"Sax" di Maria Masella


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Questo racconto è stato scritto nel 1988, premiato al concorso Gran Giallo di Cattolica per il miglior racconto italiano di spionaggio e pubblicato su Segretissimo Mondadori.

Ho resistito alla tentazione di effettuare modifiche e lo presento alle lettrici e ai lettori di RACCONTI SCONTATI così come era stato pubblicato.
La via dove è ambientata l’ultima scena è reale, è Vico Falamonica e la percorrevo spesso (per acquistare doni natalizi a Soziglia).

Maria Masella

 

Sax
— E alla fine della bella festa… — la cantano tutti insieme, non per il fiasco che si sono passati di mano in mano, ma perché è stata una gran giornata.
Nelle vene di Sax scorre sangue giovane, entusiasta, nuovo.
Quando erano venuti a sgomberare la facoltà occupata, lui non c’era; si era sentito impotente e tagliato fuori, con un gran fiele in bocca: alle ragazze non avrebbe avuto niente da raccontare.
Ma dopo ha ben cavalcato la tigre! Tutti se li è tirati dietro in assemblea ed era la prima volta in vita sua che faceva un intervento. Così ha scoperto in sé un’abilità sconosciuta e il sapore del successo.

Lunedì – Marco Rasi
La stanza luminosa, all’ultimo piano, ha due ingressi: uno attraverso l’ufficio della segretaria, l’altro privato. Sono segni di potere. Marco Rasi è in piedi davanti alla finestra panoramica; domina la città dall’alto. Conosce perfettamente i motivi del proprio successo professionale: è il manager delle soluzioni imprevedibili, a volte geniali. Da pragmatico ha portato a buon fine contratti ritenuti impossibili. A quarant’anni appena compiuti ha qualche ruga, qualche capello grigio, ma ha gli occhi franchi di un adolescente.
È un viso che comincia a comparire regolarmente in certe riviste d’élite. E, dieci giorni prima, durante un’intervista trasmessa dal TG2, dopo aver “spiegato” le ragioni del proprio successo professionale — «fortuna e fatica, coraggio e prudenza», — ha divulgato la propria ricetta per risollevare e rendere competitive le aziende in crisi: «individuare i rami secchi e reciderli. Un’azienda, anche statale, non è un’area di parcheggio.»
Area di parcheggio: oggi, lunedì, è alla finestra e guarda giù. Si chiede che cosa l’avrà spinto a pronunciare quelle parole, le stesse che usavano un tempo. Le scrivevano sui muri: UNIVERSITÀ=AREA DI PARCHEGGIO PER DISOCCUPATI.
Alza le spalle e riapre la busta arrivata con la posta del mattino. Carta comune, dozzinale, indirizzo scritto a macchina, contrassegnata dall’indicazione PERSONALE.
Tre righe, tutte ben scritte a macchina, con ordine. È come tornare indietro di vent’anni, all’entusiasmo, all’incoscienza della giovinezza. Perché è facile dire vent’anni, ma per chi ne ha quaranta è ben metà della vita.
Basta! Ogni parola ha un significato. Marco Rasi ritorna alla scrivania, allontanando la tentazione di farsi portare un caffè dalla segretaria, perché non è il caso di alterare la routine, meglio una sigaretta: fuma di rado, ma oggi ne ha bisogno.
Allungando un braccio sfila dalla scaffalatura accanto alla scrivania l’elenco telefonico e lo stradario della città.
Alberto Mancini: la prima iniziale (A) è del mittente, la seconda (M) è del destinatario.
Galleria d’arte e fiori Simone Boutique. Nell’elenco telefonico è seguita da Ellequadro, un’altra galleria; di questa serve la via (vico Falamonica).
Giovanna Merani: Giovanna, otto lettere=ore otto, femminile=pomeriggio; Merani: questo è facile! Mer come mercoledì.
Un codice banalissimo, infantile, che però ha dato a Marco Rasi luogo, ora e giorno dell’appuntamento. Il messaggio non ha la firma, perché quel codice era stato messo insieme un po’ per gioco e un po’ per fingersi grandi da due ragazzi di vent’anni, durante uno di quei pomeriggi in cui non succede niente… E il Che è un po’ Salgari…
È da tanti anni, da più di quindici per l’esattezza, che Marco Rasi non incontra l’amico di allora, ma sa anche troppo su di lui. Come tutti quelli che leggono i quotidiani.
Chissà cosa vuole. Ignorare il messaggio vuol dire rinviare il problema, non risolverlo. E non è nello stile di Marco Rasi. Cosa vorrà Antonio? Soldi? Appoggi? Una via d’uscita in nome della vecchia amicizia?
Tutto è possibile: ormai lui e i suoi sono come schegge impazzite. Sì, cercherà una via d’uscita.
Ancora una volta si dirige alla finestra e, mentre guarda la città distesa in grigie onde di cemento, d’asfalto e d’ardesia, tutto si ricompone in un disegno come in un puzzle.
È allenato a risolvere problemi e a vagliare le soluzioni altrui; come il tennista professionista che tasta esperto la racchetta e prova i rimbalzi prima di un incontro importante. E nei tempi lunghi, vincerà sempre contro il dilettante, anche se geniale.

