Racconto pubblicato nel 1986 da Segretissimo.
10 gennaio 1978, Roma
— Deve essere fermato. A ogni costo
— Forse sappiamo a chi si rivolgerà.
15 gennaio 1978, una città del Nord Italia
Quando comincia a squillare il telefono, sto rovistando nella borsa per cercare le chiavi di casa. Apro la porta e me la chiudo alle spalle; sollevo la cornetta.
— Mila?
So subito di chi si tratta: lui non ha bisogno di dire altro e lo sa perfettamente. Nonostante tutto è sempre sicuro di essere riconosciuto. Dieci anni fa ero una ventenne confusa, spaventata e innamorata della vita: Nino era di parola pronta, disinvolto e sicuro di sé. Non ero stata la sola a tenergli gli occhi addosso, mentre durante le assemblee “faceva il punto della situazione”. Perché fra tante aveva scelto proprio me come amica?
Mi ero posta la domanda più tardi e mai avevo trovato risposta.
Era un leader: chi ha vissuto quei giorni non ha bisogno di ulteriori spiegazioni e gli altri non capirebbero neppure dopo mille parole.
Tramite Nino avevo conosciuto Aris.
Un triangolo: proprio noi che ridevamo delle situazioni borghesi!
Non era Nino il più forte; Aris aveva idee e determinazione.
Poi, come un giocattolo, tutto si era rotto.
E si permette di chiamarmi: — Mila!
— Sono io. — Non dico altro.
— Devo vederti. — Interpreta il mio silenzio come un assenso. — Devo vederti, presto. Oggi: il posto e l’ora della prima volta. Ti aspetto.
Abbasso la cornetta, mentre la collera mi aggruppa lo stomaco. Mi tratta, come allora, da stupida femmina sempre disponibile.
Per lui è ovvio che io ricordi l’ora e il posto del nostro primo incontro: LUI, il grande Eroe della mia vita! Eppure so di dover andare.
Dieci anni fa. I palazzi con i portici bassi fronteggiano il porto e i vicoli si inerpicano su verso la collina. L’asfalto è reso viscido dall’olio delle auto.
Ma, dai vicoli, gruppi di giovani sciamano nell’antica piazza e le loro voci rabbiose agitano l’aria.
Parole e bandiere. Il sangue scorre veloce. Improvvise le camionette della celere. la mia corsa, cieca, su per un vicolo stretto, una mano che mi spinge fin dentro un portone. Cerco di protestare, ma lui mi mette una mano sulla bocca. Più tardi mi darà con tono esperto la prima lezione di sopravvivenza: — Scegli sempre il vicolo più stretto e corri veloce. Zitta.
Dieci anni fa, ma ora la piazza si è liberata anche di quei giorni. Forse sono sempre le pietre a vincere: durano.
All’edicola compro una rivista, per attraversare con calma la piazza in modo che Nino possa vedermi; poi lentamente risalgo il vicolo sfogliandola. Entro nel portone che è solo più sporco. Aspetto e in questo sono abilissima.
Entra.
Trafelato; lui che raccomandava la tranquillità.
Ora sono io la più forte.
Il tempo l’ha sciupato e lui è invecchiato più di me. La bellezza è più fragile della mediocrità.
Ha un impermeabile biancastro, stazzonato, lasciato aperto su un maglione e dei calzoni non tenuti meglio. E’ rimasto fermo alla disinvolta noncuranza di allora, ma in un uomo di trent’anni è meno disinvoltura e più sciatteria. Come se la barba lunga o il maglione macchiato aiutassero a “fare la rivoluzione”.
— Devi aiutarmi.
Faccio un cenno d’assenso, gli è sempre stato sufficiente come spinta per lunghi discorsi.
— Mi cercano. Hai dei soldi?
— Posso procurateli.
— Ma non potrò renderteli facilmente.
Ha detto la medesima frase tante volte che la so a memoria: li prende ma ci tiene a precisare che non si sente mio debitore. Anzi! Dovrei ringraziarlo perché tramite lui contribuisco alla causa.
Ripete: — Non potrò renderteli. — Alzo le spalle e così continua: — Quando me li porti?
— Domani. Ma non qui, non due volte nello stesso posto: al tunnel sopra la funicolare.
