“Aldilà della ragione” di Laura Veroni


Faceva molto freddo quella sera. Quando Vera aprì la portiera dell’auto, l’aria gelida invase il piccolo abitacolo, facendola rabbrividire. Spense i fari, sfilò la chiave dal cruscotto, sganciò la cintura di sicurezza e scese, chiudendo con il telecomando. Un flash arancione illuminò il buio intorno. C’erano poche altre vetture parcheggiate lungo il marciapiedi. Vera alzò il collo di pelliccia del giaccone, portandolo fino alle orecchie, quindi si diresse, con passo traballante sui tacchi alti, verso il ristorante. Si domandò che cosa mai l’avesse spinta ad accettare quell’invito. Avrebbe dato qualunque cosa per trascorrere una serata tranquilla, nella quiete domestica, insieme a Carlo, suo marito. Invece aveva ceduto all’insistenza di Anna, che l’aveva voluta a quella cena per una rimpatriata tra vecchi compagni di liceo. Erano trascorsi talmente tanti anni, che nemmeno li avrebbe riconosciuti, pensava Vera, facendo il proprio ingresso nel locale.
Il ristorante era affollato, ma non ebbe difficoltà a individuare il tavolo al quale la stavano aspettando. Anna, vedendola entrare, si era alzata in piedi e agitava un braccio per attirare la sua attenzione. Vera sfoderò un sorriso forzato e si avvicinò al gruppo. Anna le si fece incontro, abbracciandola calorosamente.​
Anna era l’unica con cui Vera era rimasta in contatto. Era stata sua testimone di nozze e si frequentavano spesso insieme ai rispettivi mariti. ​​
Vera salutò i presenti, cercando di mettere a fuoco i volti, di associarli ai nomi. Non li riconobbe tutti, specialmente gli uomini. Diversi erano imbolsiti, stempiati, ingrigiti. Nulla a che vedere con i diciottenni di un tempo, pieni di ormoni, con i capelli folti, la barba incolta e i fisici asciutti.​
<<Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo anche ordinare!>>, esclamò Anna. Aveva sempre avuto il fare della leader, anche da ragazza, l’atteggiamento di colei che amava comandare, non per niente era stata eletta rappresentante di classe per tutti i cinque anni delle superiori. Passò a Vera la lista del Menù e le versò l’acqua nel bicchiere. Vera notò che c’erano già due bottiglie di vino, uno bianco e uno rosso, al centro della tavola. Evidentemente avevano ordinato prima del suo arrivo. ​
La serata si aprì all’insegna dei ricordi che risalivano a trent’anni prima. Vennero tirati in ballo i vecchi professori, aneddoti divertenti, le imprese memorabili per copiare le verifiche di greco senza essere sgamati, le storie d’amore nate tra i banchi di scuola.​
<<A proposito di amori, vi ricordate di Arianna?>>, disse a un tratto Rodolfo.
<<Chi, quella del corso A che si filava tutti?>>, intervenne Mattia lanciando occhiate maliziose ai maschietti presenti. ​
<<Tranne te, tranne te, tranne te…>>, cominciò a canticchiare Anna, ridendo alla volta dell’amico. <<Anche se tutti ballano tranne te E il tuo drink sembra quasi un the E un motivo sotto sotto c’è Tu vuoi lei tu vuoi lei Sì ma lei ha già un marito che Che ti cerca immagina il perché…>>. Anna continuò a punzecchiarlo, ricordando quanto Rodolfo fosse stato innamorato della compagna che non lo filava minimamente.​
<<Ok, ora basta>>, bisbigliò Vera, seduta alla sua sinistra, posandole una mano sul polso. <<Lo stai mettendo in imbarazzo>>.​
Anna sollevò un solo sopracciglio. <<Si faceva per ridere>>, obiettò.​
<<Non credo che Rudy lo abbia trovato divertente>>, replicò Vera, tamponandosi le labbra col tovagliolo. ​
Mattia ruppe l’imbarazzo con la sua solita verve, tornando a raccontare altri aneddoti, riportando così nuovamente l’attenzione su di sé.​
Vera si alzò in piedi e allungò un braccio verso la bottiglia del vino rosso. Fu in quel momento che sollevò lo sguardo oltre il tavolo e lo vide. I suoi occhi rimasero come ipnotizzati per qualche istante. Un uomo sedeva al tavolo di fronte al loro. Era un tipo distinto, in giacca e cravatta. La osservava attraverso un paio di lenti, tenendo gli occhi fissi su di lei. Vera provò un leggero imbarazzo, nel sentirsi al centro di un’attenzione inaspettata e abbassò i suoi. Prese la bottiglia e sedette nuovamente, versandosi da bere.
Per tutta la durata della cena, si sentì addosso quello sguardo. Di tanto in tanto, mentre parlava con gli altri commensali, alzava gli occhi cercando quelli dello sconosciuto. Lui era sempre lì, pronto a incrociare i suoi. Sedeva insieme ad altri uomini, tutti elegantemente vestiti. Doveva trattarsi di una cena di lavoro, non certo di une rentrée come il loro. Si sorprese, inconsapevolmente, a rivolgergli una sorta di sorriso, appena abbozzato. Si giustificò dicendosi che lo aveva fatto per superare l’imbarazzo. Le parve di scorgere lo stesso sorriso affiorare sulle labbra di lui. Timidamente fuggì con lo sguardo altrove. Si impose di non guardare più in quella direzione.​
Stavano ordinando il dolce, quando gli uomini seduti al tavolo di fronte si alzarono e si avviarono verso l’uscita. ​
Vera non poté fare a meno di rivolgere la propria attenzione allo sconosciuto. Si accorse che si stava avvicinando al loro tavolo. Per un attimo temette che si sarebbe rivolto a lei con una scusa, una qualsiasi. Provò una stretta allo stomaco che durò la frazione di un secondo, giusto il tempo di rendersi conto che l’oggetto del suo interesse era Rodolfo. Lo sconosciuto e l’ex compagno di liceo si conoscevano. I due scambiarono qualche parola, poi l’uomo tornò a posare gli occhi su di lei e si allontanò, scomparendo alla sua vista.
