"L'amuleto" di Maria Teresa Valle


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Olef guarda la pioggia che scende da ore sull’accampamento.
Si gratta distrattamente il collo su cui una pulce sta cercando il punto giusto da cui succhiare la sua razione di sangue.
La notte è buia e fredda. E lo spiazzo su cui la soldataglia è accampata è ridotto a un pantano.
L’assedio è durato anche troppo. Il capitano è stato chiaro. O entrano nel castello con l’assalto di oggi o non resterà che ritirarsi.
Hanno perso troppi uomini e non hanno più rifornimenti. Sulle montagne i passi sono già bloccati dalla neve. I collegamenti con i gruppi del nord sono interrotti. Se la pioggia si trasformerà in neve ogni via di fuga sarà bloccata.
Olef sa che il manipolo di mercenari al suo comando morde il freno. Sono arrivati da qualche giorno, ingaggiati a rinforzo delle milizie del capitano. Non si aspettava, il capitano, una resistenza così ostinata da parte degli abitanti del piccolo villaggio. Si sono chiusi nel castello e lo difendono con coraggio e determinazione. Meglio organizzati di quanto le sue informazioni avessero fatto prevedere. Tuttavia Olef si rende conto che cominciano a dare segni di cedimento. Sono stati rinchiusi per mesi, senza contatti con l’esterno. Le cisterne del castello sono state vuotate per spegnere gli incendi che le frecce infuocate degli assedianti hanno provocato, e le ultime piogge non hanno ripristinato le riserve. Soprattutto i viveri ormai scarseggiano e alcuni cadaveri sono stati gettati dai bastioni volti a nord. Gonfi e putrefatti, sono morti sicuramente per qualche febbre maligna.
Olef e il capitano hanno studiato accuratamente un piano che ottimizza le truppe ordinarie, ormai scarse e demotivate, e i mercenari. Li hanno arringati a lungo, convincendoli che la capitolazione della cittadella è ormai imminente e che il bottino sarà facile e ricco.
Nelle truppe regolari ci sono soprattutto arcieri e balestrieri, ma sono stanchi e infreddoliti. Mancano da casa da troppo tempo. Vestiti sommariamente, con brache sbrindellate e giubbe di pelo di capra puzzolenti, hanno i capelli e le barbe lunghe, pieni di pidocchi. Alcuni hanno fasce intorno alla fronte a tenere lontani i capelli dal viso. Altri li hanno acconciati in rozze trecce legate con canapi.
I mercenari, dal canto loro, abili nell’uso del coltello e della spada, hanno armi affilate, e attitudine all’agguato e al combattimento corpo a corpo. C’è chi mena vanto degli uomini uccisi mostrando le tacche sul manico del coltello.
Insieme possono farcela a espugnare il castello. Olef ne è convinto.
Questa è la sua ultima missione. Nella sua casa lontana, ben nascosto sotto un mattone del camino ha accumulato un piccolo tesoro: monete e gioielli, bottino di tanti assalti. Non ha fatto come la sua soldataglia, che sperpera il soldo all’osteria e con le puttane. Non è stupido lui. E a casa ha la sua dolce Angelica che lo aspetta. Questo pensiero lo tiene su. Lei è così bella! Ce l’ha sempre davanti agli occhi. Con quei capelli neri come l’inferno. Quella bocca rossa, generosa e il seno che scoppia nel corsetto legato stretto intorno alla vita sottile. Ed è solo sua.
L’aveva acquistata a Siviglia, quando era solo una bambina. Al mercato non aveva attirato molti acquirenti. Era magra, con quelle catene che la facevano sembrare ancora più infantile, ma lui aveva capito che prometteva bene. Sotto la sporcizia si intuiva un faccino aggraziato e sbucavano due occhi neri, pieni di furore, come quelli di una bestiola da domare. Aveva avuto intuito. Era diventata una splendida donna, completamente ammansita, e sua.
Anche stanotte il pensiero di lei lo conforta nell’attesa della battaglia, mentre steso a terra sulla coperta sporca non riesce a prendere sonno.
Gira e rigira nella mano il suo amuleto. Ogni uomo ne ha uno. Oggetti che la superstizione vuole dotati di poteri magici. Denti, punte di frecce, corna e zampe di animali uccisi, sacchetti contenenti erbe medicinali, le più varie paccottiglie a cui i soldati attribuiscono il potere di preservarli dalla morte.
Toccarlo gli da conforto. Lo porta appeso al collo con una robusta canapa. Si aggrappa all’idea che lo potrà difendere dal male.
Da quando lo ha salvato nell’assalto del mese precedente lo venera come un feticcio.
Aveva sentito fischiare la freccia diretta verso di lui, ma non aveva potuto schivarla. La sua velocità era impossibile da battere. Era stata stata lanciata dalla sommità del baluardo da un balestriere. Uno con una buona mira. Lo avrebbe preso in pieno petto se la freccia non avesse colpito il ciondolo di ferro. L’impatto era stato così forte da farlo cadere a terra. Ma aveva salvato la pelle. La freccia deviata lo aveva ferito di striscio. Se l’era cavata a buon mercato e da allora il suo ciondolo era diventato per lui più prezioso di una gemma.
Non che Olef non lo tenesse da conto anche prima. Aveva una funzione precisa. Stava ben attento a non perderlo. Il fabbro gli aveva detto che era unico.
– In tutto il regno non ce n’è uno uguale – gli aveva detto Burdok, mentre batteva col pesante martello sul ferro incandescente, i potenti bicipiti illuminati dalla luce della fiamma, la barba folta resa rossa dal riflesso della brace. Lo aveva forgiato apposta per lui. L’idea era stata di Olef, ma Burdok, il fabbro, l’aveva realizzata alla perfezione.