Lunedì – Antonio
— È una follia. E non è troppo tardi per fermarsi.
— Che cosa vorresti? Che fossimo prudenti? Prudenza: a forza di essere prudenti, di fare i bravi bambini, si dimenticheranno di noi.
— Abbasseranno la guardia.
— E noi? È l’azione a tenerci uniti, a far affluire gente nuova, non le parole. Abbiamo bisogno di un rilancio in grande.
— Va bene, niente prudenza; ma l’obiettivo…
— È perfetto, tutti l’hanno sentito: eliminare i rami secchi. Detto così è elegante e innocuo, ma lui li ha visti i quartieri operai?
— Altri l’hanno detto prima di lui.
— E allora cosa vorresti? Che perdonassimo, che ci abbracciassimo? Tutti amici, tutti fratelli… magari a tarallucci e vino. Ricordiamo che certe frasi è meglio non dirle.
— Calma, Antonio, non è il momento di scannarci proprio fra noi. Ho detto soltanto che mi lasciava perplesso la scelta dell’obiettivo, non altro.
— Il capitale internazionale, possibile che non lo ricordi? È quello il vero nemico. E lui è uno dei suoi servi. — Abbassa la voce. — E posso avvicinarlo senza difficoltà. — Guarda il vuoto. — Ho i miei canali e ci penserò di persona.
L’altro lo guarda, è poco convinto, ma ormai ha fatto tutto quanto poteva per dissuaderlo. Continua a sembrargli un’azione pericolosa e inutile: un sequestro e un ostaggio. Ma per cosa? Sarà che ha sempre creduto poco alle belle azioni dimostrative. Potrebbe impuntarsi, questa è la sua zona, ne è il responsabile, ma Antonio è uno della “vecchia guardia”, avrà i suoi motivi, lui è molto più addentro, non è una mezza figura.

Martedì — Marco Rasi
È tutto pronto per domani, senza ripensamenti. Non è proprio il caso, nella sua posizione, di farsi coinvolgere più di tanto da un latitante, anche se da ragazzi si conoscevano. Ormai le loro vite hanno preso strade diverse.
Antonio: vorrà soldi, vorrà una via d’uscita?

Mercoledì — Marco Rasi
Marco Rasi non ha disdetto neppure un appuntamento. Attivo, attento, preciso. È dotato di humor come non può far a meno di notare chi lavora con lui.
Alle 18,45 stacca. Lascia libera la segretaria. Passa nel bagno privato, sfila la cravatta, apre il colletto della camicia, ritocca la rasatura con il rasoio elettrico; si riveste, controlla allo specchio di essere in ordine.
Esce alle 19,35 (si è fermato a salutare il portiere). All’edicola compra un quotidiano della sera, non per le notizie, ma per non stare a mani vuote.
Il luogo dell’appuntamento è a dieci minuti di strada. Andando a piedi, il vicolo è in zona pedonale. Ci sono giusto quei cinque minuti in più per un imprevisto.
Alle 20 esatte imbocca il vicolo addossato a Palazzo Ducale.

Mercoledì — Antonio
Che brutta notte è stata per Antonio quella fra martedì e mercoledì! Non ha chiuso occhio, lui sempre così tranquillo.
Eppure va tutto OK: il responsabile di zona ha creduto alle motivazioni che gli ha fornito, infatti sono ineccepibili. E non è necessario che sappia altro: soprattutto dei vecchi fantasmi che non danno tregua ad Antonio.
La vita che ha vissuto è quella giusta. Difficile, certo, ma giusta. Cominciata per caso. Poi tutto ha cominciato a sfaldarsi, a franare. Non per gli arresti, non per le morti violente. O le defezioni, No, erano tutti elementi previsti.
No. È per la giovinezza che passa, per la vita che si consuma, mentre la vittoria si allontana.
Così, mentre tutto diventa routine, difficile, pericolosa, sanguinosa anche, ma sempre routine, una domanda prende corpo: “Ma questa vita è la mia? Questa vita io la volevo così? O mi ci sono trovato dentro per caso?
Ma il caso non esiste. Era stato l’amico a scegliere. Ora sarà Antonio a ricambiare il favore. “Tu hai scelto una vita per me, io sceglierò una morte per te.”