Erano trascorsi alcuni giorni. Vera non aveva più sentito nessuno dei vecchi compagni, eccetto Anna, naturalmente, e della cena non le era rimasto altro che il ricordo di quegli occhi. Si sorprendeva a pensarci, domandandosi se li avrebbe mai più rivisti. Cercava, di tanto in tanto, di immaginarsi l’uomo al quale appartenevano, ma i contorni del suo viso sfumavano lentamente, man mano che i giorni passavano. Si sforzava di dargli una connotazione che mantenesse vivo il ricordo di lui nella mente e non riusciva a spiegarsi il motivo di quel bisogno di tenerlo vicino. Non sapeva niente di lui. Eppure quello sguardo…
La vibrazione del cellulare l’avvisò che c’era un messaggio. Era Anna che la invitava a entrare in Facebook per vedere le foto della cena che aveva appena caricato. La prima cosa che le apparve fu una serie di fotografie del gruppo degli ex liceali ormai cinquantenni, seduti al tavolo del ristorante, sorridenti davanti all’obiettivo. Anna aveva taggato tutti quanti. Vera sfogliò l’album, passando in rassegna le fotografie. All’improvviso, un tondino rosso l’avvisò di una richiesta di amicizia. Cliccò sull’icona. Il cuore sobbalzò. Riconobbe immediatamente il volto dello sconosciuto nella foto profilo. Alessandro. Si chiamava così, dunque. Lo sentiva che l’avrebbe cercata, ne era quasi certa: l’involontario pensiero, insistentemente rivolto a quegli occhi, era arrivato a destinazione. Ebbe paura del potere della mente. Ci pensò sopra un tempo che le parve infinito poi cliccò su conferma.
Vera si sentiva inquieta, non sopportava l’idea che le giornate si fossero fermate là, a quella sera. Non riusciva a spiegarsi come un estraneo potesse averla pervasa a tal punto con un semplice sguardo. Faticava a mettere a fuoco ciò che stava avvenendo dentro di lei. Avvertiva una forza che la portava contro la propria volontà a concentrarsi su quella figura enigmatica.​
Si sorprendeva a entrare nel social alla ricerca di un messaggio da parte di Alessandro e invece niente. Che cosa voleva da lei, allora? C’erano momenti in cui avvertiva una sorta di bisogno compulsivo di entrare anche solo per vedere la sua foto profilo, quella in cui lui sorrideva. Aveva un sorriso dolce e sincero. Ma gli occhi… quelli erano magnetici. Occhi pericolosi, dai quali stare lontano. Fiutava il pericolo a distanza, lo sentiva sulla pelle. Quell’uomo avrebbe potuto stravolgerle la vita. E, forse, lo stava già facendo. ​
Carlo sedeva sul divano e seguiva il TG delle 20.30, mentre lei, dalla poltrona di fronte, si perdeva in mille fantasticherie. ​
<<Che hai?>>.​
La voce del marito la fece trasalire, riportandola alla realtà.​
<<Sei strana ultimamente>>. La fissava con sguardo interrogativo.​
Vera scosse la testa. <<No, sono solo un po’ stanca>>.​
<<Perché non ti siedi vicino a me invece di tenere le distanze?>>.​
<<Cosa dici? Quali distanze?>>. Vera arrotolò una ciocca dei lunghi capelli castani attorno a un dito. Lo faceva sempre, quando era nervosa. Era un gesto che la rilassava.​
<<Sei sfuggente>>, replicò Carlo.​
Vera rise per nascondere l’imbarazzo. Era come se lui le stesse leggendo i pensieri.​
<<C’è qualche problema di cui mi vuoi parlare? E’ successo qualcosa al lavoro o con i tuoi?>>, incalzò il marito.​
Vera pensò fosse meglio sedersi accanto a lui e accoccolarsi contro il suo corpo, così da non destare ulteriori sospetti. Posò il cellulare sul tavolino e sedette sul divano, appoggiando la testa alla spalla di Carlo. ​
Erano sposati da molti anni, ma com’era realmente il loro matrimonio? Se avesse dovuto definirlo con una sola parola avrebbe detto tranquillo. Si erano sempre rispettati, mai un contrasto che potesse essere definito una lite. Allora perché lo sconosciuto aveva fatto breccia nei suoi pensieri? Non le era mai capitato, in oltre vent’anni di matrimonio, di rivolgere le proprie attenzioni a nessun altro: Carlo le era sempre bastato. Intrecciò le dita con quelle del marito e lo baciò sul collo, cercando di allontanare l’immagine del volto di Alessandro che si faceva largo tra i suoi pensieri, chiedendo spazio. ​
<<Ti amo>>, gli disse, sentendosi in colpa.​
Carlo le baciò i capelli. <<Ti amo anch’io>>.​
Le loro dita si intrecciarono più forte. Si sentì rasserenata e si disse che pensare a un altro era stata solo una debolezza.​
Quella notte dormì tranquilla. Uno scivolone poteva capitare a chiunque, in fondo, l’importante era avere capito.