Allunga una mano e mi tocca il viso. — Mi aiuti senza neppure chiedere spiegazioni…
Mi mordo le labbra. Il passato mi ha resa imprudente, ma è Nino, vuol soltanto dire che, se lo aiuto dopo tanti anni, è perché lui è importante per me.
E poi la voglia di farsi bello. Qualunque cosa faccia deve raccontarla, è più forte di lui. Così è rimasto una nullità, ma questo è tutto un altro discorso.
— Ho continuato per la mia strada, Mila. Tanti hanno abbandonato la lotta, sono ritornati fra i ranghi e si sono imborghesiti. — Mi guarda, per lui conta solo l’apparenza. — I tempi sono cambiati, le parole non bastano.
— Taci. Preferisco non sapere.
Mi guarda deluso e poi annuisce. — Andiamo.
— Vai tu, Nino. Io controllo che nessuno ti segua. — Per la prima volta è incuriosito, non avrei dovuto dirlo, ma è troppo importante. — Dove posso trovarti, se non potessi venire…
Si fida, si è sempre fidato di tutti, e mi dice il nome del buco nel centro storico dove passerà la notte. — Ma sono con un altro nome — e mi dice anche quello. — Lì non fanno tanto i difficili con i documenti.
— Domani ti darò il contante che riesco a trovare, ma lascia la camera, porta via tutto.
Annuisce con sufficienza come per dirmi che è un esperto della clandestinità! Forse gli faccio pena, con la mia squallida vita borghese, e non trova di meglio che chinarsi verso di me con un bacio frettoloso.
Lo guardo andar via: nessuno lo segue, mentre ritorna verso il porto.
Poco dopo lascio anch’io l’oscurità del portone, ma salgo su verso la piazza.
Ho molto da fare, ma non mi affretto, perché c’è tempo per tutto. Non sono pasticciona come lui, che faceva le cose a metà e, se non era per me, non aveva mai i volantini ciclostilati per tempo. E non si è mai reso conto di quanto gli ero necessaria, di come imparavo presto.
Ma Aris capì subito le mie qualità nascoste e la mia vita cambiò. Solo di questo devo esser grata a Nino, di avermi fatta incontrare con Aris… Ma il resto è merito mio.
16 gennaio 1978
Una cucina, di primo mattino.
Un tranquillo quadro piccolo borghese: la caffettiera sul fornello spento. Una tazza di caffè bollente. Una mano di donna senza fretta apre la busta ritirata poco prima dalla cassetta della posta. “Sì.”
Sposta la caffettiera, riaccende il fuoco, passa la busta e il biglietto sulla fiamma, butta la cenere nel lavello di cucina e fa scorrere l’acqua.
16 gennaio, tardo pomeriggio
Sono pronta per tempo: ho preso l’autobus invece della funicolare, per prudenza. Ho la borsa grande, quella nera, capiente e soprattutto comune, comprata a un saldo della Rinascente. E’ pesante e la porto a bandoliera, ci mancherebbe proprio uno scippo!
Con Aris un giorno rideremo insieme dello scampato pericolo. E’ un pomeriggio piovoso e il mio imper beige double face è una specie di divisa.
Avessi potuto scegliere la giornata l’avrei scelta così, perché la gente pensa solo ai fatti propri. Sono tranquilla, mi sento protetta, sono protetta: lo so. Vedo arrivare Nino, con la funicolare. Aspetto che mi veda e mi avvio verso il tunnel. Forse voi non lo conoscete e credete che sia chissà che, mentre è solo una lunga stretta galleria, solo pedonale e neppure diritta, fa due anse, una poco dopo l’entrata, l’altra subito prima dell’uscita.
Un tempo, quando ero ragazzina, era molto frequentato da gente della zona, ora fra scippatori e drogati sono pochi quelli che la usano.
Fa esattamente al caso mio, pochi mesi fa passavo e l’ho notato. Quando al centro ho trovato una coppietta indaffarata, l’ho registrato. Non si sa mai quello che potrà servire.
Sento i passi di Nino dietro di me ingigantiti dal tunnel.
Mi segue e non sa di essere lui l’inseguito.