Mercoledì — Sax
Antonio è più in basso, dove il vicolo piega due volte ad angolo retto prima di decidersi a correre giù verso il porto. Due lunghi tratti paralleli uniti da una brevissima trasversale. È lì l’appuntamento.
Dall’inizio del breve segmento cieco Antonio lo vede venire giù: sembra ancora giovane. Quello ha avuto una vita comoda, brillante; ma soprattutto ha potuto scegliersela.
Antonio no. Quando i celerini erano venuti a sgombrare la facoltà occupata, lui era dentro. Ma non era il solo. E allora perché proprio lui era diventato un simbolo?
Si costringe a stare fermo, ad aspettare che Sax, l’amico di un tempo, si avvicini.
E ritornano i ricordi. Allora era uno dei tanti, neppure uno dei più convinti, veramente c’era una con cui voleva farsi bello… Restare nella facoltà occupata era sembrato un buon sistema.
Erano arrivati i celerini e Sax, per la prima volta eloquente, l’aveva trasformato in un martire. E aveva trasformato sé stesso in un leader.
Ora Antonio sta aspettando Sax che si avvicina tranquillo. Sax: di certo Marco ha dimenticato il suo vecchio soprannome. Da ragazzo parlava sempre di jazz e ripeteva fino alla nausea che il sax era lo strumento più bello del mondo. Parlava di quelle note dicendo che gli mordevano il cuore.
Antonio vede Marco Rasi scendere, sta fermo ad aspettarlo. Marco crederà che sia venuto a cercarlo per quattrini. Come il responsabile di zona ha creduto che si organizzasse un sequestro.
La poca luce è alle spalle di Marco Rasi: viene dall’insegna intermittente di un negozio di computer all’angolo con la piazza su in alto. Così la lunga ombra si distende su Antonio.
C’è silenzio e penombra.
Nella penombra il gesto di Antonio.
Nel silenzio un colpo secco, preciso, un’alta nota staccata.
E poi voci, luci, passi, parole.
— Ha avuto un bel coraggio a non starsene a casa. Questo è il nostro mestiere, ma per lei…
Marco Rasi si stringe nelle spalle. — Non sarebbe uscito allo scoperto se non mi avesse visto.
— Ha cercato di ucciderla, lo sa? — una pausa. — Se il nostro uomo avesse sbagliato, lei ci avrebbe lasciato la pelle.
— Ho corso i miei rischi.
Il suo interlocutore lo guarda: o ha i nervi molto saldi o è un pesce freddo. E poi la lucidità di mettersi in contatto con loro, con le forze dell’ordine e riferire che un “amico” di vent’anni prima, ora latitante, l’aveva contattato! Un latitante già condannato all’ergastolo in contumacia. E ritenuto molto pericoloso. E lui, un civile, gli si è avvicinato con tutta calma… Un’eccezione in mezzo a tutte le scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano.

Più tardi — Marco Rasi, Sax
Marco Rasi ha riattaccato il ricevitore del telefono a gettone. È stata una conversazione brevissima, solo “OK”.
Per comunicare che, pulitamente, il vecchio Antonio è stato eliminato. Scheggia impazzita, che ormai non serve più. Lui e il suo attentato “facile” e la sua incapacità di credere nei tempi lunghi. La gente come lui, ormai, è inutile e dannosa.
Meglio, molto meglio chi, come Marco Rasi, si infiltra nel sistema per controllarlo dall’interno fino a portarlo al punto di rottura, esasperandone le contraddizioni interne.
Ora è lì, a sfogliare il giornale: la sparatoria della sera prima è solo un trafiletto. “La morte di un pericoloso latitante…” e lui, Marco Rasi, non compare: ancora meglio.
Come sempre, durante la lettura dei quotidiani, si è permesso un caffè.
Il capo della sezione antiterrorismo era stato chiaro: “Vorremmo prenderlo vivo, ma al minimo gesto sospetto i miei uomini premeranno il grilletto. Non voglio trovarmi con un uomo della sua posizione sequestrato o ucciso. Vedremo se veramente vuole solo quattrini, come dice lei… Quelle sono brutte bestie.”
E lui, Marco Rasi, si era ben guardato dal dirgli che il primo gesto di Antonio sotto tensione era sempre infilare una mano in tasca alla ricerca spasmodica di una sigaretta. Quante volte gliel’ha visto fare.
Ora Marco Rasi, Sax, si appoggia allo schienale di pelle nera. Prende due sigarette e le accende. Una se la fuma e l’altra la lascia consumare appoggiata al portacenere.
Per Antonio anche lui cambiato.
Per Antonio che come ultimo gesto non aveva cercato una sigaretta: no, la sua mano stringeva già l’arma preferita.
E alla fine della bella festa
Una sigaretta a testa…


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