La pioggia di quel tardo pomeriggio di Dicembre era torrenziale. Vera uscì dall’ufficio, cercando riparo sotto l’ombrello di un collega che la accompagnò fino alla macchina.​
Salì a bordo e accese subito il motore, per avviare il riscaldamento. Strofinò forte le mani, pose la borsetta bagnata sul sedile del passeggero, allacciò la cintura di sicurezza e si diresse verso casa. Il traffico del centro era congestionato, come capitava sempre nei giorni di pioggia. A un tratto, il cellulare prese a vibrare. Non conosceva quel numero. Aprì la comunicazione. Il vivavoce entrò in funzione.​
<<Pronto>>​
<<Vera, sono Alessandro>>.​
Il cuore le balzò in gola. Non poteva crederci. ​
<<Spero di non disturbarti. Ho avuto il tuo numero da Rodolfo>>.​
Già, Rodolfo…​
<<Mi piacerebbe rivederti uno di questi giorni. Ti va se scambiamo quattro chiacchiere davanti a un caffè?>>.​
Che cosa poteva fargli pensare che avrebbe accettato? Gli aveva forse dato modo di crederlo? Avrebbe voluto rispondergli con un no secco e deciso, ma qualcosa le diceva che non era il solito cretino in cerca di un’avventura, che non era il caso di mettersi sulla difensiva. Tuttavia non riuscì ad allentare le proprie resistenze: annusava la sensazione di pericolo che accompagnava quella figura.​
<<Scusa, ma sto guidando>>, mise subito le mani avanti per tagliare corto. <<Ti ringrazio per l’invito, ma sono molto occupata in questo periodo e non mi sarà possibile>>.​
<<Certo, scusami tu, non volevo essere inopportuno. Ti auguro una buona serata>>.​
Rimase sbalordita davanti a quell’arrendevolezza. Ancora a bocca aperta, con il saluto smorzato sulle labbra. Era stato più veloce di lei nel tagliare corto. Con assoluta discrezione ed educazione, aveva incassato il suo rifiuto.​
Restò in apnea per qualche secondo, poi riprese fiato, scrollò la testa e sorrise. Il cuore stava riprendendo a battere regolarmente. Che sciocca era stata a farsi tante paranoie. Scostò una ciocca di capelli dalla fronte e con quella le sue inutili preoccupazioni.
La mano di Carlo scivolava lungo la coscia, risalendo verso il fianco. Vera era nel dormiveglia e avvertiva quel tocco leggero sulla gamba. Era da poco trascorsa la mezzanotte. Mugugnò qualcosa di incomprensibile. Carlo non desistette. Infilò la mano sotto la maglia del pigiama felpato e cominciò ad accarezzarla. Vera si voltò verso di lui, nel buio della stanza. Carlo le sfilò i pantaloni e gli slip e in un attimo le fu sopra e poi dentro.​
L’immagine di Alessandro si fece largo nella mente di Vera. Provò un brivido di piacere intenso. Decise di non allontanarla, questa volta, ma di tenerla con sé. Si avvinghiava a Carlo con tutte le sue forze, lo baciava mordendogli le labbra, lo teneva stretto fino a soffocare, senza mai staccare la bocca dalla sua, nemmeno per prendere fiato. Non era con Carlo che lo faceva ma con Alessandro e ne era consapevole. La sua eccitazione aumentava man mano che i contorni del viso di quello che non le pareva più uno sconosciuto ma l’oggetto del desiderio si facevano più definiti. Immaginava le sue mani percorrerle la pelle, le sue labbra incollate alla bocca, i suoi respiri che morivano dentro di lei. ​
Era stato appagante come non lo era mai stato. Vera si sentiva bene. Si voltò sul fianco.
<<Sei stata fantastica questa sera!>>.
Vera passeggiava in centro alla ricerca di un regalo per il compleanno di Carlo. Il freddo era pungente. Da giorni era prevista neve, ma le temperature erano talmente basse che non sarebbe stato possibile. Sentiva la punta del naso ghiacciata e aveva le estremità gelate. Decise di entrare in un bar e ordinare un tè caldo. Ne aveva veramente bisogno. Si accomodò su uno sgabello davanti al bancone.​
<<Ciao>>, disse una voce alle sue spalle. ​
Vera si voltò e provò un tuffo al cuore violento. ​
<<Quando si dice il destino. Non credi anche tu?>>. Alessandro prese posto sullo sgabello accanto.​
Vera si sentì avvampare in viso. Lui non lo sapeva, ma solo qualche sera prima aveva fatto l’amore con lei. ​
Ordinarono due tè. ​
Non sapeva che cosa dire, avrebbe dato qualunque cosa per non trovarsi lì in quel momento. ​
<<Che ne dici di presentarci come si deve?>>. Alessandro le tese la mano. Lei corrispose la stretta ed ebbe l’impressione che lui la trattenesse più del dovuto. <<Come sta il mio amico Rodolfo?>>.​
Alessandro aveva un viso aperto, solare, ma il suo sguardo era troppo difficile da sostenere per lei. Aveva un modo di guardarla che la faceva sentire a disagio. Forse erano proprio i suoi occhi, quel taglio leggermente affilato, quel colore indefinito tra il grigio del cielo prima della pioggia e il marrone dei campi al momento della semina. Aveva l’impressione che la penetrassero a spogliarla delle sue difese. Sentì il cuore accelerare i battiti. Perché quell’uomo esercitava un simile potere su di lei? Rodolfo. Già, Rodolfo. Doveva rispondere alla domanda.​
<<Non lo vedo da quella cena, a dire il vero. Non siamo in contatto>>, spiegò. <<E’ stata una cosa così, un po’ particolare. Una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola>>.​
<<Pensavo foste amici>>.​
<<In realtà, erano anni che non vedevo la maggior parte di loro>>.​
Il cameriere posò teiera e tazze davanti a loro. ​
Vera notò che Alessandro vestiva con gusto. Mentre lui allungava la mano per inserire la bustina nella teiera, le giunse il suo profumo. Non eau de toilette ma il profumo della sua pelle. Vera era molto sensibile agli odori. Ne rimase ammaliata. Si sorprese a osservargli le mani: aveva dita lunghe, nodose. Erano ben curate, indice di una persona che teneva alla propria immagine, come ogni dettaglio in lui lo dimostrava.​
Parlarono del più e del meno fino a che il tè non ebbe lasciato che una chiazza marroncina sul fondo della tazza, poi Vera comunicò che era giunta l’ora di andare.​
Alessandro si alzò con lei e si recò alla cassa a pagare il conto. Uscirono insieme dal locale. Il gelo pungente li investì. ​
<<Sono felice di averti rivista. Spero di sentirti. Buona serata>>. Le diede un lieve bacio sulla guancia.​
Alessandro le piaceva, maledizione!, le piaceva da morire. Non faceva che pensare a lui. Le era entrato dentro con quegli occhi, si era insinuato nelle pieghe della pelle, lo sentiva scorrere nelle vene come sangue e lo percepiva arrivare al cervello prima e al cuore subito dopo. Che cosa le aveva fatto? Doveva assolutamente dimenticato.
