“Tutto incominciò il giorno in cui trovai quello strano oggetto” di Riccardo Piana


Tutto incominciò il giorno in cui trovai quello strano oggetto. Ero seduto sul divano di pelle bianca, che era soffice come la neve. Mi trovavo nell’enorme salone di casa mia in montagna. Erano le sedici e trenta quando notai un luccichio sotto il camino. Mi avvicinai, era una sfera di cristallo, pulita come il mare in piena estate. La toccai e mi ritrovai in una città a me sconosciuta: tutte le case erano bianche, ognuna con una forma bizzarra e unica. Le strade erano di marmo bianco, così pulito che ci si poteva mangiare sopra. Le macchine stranamente non andavano più con le ruote di gomma nera, ma volavano senza far alcun rumore. Vidi un cartello di forma rettangolare che diceva: “A Destra Ufficio Informazioni, Città di Bromstoni. “Riflettei un attimo e poi pensai tra me e me: “Questa città non esiste!” Non sapevo dov’ero finito: in un altro pianeta? Nel futuro? Oppure in un tempo parallelo al nostro? Non sapevo né dove sarei andato, né come ci sarei arrivato e nemmeno quanto tempo ci avrei impiegato. Quindi decisi di andare all’ufficio informazioni. Erano ormai 45 minuti di pura camminata, mi stavo per arrendere, quando vidi una navetta rossa come quella dei cartoni animati, soltanto che era reale. A quel punto non sapevo se ci sarei dovuto salire o no. Colto da fame, sete e stanchezza decisi di salire. Oh, come avrei sperato che mi aiutassero, invece una donna giovane che sembrava un punk gridò al ladro puntando il suo ditaccio contro di me. Immediatamente due poliziotti mi presero per le braccia e mi trascinarono nell’auto futuristica, poi sfrecciarono alla prigione e mi buttarono dentro una cella. Era nera, le sbarre di ferro scuro come lo spazio quando le stelle non erano ancora formate. Nel buio spettrale, soltanto dopo un quarto d’ora, notai che c’era anche un’altra persona in cella con me. Aveva una faccia con tre tagli sull’occhio sinistro ed era ricoperto di tatuaggi dalla testa ai piedi. Con una voce che avrebbe messo in fuga pure un leone, mi chiese: “Vuoi evadere con me? Se non lo farai non potrai più tornare all’esterno, perché chi entra in questa prigione non esce più.” Gli risposi di lasciarmi una notte per pensarci.

Riflettei a lungo prima di decidere cosa fosse la cosa giusta da fare ed alla fine decisi. Andai da lui e gli dissi: “Sì, ma cosa vuoi in cambio?” Sempre con quella voce sinistra mi spiegò: “Quelli nuovi hanno un trattamento speciale; a loro danno le posate in ferro e sono meno severi, ma soltanto per due settimane. Ho bisogno che tutti i giorni tu prenda tutte le posate che puoi, più tardi ti spiegherò il resto del piano”.
Di mattino, i poliziotti chiamati dal mio coinquilino  ci fecero andare a fare colazione. Passammo da un corridoio pieno di telecamere, fino alla mensa. Poi, prendemmo da mangiare. Il cibo era disgustoso, ma sapevo che mi sarei dovuto abituare, presi tutte le posate e di sera, in stanza, a mezzanotte in punto, il mio compagno mi strappò la forchetta di mano, allungò le mani fuori dalle sbarre e piantò la forchetta in gola alla guardia uccidendola all’istante. Il sangue colava giù dalla forchetta fino al pavimento della nostra cella,  dove ormai c’era una pozza di sangue. L’omicida rubò le chiavi e la pistola al poliziotto e ci liberò.
Di colpo mi svegliai e scoprì che era tutto un sogno. Corsi in salone e vidi la sfera: lì non la toccai più, anzi la coprì con un velo.
(20 anni dopo)
Accendo la TV e vedo al telegiornale che il mondo sta per finire! Quindi prendo tutta la famiglia e le racconto la storia e loro dicono in coro: “Non è possibile, ma se è vero, è la nostra unica speranza.” Saltiamo sulla sfera e veniamo teletrasportati nell’altro mondo.
Comprammo una casa e trascorremmo una nuova vita felice e avventurosa.

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