna» digrignò, fissando Luca che a sua volta avvertì un leggero, inspiegabile disagio.
«Io l’ho picchiata la Elsa, padre. Le ho morsicato il lobo dell’orecchio. Staccato di netto e l’ho conservato.»
«Mamma, cosa dici!» Giacomo l’aveva abbracciata. Istinto di protezione.
«Si liberi, signora Giovanna!» Don Marco la incoraggiava a parlare mentre l’ennesima nota di sua moglie accanto al nome di Luca riportava tre +++.
Luca se la rideva sottovoce, però gli era venuto un leggero mal di stomaco. La solita gastrite.
«Ho fatto la pastina per mio marito… quella sera. Lui ha mangiato in silenzio anche il lobo della Elsa… Ossignur! Mi perdona, padre? È passato tanto tempo.»
Al 31 di marzo, sempre durante l’intervallo pranzo, sua moglie aveva disegnato una ghirlanda, un bel decoro, un lavoro discreto. Il giorno dopo era venerdì e lei sarebbe partita per un fine settimana al mare, con la sua amica Ornella.
A ben vedere il disegno della ghirlanda letto all’incontrario riproduceva alcune lettere.
Un nome.
Luca.
«Puttana!» disse d’impeto don Marco mentre si slacciava il collare.
«Vero, Padre? Allora era colpa della Elsa! Mi perdona?»
«Elsa… Se fosse stata mia moglie!» gridò massaggiandosi il collo dolente.
«Padre, cosa dice?» disse Giovanna.
«Marco, cosa dici?» fece eco Luca.
«Non capisco!» esclamò Giacomo.
In quel preciso istante, Dio tirò lo sciacquone e cadde la connessione. La seduta non era stata un granché.

© 2015 Susanna De Ciechi – Tutti i diritti riservati all’Autore


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