La notte era fonda e Vera continuava a rigirarsi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Gli occhi di Alessandro continuavano a tormentarla. Se li sentiva addosso, li percepiva come un contatto fatto di carne. Rivedeva le sue mani mentre versava il tè nella tazza e le pareva di sentirle sulla pelle. La stavano toccando. Con tutte le sue forze cercava di resistere al richiamo che Alessandro esercitava con una forza sovrumana su di lei. Si sentì soffocare. Le mancava il respiro. Accese la luce sul comodino: le tre. Carlo dormiva profondamente. Si sentiva preda di un’ansia che non riusciva più a gestire. Alessandro Alessandro Alessandro. Come un virus era penetrato in ogni sua fibra. Si sentiva come posseduta. La ragione non le veniva più in aiuto. Cercava disperatamente di respingere il pensiero di lui, il ricordo dei suoi occhi, delle sue mani, il suono della sua voce. Si sentiva ossessionata da quell’uomo. Guardò Carlo e si sentì stringere il cuore. “Che cosa ti sto facendo?”. Si alzò. Decise di prendere un tranquillante per allentare la tensione e tornò a letto. Si addormentò che era quasi mattina.
Non riusciva a concentrarsi. Il file era aperto sullo schermo del pc e richiedeva la sua attenzione, ma il cervello si rifiutava di mettersi in moto. C’era solo un nome che scorreva sullo schermo della sua mente e quel nome era Alessandro.
Lo sentiva addosso, sentiva il suo corpo, la sua pelle, l’odore. Era lì con lei, nel suo letto. Entrambi nudi, avvinghiati, un intreccio di gambe e braccia. Lei lo stringeva forte e lo sentiva così vicino, così dentro di sé. Ansimava di desiderio e di piacere. Il movimento era ritmico e lui la assecondava, ricambiandone la passione. Gemette. Fu in quel momento che realizzò e aprì gli occhi. Si ritrovò avvinghiata al cuscino. Il cuore martellava forte nel petto. Si ricompose, accese la luce del cellulare e guardò l’ora: le quattro. Carlo si voltò dalla sua parte: dormiva profondamente. ​
Non riuscì più a chiudere occhio per tutto il resto della notte, il pensiero di Alessandro inchiodato, conficcato nel cervello.
Una settimana era trascorsa da quando lo aveva incontrato al bar. Non aveva più sentito Alessandro, non lo aveva più rivisto, ma non aveva smesso un solo giorno di pensare a lui. Carlo aveva notato che qualcosa in lei era cambiato. Le ripeteva spesso che la trovava diversa, pensierosa, assente. Vera continuava a negare, sperando di uscire da quello stato di dipendenza. Quello che le stava capitando era una cosa senza senso. Era tutto nella sua testa, era lei stessa che si autoalimentava. Alessandro non l’aveva più cercata, probabilmente si era anche già dimenticato di lei. ​
Stava pensando queste cose, quando il cellulare vibrò due volte. ​
– Ti disturbo?-​
Oddio, era lui! Le parve che il cuore dovesse scoppiarle in petto.​
– No – , rispose senza esitare.​
– Sai, penso spesso a te. Ti va di vederci uno di questi giorni? -​
Sentì tremare le gambe, il sangue scorrere veloce. Che cosa doveva rispondere? Se avesse detto no, avrebbe rischiato di non risentirlo mai più. Se avesse detto sì, avrebbe potuto sottoscrivere la sua condanna. ​
– Non rispondi?- ​
Oddio… sì? no?​
– Scusa, non ti disturberò più -​
– Sì! Sì, mi va – ​
Che cosa aveva fatto? Lo aveva scritto per davvero? Non poteva crederci. Rilesse la risposta. Gli aveva detto di sì. ​
– Dove? Quando? Subito? Puoi?-​
Si portò una mano al petto. Non gli aveva nemmeno detto che era sposata. Non sapeva nemmeno se lui lo fosse. Ma che cosa stava facendo? Si prese la testa tra le mani, posò il cellulare sulla scrivania e rovesciò la testa all’indietro, oltre lo schienale della poltroncina girevole. ​
– Vera, ci sei? Un caffè, solo un caffè. Non voglio incasinarti la vita, lo giuro, ma ho bisogno di vederti. Ti prego…-​
Un’ora più tardi sedevano al tavolo di un bar, uno di fronte all’altra. ​
<<Alessandro, devo dirti una cosa>>.​
Lui la guardava in silenziosa attesa.​
<<Sono sposata>>.​
L’uomo abbassò gli occhi. Per la prima volta. Solo un istante. Poi li rialzò su di lei. <<Peccato>>.​
Si sarebbe aspettata che dicesse qualcosa di sé, invece non disse nulla.​​
Si domandò come mai non si fosse informato sul suo conto presso Rodolfo. L’ex compagno di scuola sapeva che lei aveva un marito. O forse no? Non ricordava se ne avesse fatto cenno alla cena. Del resto non era stata molto partecipe, la sua era stata una presenza per così dire distratta, veramente poco interessata ai discorsi dei commensali.