Olef non riesce a dormire. Sente i compagni russare forte vicino a lui e nelle altre tende. E’ l’unico che non riposa. Pensa che alle prime luci dell’alba l’aspetta il momento della verità. Se avranno successo la sua vita diventerà una comoda passeggiata al braccio della sua donna. La sua donna che l’aspetta a casa. Ben custodita.
Deve fare attenzione a non farsi ammazzare. Sarebbe davvero una beffa. La sua Angelica resterebbe sola e lui andrebbe all’inferno senza aver goduto almeno un po’ del paradiso che merita su questa terra.
Con il capitano è d’accordo per la quota di bottino da spartirsi, e tanto basta. Il momento più pericoloso sarà l’ingresso nella roccaforte. Bisognerà essere scaltri e non avere pietà. Promettere salva la vita a chi si arrende e poi ucciderli tutti. Senza eccezioni.
Ormai le prime luci dell’alba si annunciano e i soldati si svegliano e si preparano rapidi. Devono attaccare quando ancora è buio. Cogliere la maggior parte dei castellani nel sonno. In quell’ora in cui anche la più guardinga delle sentinelle cede alla stanchezza, e, rassicurata dalla notte tranquilla appena trascorsa, rallenta la vigilanza. Quell’ora che confonde le ombre nel chiaroscuro e rende difficile distinguere la realtà dai fantasmi. Quell’ora in cui più facilmente la mente vacilla e si lascia ingannare.
Veloci e silenziosi i soldati hanno appoggiato al muro le scale preparate e nascoste nella boscaglia. Alcuni mercenari salgono, coltelli tra i denti, mentre a terra gli arcieri coprono loro le spalle. Entrano nel punto meno sorvegliato e tagliano la gola alle sentinelle prese di sorpresa.
Da quel momento si scatena l’inferno. Dalle scale continuano a salire gli assedianti. Chiunque si pari davanti a loro viene passato a fil di lama. La porta nord della fortezza viene aperta dall’interno e un fiume di soldati entra senza difficoltà. Anche la pioggia è cessata a rendere più facile l’assalto.
Olef, guida i compagni che affluiscono dalla porta aperta, stanando e sgozzando i soldati nemici uno a uno.
– Avanti! La via è libera! – Parte l’ordine di entrare nelle case. Chiunque verrà trovato vivo verrà ucciso. Tutto sarà saccheggiato. Le donne prima di essere uccise saranno stuprate. Fa parte del bottino di guerra.
Un ragazzetto si para davanti al capo manipolo. Olef con una mossa rapida lo accoltella al ventre.
Ci sono cadaveri dappertutto. Per terra il sangue scorre come vino versato dalle caraffe. Le urla della marmaglia eccitata dalla vittoria risuonano ovunque.
Qualche ferito che si lamenta viene finito con precisione ed efficienza.
Olef guarda i suoi, fiero. Le perdite sono ridotte al minimo. Scambia uno sguardo col capitano. Anche lui sembra soddisfatto. Ora possono dedicarsi alla ricerca dei preziosi da portare via. Gioielli. Oro. Monete. Il resto sarà per la soldataglia.
Olef ha adocchiato l’ingresso della dimora dei signori. Nessuno di loro avrà più bisogno degli oggetti preziosi che vi sono contenuti.
Scavalcando i corpi dei nobili e dei loro servi entra guardandosi intorno circospetto. Ovunque silenzio e morte.
Un grande tavolo e sedie sontuose occupano il centro della stanza. I vasi d’argento posti sulle madie non lo interessano. Li prendano pure i soldati. Olef vuole raggiungere la stanza da letto della padrona di casa, dove pensa siano custoditi i gioielli. Apre una porta massiccia, seminascosta da una pesante tenda di velluto scuro.
La mano che gli afferra la gola lo coglie di sorpresa. E’ una mano possente. Olef soffoca e annaspa con le braccia cercando inutilmente di raggiungere la spada o il coltello appeso alla cintura.
Un braccio lo immobilizza e la mano che gli ha afferrato la gola lo strangola col canapo a cui è appeso il suo amuleto.
Olef non può crederci. Resta sbigottito, incapace di difendersi. Non può essere. La mancanza di aria gli causa un annebbiamento nella mente, ma l’ultimo pensiero prima di scivolare a terra morto è per il suo amuleto, che una volta lo ha salvato e una lo uccide.
Ancora per un attimo Angelica gli appare confusamente davanti e poi il buio scende sui suoi occhi.
Il suo corpo giace senza vita per terra. Con la mano stringe ancora l’amuleto traditore. Gli occhi aperti conservano lo stupore per l’imprevedibile e beffardo destino.
Un mercenario sopraggiunge. L’uccisore di Olef gli sopravvive solo per un attimo.

A trecento miglia di distanza Angelica, urla in preda alle doglie.
Se Olef non arriverà presto ad aprire la cintura di castità morirà insieme al bambino. La chiave è appesa al collo del suo compagno e non ne esiste una uguale in tutto il regno.


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