10 gennaio 1978, Roma
— Si è sempre rivolto a lei quando era nei guai, forse farà così anche questa volta… Lo seguiremo per essere sicuri che non sia un’esca, volontaria o no, e poi daremo l’ordine di procedere. Non c’è motivo per non farlo. Non sarà una gran perdita. Nino: su di lui noi due avevamo dato parere negativo, neppure per incarichi di poco conto poteva andar bene. Troppo facile agli entusiasmi, troppo imprudente. E poi chi si sente importante, nel pericolo, messo alle strette, cerca sempre di salvarsi la pelle. Ora Nino vuol scappare, come tante altre volte in vita sua. Ricordo che Mila mi aveva parlato proprio di questo: la prima lezione ricevuta da Nino era stata sull’arte della fuga. Ma gli altri avevano dato parere favorevole. Al primo incarico importante, soltanto fare da palo a una consegna di armi, si è fatto incastrare e ha cominciato a scappare. Forse approderà proprio da Mila.
16 gennaio
Mi segue e non sa di essere lui l’inseguito.
10 gennaio 1978
— Mila: lo sapete come me, la sua vita è un gioiello, perfetta. Guida con prudenza e non è mai assente sul lavoro. Ma l’altra faccia della medaglia… Lo sapete, gli altri hanno dei cedimenti, soffrono di doversi nascondere, mentre lei vive le sue due vite senza angoscia, lucida ed efficiente in entrambe.
Nino non lo capirebbe, lui così melodrammatico. Per lui ci volevano le luci della ribalta, spettatori plaudenti e nome sul giornale, almeno quello locale. I fermi dopo i cortei erano tante medaglie. Si è logorato nell’inseguire l’apparenza. La storia ha distrutto la sua utopia e noi l’abbiamo scavalcato. Non siamo una banda di parolai e neppure di briganti. Siamo uno Stato e Mila è uno dei nostri cervelli migliori. I suoi piani sono perfetti e il prossimo li colpirà come mai sono stati colpiti. Non un magistrato, non un giornalista, ma un uomo di governo. Possiamo permettere che Nino sciupi tutto? Se, parlando, anche senza sapere la verità, la coinvolgesse? Dobbiamo farlo. Lei deve farlo.
16 gennaio
Al centro del tunnel mi fermo, lui si avvicina. Un attimo di silenzio è la miglior prova del fatto che siamo soli. Anche se il messaggio ricevuto stamane mi ha assicurato: lui è pulito e non si tira nessuno dietro. Sono tranquilla, perché so che, secondo il piano, due compagni mi coprono le spalle, alle estremità del tunnel.
Infilo una mano nella borsa, non come chi deve rovistare alla cieca. Quanto cerco è lì, a portata di mano. Faccio quello che devo.
Il suo stupore. Se lo odiassi, mi ripagherebbe. Non lo odio, il mio è solo un atto necessario.
16 gennaio 1978
In un attimo rivede tutta la propria vita, all’indietro. Ieri: l’appuntamento nel vicolo e le parole di Mila. Prima, la fuga verso la città, verso il mare, perché con un po’ di soldi si può trovare un imbarco clandestino. A chi rivolgersi? Non ai compagni, con il rischio di comprometterli. Mila è una borghese, ma gli ha sempre allungato qualcosa. E’ docile, premurosa. Una meta insospettabile.
Per lei erano diventati presto troppo audaci anche i cortei di protesta e aveva “mollato”.
Fuggire.
Fuggire perché era fra due fuochi, la polizia e gli altri, tutti gli davano la caccia. Perché si era lasciato coinvolgere? Ma che cosa poteva fare di diverso? C’era arrivato passo dopo passo.
10 gennaio, Roma
— Un pasticcio. un compagno ucciso e uno ferito perché il caro Nino invece di dare l’allarme ha pensato bene di scappare. E neppure questo è riuscito a fare bene, perché l’hanno visto in faccia e ora hanno un identikit bello chiaro. E se lo beccano parla. E’ stata proprio Mila a dire: “Verrà da me, è sempre venuto da me quando era nei guai. Tenetevi pronti.” E proprio lei ha abbozzato lo schema.
16 gennaio 1978
Mi guarda. E poi più nulla: tutto è stato eseguito pulitamente. Chi doveva proteggermi le spalle ha lavorato bene. Tranquilla esco dal tunnel. Potevo oggi dare l’incarico a un altro, ma per me non è stata la prima volta e non sarà l’ultima. Un giorno mi toglierò la maschera definitivamente. Nino è stato un piano come un altro e ho preferito ucciderlo io stessa.
Perché, almeno morendo, sapesse.
Li chiameranno anni di piombo.