<<Mi dispiace>>. Fu lei a parlare. ​
Alessandro sorrise. <<Non importa, davvero. Non mi ero fatto illusioni particolari>>.​
Mentiva, era chiaro che stava mentendo, glielo leggeva negli occhi.​
<<Avevo sperato non lo fossi, lo ammetto>>, confessò, come se le avesse letto nel pensiero.​
Apprese che lui era divorziato da tempo. ​
<<Se ho fatto qualcosa per indurti a pensare il contrario, ti chiedo scusa>>.​
Alessandro la guardò con tenerezza. <<No, no, tu non hai fatto nulla, stai tranquilla. Sono io che…>>, scosse la testa. <<Lasciamo stare>>. Terminò di bere il suo caffè. <<Bene, ora è meglio che vada. Fatti sentire qualche volta, se ti va>>. Pagò il conto e uscì dal bar lasciandola sola con i suoi pensieri. Vera lo osservò allontanarsi attraverso la vetrata e si sentì spezzare il cuore.
Trascorsero alcune settimane. ​
Vera non riusciva a smettere di pensare a lui. Non riusciva nemmeno più a fare l’amore con Carlo. Qualcosa si era rotto dentro di lei. Desiderava vedere Alessandro, sentirlo, parlare con lui. Trovava tutto così irreale, così assurdo. Stava mandando all’aria vent’anni di matrimonio per una persona che conosceva appena, anzi che non conosceva affatto. Lo aveva idealizzato, gli aveva dato vita pensando continuamente a lui e ora lui era divenuto padrone dei suoi pensieri e dei suoi sensi. ​
L’idea di lui era divenuta la costante delle giornate e delle notti insonni. La lontananza non aveva fatto altro che aumentare il desiderio e alimentare un sentimento che non aveva ragione d’essere. Dovevano conoscersi fino in fondo, scoprirsi: forse così avrebbero capito che non erano necessari l’uno all’altra. Non c’era che un rimedio: vederlo, incontrarlo di nuovo. In un modo o nell’altro, tutto si sarebbe risolto. ​
Risalì al suo numero dalle chiamate ricevute.​
<<Vera!>>, la voce che rispose dall’altra parte pareva incredula. <<Come stai?>>.​
<<Ho bisogno di vederti>>.​
<<Ti aspettavo da tempo>>.​
Vera sentì il fuoco, che divampava dentro di lei, consumarla lentamente alla fiamma di quell’insana passione.​
<<Tu dimmi solo dove e quando. Io sarò lì>>.
Territorio neutrale. Aveva scelto un parcheggio in pieno centro. Si sarebbero incontrati in macchina e avrebbero soltanto parlato. Orario serale, almeno non c’era rischio di essere visti, perché, comunque, era bene porre attenzione. Se Carlo fosse venuto a sapere quello che stava succedendo, non glielo avrebbe mai perdonato. Si sarebbe sentito tradito da quella che era la compagna di una vita intera.​
Era arrivata con un lieve anticipo e già si era pentita di quella decisione. L’auto di Alessandro non si vedeva ancora. Forse avrebbe fatto meglio a mandargli un messaggio, dicendo che ci aveva ripensato e che non si sarebbe presentata all’appuntamento. Gli avrebbe detto di lasciarla perdere, di dimenticarla, che era stato un errore, che non aveva senso niente di tutta quella storia. ​
Alessandro arrivò mentre Vera formulava quei pensieri. Il cuore della donna al posto di guida della Golf cabrio prese a tamburellare velocemente. Troppo tardi per tirarsi indietro. La BMW grigio metallizzato accostò. L’uomo che scese era vestito diversamente dal solito, ma sempre in modo molto ricercato, più casual, questa volta. Si avvicinò alla Golf e aprì la portiera. Vera sentì le gambe tremare. ​
<<Vieni tu sulla mia: è più sicuro>>.​
Era profondamente a disagio, percepiva di fare qualcosa di sbagliato, ma non riusciva a frenare l’attrazione che provava per lui. Scese, chiuse la macchina e salì sulla berlina.
Lui le puntò gli occhi in viso. ​
Vera si sentì trapassare da quello sguardo. Gli occhi di Alessandro erano mutati rispetto alle volte precedenti: si erano fatti caldi e profondi. Le parve luccicassero alla luce del lampione sotto il quale sostava la BMW. Si portò vicina alla portiera, in atteggiamento di difesa, e intrecciò le dita delle mani, tenendole in grembo.​
Alessandro non faceva nulla, rimaneva fermo al proprio posto, rispettoso del suo evidente disagio. Vera teneva gli occhi bassi.​
<<Perché non mi guardi?>>, le domandò lui con un filo di voce.​
<<Non ce la faccio>>.​
<<Provaci, per favore>>.​
Vera sollevò gli occhi e incontrò nuovamente quelli di lui. Vi lesse dentro tutto quello che non avrebbe mai voluto leggerci. Provò una stretta allo stomaco e istintivamente incrociò le braccia e ve le premette contro, come a voler placare quelle involontarie contrazioni.
<<Cosa c’è che non va?>>. Alessandro allungò una mano verso di lei in cerca di un contatto. Vera ebbe un fremito, quando avvertì il tocco delle sue dita. Provò l’impulso di sottrarsi, ma rimase ferma a farsi accarezzare. Si sentiva bloccata, non voleva ascoltare le proprie sensazioni. All’inizio fu come se quel tocco fosse rivolto a una parte di sé che non le apparteneva realmente. Era come se la sua mano fosse divenuta insensibile, poi cominciò a realizzare che era tutto reale e si sentì percorrere da brividi. Fu a quel punto che, nel silenzio più assoluto, allentò la tensione che la stava attanagliando e aprì la mano, accogliendo nel palmo quella di Alessandro. Gliela strinse e avvertì una sensazione di energia trapassarle il corpo. In quella presa c’era tutto un universo, tutte le parole che non riuscivano a dirsi, tutte le emozioni inconfessabili. Lo guardò e si perse dentro i suoi occhi. Poi appoggiò la testa contro il sedile, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino, verso le piante e il muro di cinta di un’abitazione. Emise un sospiro. Nessuno dei due parlava. Dopo lunghi attimi di silenzio, Vera si voltò verso di lui e gli prese l’altra mano, stringendola forte. Si sentiva colma di energia, di benessere. Di desiderio. Premette la mano di lui sul grembo. La sentì penetrare nel suo corpo. Era come se in quel momento lui stesso stesse entrando in lei. Lo desiderava da impazzire, ma non avrebbe commesso l’errore di dirglielo. E rimase a lungo a guardarlo, senza dir niente.​
Si era fatto tardi e lei gli comunicò che era giunta l’ora di tornare a casa.​
<<Grazie per questa sera>>, disse mentre lui le apriva la portiera della Golf, aiutandola a salire. Qualunque altro uomo avrebbe approfittato della situazione, avrebbe almeno provato a baciarla, ma lui no, non fece nulla di tutto questo. ​
<<Fatti sentire quando vuoi>>, le disse. Richiuse la portiera, salì sulla BMW e attese che lei mettesse in moto e si avviasse.​
Si erano detti tutto quello che avevano da dirsi in quel lungo silenzio: erano entrambi entrati l’uno nell’altra. ​
Mentre viaggiava verso casa, Vera sentiva ancora le mani di Alessandro nelle sue, si sentiva pervasa dalla sua energia e sentiva di non avere bisogno d’altro.
“Sono innamorata”, si disse, guardandosi allo specchio, mentre struccava il viso. “Innamorata persa di un essere unico e meraviglioso”. ​
Carlo sedeva nel letto, gli occhiali inforcati e calati sul naso, mentre leggeva un libro e la aspettava.​
<<Com’è andata la tua riunione di lavoro?>>, le domandò, quando Vera comparve sulla porta della stanza. ​
<<La solita noia>>, mentì.​
Era una fortuna che Carlo non fosse uno di tante parole e che non gli piacesse indagare nelle questioni altrui. Quella sera, però, pareva particolarmente interessato. <<Di che hai detto si trattava esattamente?>>.​
<<Non l’ho detto>>, rispose Vera, mentre andava in cerca di una spiegazione credibile nel caso lui avesse insistito.​
<<Hai l’aria tesa. Va tutto bene?>>.​
<<Sì, sono solo stanca>>, mentì. ​
Non si sentiva affatto tesa: si sentiva felice. Sentiva la vita scorrerle nelle vene, sentiva l’energia di Alessandro percorrerla in ogni parte e stava bene. Lo amava? Forse. Ancora non sapeva definire quello che provava per lui, ma, qualunque cosa fosse, era una cosa meravigliosa e la faceva sentire viva.
– Buongiorno, come hai dormito? -. Il messaggio di Alessandro fu la prima cosa che vide, quando accese il cellulare la mattina seguente.​
– Buongiorno -, rispose. – Ho dormito un sonno agitato -​
– Perché? -​
– Ho paura -​
– Di cosa? -​
– Di quello che ci sta capitando. Non posso permettermelo. Lo capisci, vero? -​
-Sì -​
– E tu, come hai dormito? -​
– Benissimo. Ti ho tenuta con me tutta la notte-​
Vera avvertì un movimento involontario delle viscere e l’inquietudine impossessarsi della sua persona.​
– Alessandro… -​
– Sì? -​
– Non dobbiamo più vederci. Dobbiamo smettere di scriverci, di cercarci. Dimenticami, ti prego -​
– Non posso farlo – ​
– Sì che puoi -​
– No, non posso -​
– Perché? -​
– Perché penso di essermi innamorato di te -​
Oddio, che tragedia! Lui provava le stesse cose che provava lei. No, non poteva continuare. Lei aveva degli obblighi, delle responsabilità, dei doveri verso Carlo. Doveva rifuggire quel sentimento a tutti i costi.​
– Ti prego, te lo chiedo per favore: lasciami perdere. E’ stato un errore rivederci. Un grave errore. Non succederà mai più -​
– E’ quello che vuoi, davvero? -​
Scrivere la risposta fu la cosa più sensata che fece: – Sì – ​
– D’accordo. Sparirò dalla tua vita, così come sono entrato. Ma non smetterò di pensarti, perché nessuno può impedirmelo. Ti terrò dentro di me -​
No no no no!!! Lui doveva lasciarla andare! Non poteva tenerla con sé. Doveva lasciarle vivere la sua vita. Se l’avesse tenuta legata, lei avrebbe sentito sempre il suo richiamo e non si sarebbe più liberata di lui. Si sentì cogliere da una sorta di panico. Aveva commesso un errore fatale. Ripensò a come tutto era nato tra loro, a partire da quella cena. Non avrebbe mai dovuto accettare l’invito di Anna.​
<<Ti prego, lasciami andare>>, sussurrò alla propria immagine riflessa nello specchio come fosse lui.
Era trascorso un mese. Vera non aveva cancellato Alessandro dai suoi pensieri, ma lui non l’aveva più cercata. Né lei, del resto. Dopo i primi tempi, in cui quasi non riusciva nemmeno più a guardare Carlo, sentendosi in colpa per qualcosa che non si era mai concretizzato, aveva ripreso a vivere normalmente. Ma gli occhi di Alessandro erano rimasti dentro di lei e li vedeva ovunque, così come l’energia scaturita dalle sue mani le era rimasta dentro. Non passava giorno che non pensasse alla dolcezza infinita della sua voce, al calore del suo sguardo, al profumo della sua pelle. Ogni volta che usciva dall’ufficio, sperava di incontrarlo per caso per le strade del centro, cercava il suo volto nel volto della gente, sperava di udire il suono della sua voce tra le altre voci. Ma Alessandro sembrava essere scomparso dal mondo.
Stava spingendo il carrello della spesa al supermercato e pensava a lui disperatamente. Non riusciva a dimenticarlo. Cedette all’irrefrenabile impulso di scrivergli. In coda alla cassa, prese il cellulare dalla borsa, cercò il suo numero e digitò: Alessandro… ​
Rimase un tempo che le parve infinito a guardare quel nome che prendeva la forma dei suoi occhi e premette invio. Si pentì subito dopo. Mentre pagava il conto, sentì il telefono vibrare. Pagò, uscì dai tornelli e si avviò al parcheggio, prendendo il telefono e leggendo il messaggio.​
– Vera… -​
Le sfuggì un sorriso.
Vera si sentiva sempre più inquieta: voleva risentirlo, voleva rivederlo. Aveva bisogno di lui, dell’energia che le dava, della vitalità che suscitava in lei, delle violente emozioni. ​
Mentre rileggeva il suo nome scritto in quel semplice sms, un nuovo messaggio la colse di sorpresa. – Per quanto tempo ancora dovremo fingere di non volerci vedere, quando l’unico volto che vorremmo scorgere tra la gente è il nostro? –​
Non rispose subito. Sedeva davanti a una pila infinita di carte, chiusa nell’ufficio, mentre la giornata volgeva al termine. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Il sole stava tramontando dietro la collina e le ombre cominciavano ad avanzare rapide sulla città.​
Un’altra vibrazione, un altro messaggio: – Ti prego, dammi un’occasione per farmi conoscere e per conoscerti. Dimmi di sì -​
Vera sospirò e cominciò a intrecciare una ciocca di capelli intorno a un dito. Ci pensò sopra alcuni minuti, poi digitò la sua risposta: – Sì, lo farò -​
Alessandro chiese se potesse chiamare. Gli disse che lo avrebbe fatto lei non appena fosse uscita dall’ufficio. Moriva dalla voglia di sentire la sua voce. ​
Quando si riversò in strada, tra la gente che si accingeva a fare gli ultimi acquisti prima della chiusura dei negozi, affrettò il passo verso il posteggio dove aveva lasciato l’auto. Prese il cellulare dalla borsetta, fece scorrere la rubrica fino al nome e avviò la chiamata.
<<Pronto>>. La voce era così intensa che ebbe l’impressione che Alessandro fosse fisicamente presente. Un tumulto di emozioni si scatenò dentro di lei.​
<<Ciao>>.
<<Ciao>>.
<<Scusa se ti ho fatto aspettare, ma sono stata trattenuta dal mio capo>>.​
<<Non c’è problema>>.​
C’era un ritorno di voce nel telefono. Avvertiva rumori di sottofondo, come se anche lui si trovasse in mezzo a una strada.​
<<Dove sei?>>.​
<<Voltati>>.​
Vera si voltò di scatto: Alessandro era proprio dietro di lei. Il suo volto si aprì in un sorriso.<<Non ci credo. Sei qui!>>, esclamò.​
Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo forte, avere il coraggio di fare quello che non aveva mai fatto, lì, in mezzo alla gente. Si sentiva felice, il cuore gonfio. Non osò nemmeno prenderlo sottobraccio. Si limitò a guardarlo, sorridendo. Lui fece lo stesso.

Si buttò tra le sue braccia e lo strinse forte. ​
<<Vieni, entriamo>>, la invitò, staccandola delicatamente da sé. ​
La prese in braccio e la condusse all’interno, chiudendo la porta con un piede. Vera gli si avvinghiò al collo, annusando l’odore della sua pelle. Da vicino, per la prima volta. La portò in camera e la adagiò sul letto. Rimasero in silenzio, come tutte le altre volte, a guardarsi negli occhi, mentre il buio entrava nella stanza dalle finestre spalancate sulla notte. Poi lei si avvicinò e lo baciò sulle labbra. ​
Fu come un tornado, inghiottiti dal vortice di una passione trattenuta troppo a lungo. Si ritrovarono senza nemmeno accorgersi, pelle contro pelle, carne nella carne, fiato nel fiato. Un solo respiro, un solo battito, un’anima sola. Fino al mattino.
Carlo era partito già da qualche giorno per un viaggio d’affari all’estero e sarebbe rientrato domenica. ​
Quando il sole entrò coi suoi raggi generosi dalla finestra, inondando di luce la stanza, Vera aprì gli occhi e si ritrovò col fianco appoggiato alla schiena di Alessandro. Si mise a sedere e cominciò ad accarezzargli la schiena. Lo baciò delicatamente sul collo e gli bisbigliò all’orecchio: <<Buongiorno>>.​
Alessandro si voltò verso di lei e le sorrise. <<Buongiorno, Amore mio>>. La baciò dapprima con dolcezza, poi la passione prese di nuovo il sopravvento e fecero l’amore.
<<E’ un bel modo di iniziare il sabato>>, disse lui con aria soddisfatta. <<Che ne dici?>>.
Vera gli accarezzò il viso.​
<<Ti preparo la colazione. Ti va se mangiamo sulla terrazza?>>.​
Il panorama sulla città visto dall’alto era spettacolare. ​
<<Tieni>>, Alessandro le lanciò una della sue camicie. <<metti questa. Voglio tenere qualcosa che profumi di te, quando te ne andrai>>.​
Aveva trascorso l’intera giornata a casa sua. Avevano fatto l’amore ancora e ancora e ancora, ingordi, affamati l’uno dell’altra, mai sazi, poi lei si era rivestita e lo aveva salutato con un bacio. Carlo sarebbe tornato l’indomani verso l’ora di pranzo e aveva alcune cose da sbrigare prima del suo ritorno.​
<<Non so se riuscirò più a essere la moglie che ero>>, aveva detto, prima di uscire dalla casa di Alessandro.​
<<Ricordatelo: io ti amerò sempre e ci sarò sempre, ma tu sei libera. Prenderò solo quello che vorrai darmi e non interferirò mai con la tua vita, perché voglio solo che tu sia felice. Non chiedo niente per me. Ora vai>>. Le baciò le palpebre, come un padre con una figlia, le accarezzò i capelli e la guardò andare, salutandola con la mano. Accennò quel sorriso che lei gli aveva visto dipinto sul volto la prima volta che si erano incontrati, un sorriso carico di un universo di emozioni. Poi chiuse il cancello e si diresse verso la Golf che l’aspettava per far rientro a casa.
Carlo sarebbe arrivato per l’ora di pranzo. Le aveva telefonato prima di imbarcarsi per comunicarle che l’aereo era in orario. Aveva lasciato l’auto nel parcheggio della Malpensa e non ci avrebbe messo molto dall’aeroporto a casa. A quell’ora di domenica non doveva esserci traffico in autostrada.​
Erano già le 13.30 e ancora nessun messaggio. Vera attendeva col cibo in caldo sui fornelli. Era strano quel ritardo, soprattutto era strano che lui non la avvertisse in alcun modo. Decise di controllare in Internet gli orari dei voli, per maggiore sicurezza. ​
Un’ora più tardi l’inquietudine cominciava a impossessarsi di lei. Dov’era finito Carlo? Perché non si faceva sentire?​
Lo aveva chiamato più volte, ma il cellulare suonava sempre a vuoto. Numerosi squilli, poi scattava la segreteria telefonica.​
<<Rispondi, accidenti a te! Rispondi!>>. ​
Un’ora più tardi, una chiamata proveniente dal telefono di Carlo. Finalmente!​
<<Perché non rispondevi? Ti ho chiamato un sacco di volte. Mi stavo preoccupando>>, disse.​
Dall’altra parte una voce femminile. <<Qui è il reparto di rianimazione del Niguarda>>.​
Vera sentì il sangue gelarsi all’istante nelle vene.​
Non riusciva a capire, le pareva di essere proiettata in un sogno, in un delirio. ​
<<Abbiamo trovato questo numero registrato come ICE>>, riprese la voce.​
ICE: in case of emergency. Sia lei che Carlo avevano registrato i loro numeri sui rispettivi cellulari con quella scritta, per essere contattati in caso di emergenza.​
<<Il proprietario di questo cellulare e la donna che era in auto con lui si trovano ricoverati a seguito di un incidente>>.​
” Incidente?”. La stanza pareva girare tutto intorno a lei. “Rianimazione? Carlo? Una donna? Cosa significa tutto questo?”​
<<Venga appena possibile e il dottore le spiegherà tutto ciò che deve sapere >>. La voce chiuse la comunicazione.​
<<Nooo!!!>>. L’urlo le uscì nero e profondo dalla pancia, come un parto prematuro, l’aborto di un feto già grande, doloroso, lacerante, mostruoso.
Quando fece il proprio ingresso nel reparto rianimazione, Vera era lo spettro di se stessa. Si vide riflessa nel vetro che la separava dalla stanza dove Carlo giaceva nel letto, con la testa fasciata e collegato alle macchine che lo tenevano in vita.​
<<Suo marito se la caverà>>, le stava dicendo il dottore. <<Ma ancora non sappiamo quali conseguenze ci saranno>>. ​
Vera gli rivolse uno sguardo disperato. I suoi occhi erano gonfi e arrossati, il volto disfatto. <<E la donna che era con lui?>>, domandò Vera.​
<<Per la signora non c’è stato nulla da fare, purtroppo. E’ deceduta poco fa>>.​
In quel momento si avvicinò un agente della polizia stradale e le consegnò il cellulare del marito, spiegando la dinamica dell’incidente.​
Vera effettuò l’accesso all’apparecchio e fece scorrere i messaggi: doveva sapere che cosa rappresentava per lui quella donna. Ce n’erano molti rivolti a lei, messaggi inequivocabili e anche qualche selfie di loro due abbracciati. Lei era bella. Bionda, occhi scuri, carnagione chiara. Quant’era più giovane di lei! Chissà da quanto tempo andava avanti la loro relazione? E lei che si era fatta tutte quelle paranoie per Alessandro! Come aveva potuto Carlo farle questo! Come? Addirittura un viaggio con lei! Si era portato quella donna alla conferenza. Non poteva crederci. Avevano fatto la loro luna di miele in albergo? Quanto avevano scopato in quei giorni?​
Uscì dal reparto e si diresse, ancora stordita ma soprattutto incredula, al bar dell’ospedale. Ordinò un caffè forte. Venne attratta dalla carta colorata di rosso di una serie di Boeri esposti sul bancone e ne prese uno. Non ne aveva più mangiati da quando era una ragazza. Ricordava che all’interno c’era un bigliettino che diceva se avevi vinto un altro boero oppure no, di ritentare la fortuna. Non lo scartò subito. Bevve il caffè e uscì a prendere una boccata d’aria. Prese il cellulare e chiamò Alessandro. Aveva voglia di sentire la sua voce. Mentre attendeva, pensò una cosa sciocca: “Lo scarto. Se viene hai vinto, lascio Carlo e dico ad Alessandro che voglio stare con lui, se viene ritenta, sarai più fortunato, rimarrò con Carlo e lascerò Alessandro”.​
<<Pronto?>>.​
Vera teneva il telefono appoggiato tra il collo e la spalla, mentre scartava il Boero. Aprì bene l’involucro rosso luccicante, portò il cioccolatino alla bocca e lesse il messaggio che conteneva. ​​
<<Ho voglia di vederti>>.​


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